L'INTERVISTA

L’innovazione senza fine di Intesa: “Continuare a migliorare processi e competenze”

Il Chief Innovation Officer Marco Broggio descrive le strategie di innovazione della società del gruppo IBM: competenze, design thinking, piattaforme di collaboration. Con attenzione alla sostenibilità. E la certezza che “non c’è un punto di arrivo”

Pubblicato il 17 Feb 2021

Marco Broggio, CIO Intesa (Ibm Group)

Innovazione non significa solo creare qualcosa di nuovo, ma cercare nuovi modi efficienti ed efficaci di fare le cose e quindi far lavorare meglio le persone. Questo perché l’innovazione non ha un punto di arrivo: è un processo durante il quale bisogna costantemente chiedersi come e dove è possibile migliorarsi”. A dirlo è Marco Broggio, Chief Innovation Officer di Intesa, società del gruppo Ibm che dal 1987 affianca i clienti nel percorso di digitalizzazione aziendale.

Intesa offre piattaforme innovative che integrano soluzioni tecnologiche per la digitalizzazione dei processi aziendali, della customer experience e della supply chain. La società punta a costruire la trasformazione digitale insieme al cliente, con metodologie derivate dal design e percorsi di co-creation. L’azienda ha sede a Torino, filiali a Milano e Roma e una vasta rete di esperti e professionisti che operano direttamente sul territorio nazionale ed internazionale.

L’area di Innovation è presente in azienda già da alcuni anni; inizialmente era focalizzata principalmente sullo sviluppo delle soluzioni tecnologiche, poi la sua missione si è evoluta. Attualmente si occupa di innovare prodotti e soluzioni, ma nel contempo pensa a sviluppare l’innovazione a un livello più strategico, come spiega il CIO Marco Broggio.

Che cosa fa di Intesa un ecosistema innovativo?

Un ecosistema innovativo è un mix di 3 componenti: metodologie, strumenti/tecnologie e competenze. In Intesa abbiamo introdotto metodologie nuove sia nella nostra organizzazione interna, con strutture più fluide e meno piramidali e con ruoli di responsabilità ricoperti da diverse persone a rotazione, sia nelle interazioni con i clienti. L’obiettivo era favorire lo scambio di informazioni e le relazioni tra aree diverse per evitare di sviluppare silos verticali, cioè il rischio di creare aziende all’interno dell’azienda. Stiamo inoltre utilizzando molto il design thinking, che mette al centro esigenze e obiettivi da raggiungere e permette di trovare soluzioni creative ai problemi. Lo usiamo sia internamente, per generare idee, sia per i nostri clienti come modello innovativo per mettere a fuoco le loro esigenze. In pratica partiamo dalle loro necessità e dai loro problemi per poi cercare di individuare soluzioni innovative da mettere a terra.

E gli strumenti per innovare?

Abbiamo adottato piattaforme di collaboration che permettono l’interazione nel modo più facile, flessibile e immediato possibile. Puntiamo così a migliorare la produttività delle persone e ridurre al minimo i tempi tecnici, in modo che ci si possa concentrare solo sulle attività di reale valore. La collaboration, anche in conseguenza della pandemia da Covid19, è stata adottata per facilitare la comunicazione tra le persone: se non avessimo la possibilità di fare call o scambiarci informazioni in maniera rapida e intuitiva, lavorare sarebbe molto più complicato.

A proposito dell’emergenza sanitaria, le strategie di innovazione hanno aiutato ad affrontarla?

La pandemia non ci ha trovato impreparati nel gestire lo smart working: avevamo avviato un piano in questo senso già dal 2019, prevedendo la possibilità per i nostri collaboratori di lavorare da remoto per qualche giorno a settimana e con l’apertura di una nuova sede a Torino con postazioni di lavoro dinamiche, non assegnate a singole persone. La lungimiranza ci ha permesso di continuare il percorso verso l’adozione corretta di questo strumento. Quanto ai piani di rientro, la situazione è tuttora in evoluzione, ma siamo convinti che lo smart working resterà un elemento costante e fondamentale, forse in forma ibrida con alcuni giorni in ufficio e altri da remoto.

Terza componente dell’ecosistema innovativo: le competenze. Quale importanza ricoprono in Intesa?

L’unico modo di rendere possibili i cambiamenti descritti sopra, sia all’interno di Intesa sia nei progetti che quotidianamente affrontiamo con i nostri clienti, era proprio dotarci al nostro interno di reali competenze in questi ambiti. Perciò abbiamo creato dei competence center dedicati agli ambiti che sono oggi i motori di questi cambiamenti: AI, service design, compliance ecc. Poi abbiamo reperito esperti sul mercato e avviato percorsi di formazione per le risorse già presenti nella nostra squadra. Un tipo di formazione sia tradizionale sia tramite “training on the job” al fianco di esperti.

Sostenibilità, un concetto centrale in questo periodo storico: come la perseguite?

L’innovazione deve seguire due driver principali: scopo e sostenibilità, cioè deve produrre un valore concreto e misurabile e deve farlo in maniera sostenibile. Lo scopo che perseguiamo in Intesa è proprio di migliorare la vita e il lavoro delle persone, ottimizzando processi e attività con l’obiettivo di generare del saving. Ne possono derivare vantaggi di tipo economico, di tempo o soprattutto di impatto ambientale, come la diminuzione del consumo di carta nei processi burocratici o l’ottimizzazione della gestione logistica che su larga scala può portare a una diminuzione del traffico e quindi dell’inquinamento. Inoltre, stiamo avviando dei progetti in cui applicheremo i nostri modelli di AI a database pubblici messi a disposizione da centri di ricerca specializzati, per cercare di contribuire con dati aggiuntivi alle analisi e previsioni in ambito sanitario, come ad esempio nella “breast cancer detection”.

È in questo contesto che Intesa ha avviato il percorso di certificazione come Società Benefit?

Esattamente. L’abbiamo intrapreso l’anno scorso e contiamo di completarlo nella prima metà di quest’anno. La scelta di diventare una BCorp vuole evidenziare un dato di fatto: Intesa mette sullo stesso piano interessi di business e attenzione al benessere delle proprie persone e del contesto sociale e ambientale nel quale operano.

In estrema sintesi, cos’è per lei innovazione?

Innanzitutto, vorrei sottolineare che trasformazione digitale non significa replicare digitalmente quanto si faceva su carta: l’innovazione passa attraverso la revisione dei processi per ottimizzarli sfruttando le potenzialità del digitale. Inoltre innovazione è sperimentazione: per innovare con successo bisogna agire e raccogliere feedback il più rapidamente possibile, per verificare se si sta andando nella direzione giusta o se è necessario cambiare rotta. Infine vorrei sottolineare che l’innovazione non ha un punto di arrivo: è un processo in cui bisogna costantemente chiedersi come e dove è possibile migliorarsi.

New call-to-action

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Luciana Maci
Luciana Maci

Giornalista professionista dal 1999, scrivo di innovazione, economia digitale, digital transformation e di come sta cambiando il mondo con le nuove tecnologie. Sono dal 2013 in Digital360 Group, prima in CorCom, poi in EconomyUp. In passato ho partecipato al primo esperimento di giornalismo collaborativo online in Italia (Misna).

email Seguimi su

Articoli correlati

Articolo 1 di 4