L’altro giorno ho intervistato un robot: mi ha spiegato che aiuterà le persone a divertirsi ma anche a fare i lavori di casa, mi ha assicurato che non toglierà lavoro agli umani e alla fine mi ha anche mandato un bacio, dopo aver improvvisato un balletto e fatto qualche esercizio di yoga. È avvenuto durante un incontro tra appassionati ed esperti di innovazione, che si è presto trasformato in una sorta di auto-coscienza collettiva. Devo dire la verità: più che dalle risposte del robot sono rimasta colpita dalle reazioni dei presenti. Un misto di curiosità, timore, entusiasmo e persino tenerezza. E alla fine di questo percorso ho pensato: stiamo ancora brancolando nel buio. Per quanto leggiamo, studiamo, riflettiamo, sperimentiamo, fabbrichiamo e mettiamo in commercio, ancora non riusciamo a prevedere con esattezza quale sarà l’impatto della robotica sulle nostre esistenze. Ma in questo buio dobbiamo cominciare a muoverci, seppure a tentoni, per cercare di individuare tutte le possibili strade.
L’incontro si intitolava “Robots & Rinascimento” ed è stato presentato lo scorso 30 gennaio a Milano da “La Logica Del Fluire. Che Mercato Saremo” e “Copernico”. Il meeting ha visto come protagonista il robot NAO della Scuola di Robotica di Genova, che si è esibito e ha interagito con i presenti. Ecco alcune delle reazioni che ha suscitato negli astanti.
Da secoli l’umanità è affascinata dai robot. Pochi lo sanno, ma alcuni dei primi automi, i lontani antenati degli attuali robot, furono commissionati nel tardo Medioevo dalla Chiesa cattolica. Erano macchine che riproducevano le sembianze del corpo umano, dotate di meccanismi interni ad orologeria: riproduzioni di Gesù Cristo che sanguinava dalle ferite o di Satana che emetteva suoni orribili. Non abituata a questo genere di spettacoli, la gente restava incantata e intimorita, e tendeva a credere che, dietro quelle figure che si muovevano e parlavano da sole, ci fosse una potenza divina. Il secolo d’oro per gli automi arrivò nel 1700, quando divennero strumenti di intrattenimento per le élite ma anche per il popolo. Era di moda assistere alle performance di manichini con sembianze umane che disegnavano, scrivevano o suonavano. Alcuni degli esemplari più pregiati furono costruiti per le corti reali europee, ammirati nei “gabinetti delle meraviglie” nelle case dei nobili o mostrati durante esibizioni pubbliche. Si può dire che chi li possedeva era una sorta di influencer ante litteram, perché in grado di attrarre e catturare le folle.
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Dialogando con NAO mi sono sentita come una dama del Settecento che ammira un automa suonare il piano. NAO è in grado di rispondere in totale autonomia a poche, semplici domande, ma per quelle più complicate il suo suggeritore è un ingegnere. Tuttavia resta la meraviglia nel sentire una macchina interloquire, credo faccia parte della natura umana. Umana, appunto. Non robotica.
MEMORIE
Oggi abbiamo l’impressione di essere nel pieno di cambiamenti enormi, sconvolgenti, forse catastrofici. Ma immaginiamo come dovevano sentirsi quelli vissuti all’epoca delle grandi scoperte geografiche: improvvisamente esisteva un Nuovo Mondo, totalmente ignoto fino a quel momento, sterminato e tutto da scoprire. E intanto si usciva dal tunnel oscuro del Medioevo e ovunque fiorivano arte, cultura, poesia, scienza, rigoglio di innovazioni e di scoperte. Pensare che la robotica porterà una rivoluzione mai vista prima significa non avere memoria del passato. Paradossalmente l’assistere alle performance futuristiche del nostro amico robot ci ha fatto volgere lo sguardo indietro. Fiorella Operto, co-fondatrice e presidente della Scuola di Robotica di Genova, ha individuato i “padri” degli automi addirittura nei protagonisti del Rinascimento italiano. “Nell’Italia dell’Umanesimo e del Rinascimento non vigeva ancora la rigida separazione di oggi tra scienze umane e scienze fisiche: Filippo Brunelleschi era sia un ingegnere, o geometra come si diceva, sia un artista. Questi geniali ingegneri/artisti fecero esperimenti, con i loro mezzi, in quasi tutti i campi possibili: dal volo agli elementi di automazione, dagli sviluppi nella metallurgia agli esperimenti di chimica fino al geniale impiego del cannocchiale da parte di Galileo. Da allora l’abisso tra artisti e scienziati è diventato quasi insanabile …”.
Sulla stessa linea di pensiero Fabrizio Bellavista, partner di “Emotional Marketing Research” e digital transformation consultant, oltre che co-autore con Luisa Cozzi del libro “La Logica del Fluire. Che mercato saremo”. “Il parallelo con il Rinascimento – ha detto – trova un senso preciso: a metà del ‘400 si innescò a Firenze un vero e proprio ribaltamento di paradigma ed una spinta straordinaria alla ricerca e alla contaminazione che attraversò l’arte visiva, la letteratura, la politica, la chimica, l’astronomia e l’ingegneria. A questo proposito voglio ricordare Leonardo, il tecno-umanista per eccellenza. Ma è molto importante rammentare che tutto questo prese avvio dall’emergere dell’Umanesimo… Allo stesso modo il concetto di industria 4.0 prende il nome dall’iniziativa europea Industry 4.0 (di matrice tedesca, varata nel 2013), che da piano industriale è diventata una vera e propria ‘visione’: prevede investimenti su infrastrutture, scuole, energia, enti di ricerca e aziende per ammodernare l’intero sistema a livello globale e, prima di tutto, la stretta interconnessione e la forte contaminazione tra settori. In quest’ottica la robotica può acquistare un posizionamento più preciso…”.
TIMORI, PAURA, TERRORE
Come i robot modificheranno o cambieranno le nostre vite? Ci toglieranno posti di lavoro? Ci priveranno di diritti e libertà? Sono tantissimi gli interrogativi suscitati dall’argomento. Di recente a scatenare l’ansia collettiva è stata la vicenda del cosiddetto braccialetto di Amazon che dovrebbe controllare i lavoratori, trasmettendo loro addirittura impulsi di non meglio specificata natura. Un caso che ha analizzato Giovanni Iozzia in questo articolo su EconomyUp, sottolineando come la tecnologia non vada temuta per principio, ma innanzitutto capita e governata. Per quanto riguarda robotica e mondo del lavoro, negli ultimi anni sono state diffuse le previsioni più disparate. Secondo una ricerca di CB Insights, nei prossimi 5-10 anni l’Intelligenza Artificiale metterà a rischio oltre 10 milioni di posti di lavoro, più di quanti sono stati cancellati negli Stati Uniti dalla crisi economica del 2007-2010. Gli effetti dell’automazione – sostiene lo studio – inizialmente avvertiti nella manifattura, stanno cominciando a farsi sentire anche in altri settori quali il retail, la ristorazione, l’e-commerce, il marketing e persino nello sviluppo di software.
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È invece più ottimista Accenture. Entro il 2022, sostiene uno studio presentato al recente World Economic Forum di Davos, l’intelligenza artificiale potrà incrementare i ricavi delle imprese del 38% e far crescere l’occupazione del 10%. Basato su interviste a top manager e lavoratori di aziende di 11 paesi nel mondo, tra cui l’Italia, il report specifica che l’Artificial Intelligence – tecnologia in base alla quale gli automi possono svolgere determinati compiti nello stesso modo in cui lo farebbe un essere umano – si imporrà se i Ceo sapranno aggiornare i modelli di business e soprattutto se sapranno formare i dipendenti all’uso delle tecnologie intelligenti. Accenture stima che l’utilizzo dell’AI nell’economia mondiale potrebbe tradursi in una crescita dei profitti pari a 4,8 trilioni di dollari. A queste condizioni, anche il livello di occupazione potrebbe beneficiare di un aumento del 10%. Secondo il 61% dei manager, nei prossimi tre anni crescerà il numero delle figure professionali che utilizzeranno quotidianamente l’Intelligenza Artificiale. Al tempo stesso il 69% dei 14mila lavoratori intervistati è consapevole dell’importanza di sviluppare competenze che permettano di lavorare con le macchine intelligenti.
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Tra luci e ombre, c’è chi, come il filosofo Luciano Floridi, è convinto che nel medio e lungo periodo l’automazione porterà alla nascita di nuovi posti di lavoro: Ma è altrettanto convinto che nel breve periodo “la società dovrebbe farsi carico del costo che questa operazione comporterà (…) e pensare ad in questo articolo”.
Il timore per il futuro dell’occupazione serpeggiava anche durante l’incontro “Robots e Rinascimento”. Così ho chiesto a NAO: “Toglierai posti di lavoro agli umani o ne creerai di nuovi?”: “Non li toglierò – mi ha risposto – ne creerò per chi vorrà”. Quello “per chi vorrà” è la chiave per capire: bisognerà cioè adattarsi al cambiamento, rendersi conto che determinati lavori sono stati resi obsoleti – o presto lo saranno – dalla robotica, cercarne di diversi, sottoporsi a reskilling cioè rivedere, aggiornare e perfezionare le proprie competenze. Occorre un atto di volontà consapevole e intelligente per affrontare la rivoluzione della robotica.
Non pochi tra i presenti all’incontro hanno commentato: “Se è vero che NAO e altri robot come NAO sostituiranno l’uomo nei lavori più semplici e ripetitivi, finalmente noi umani potremmo dedicarci a qualcosa di più piacevole e attraente: la creatività, l’approfondimento e, perché no, l’ozio, magari creativo”. Un punto di vista corroborato da uno studio diffuso nel 2017 in occasione del World Economic Forum: una classifica in base alla quale, tra le 10 competenze più richieste nel 2020, ci saranno al primo posto la risoluzione di problemi complessi, al secondo il pensiero critico e al terzo proprio la creatività. Per non parlare del quinto posto per l’intelligenza emotiva e del decimo per la flessibilità cognitiva.
TENEREZZA
Durante l’incontro a Copernico, Luisa Cozzi ha esclamato: “Nao mi fa tenerezza”. Una nota affettiva in un contesto ad elevato tasso tecnologico. Come è possibile? Perché? E soprattutto quale tipo di rapporto si instaurerà tra robot e umani, visto che si parla di robot-badanti, robot-infermieri e già da tempo alcuni tipi di robot vengono utilizzati per l’apprendimento dei bambini e per l’interazione con persone affette da autismo? Ha provato indirettamente a rispondere Stefano Lazzari, Innovation strategist consultant: “Si parla sempre di robotica umanoide ma l’intelligenza artificiale è molto altro: il driverless (e l’Internet Of Things) si annuncia come la tecnologia del secolo. Non sarà ad esempio solo l’auto a cambiare, ma le strade, la città, gli stili di vita e tutto il nostro modo di intendere la mobilità. È la stessa rivoluzione che ha portato lo smartphone (e i social media) ad essere oggi mediatori e interpreti della nostra identità. Il confronto ci proietta verso un’idea di umanesimo necessariamente allargato ai nostri dispositivi, tanto da ritenere il nostro corpo parte di essi e, dunque, nel rapporto con l’altro rientra necessariamente quello con la macchina, sia come identità altra che come parte di sé. Tutto il processo dell’innovazione ci porta a ritenere fondamentale la capacità di riconsiderare il rapporto non solamente funzionale e materialista, ma anche emozionale e in un qualche senso anche affettivo, con i nostri dispositivi (cosa che tra l’altro già accade) ma che diventerà fondamentale quando il “deep learning”, che concederà più sfumature all’intelligenza artificiale, gli darà anche la necessaria sensibilità per comprendere i nostri non più perentori comandi”.
Concluso l’incontro, abbiamo continuato appassionatamente a parlare tra noi di scenari futuri. Nao taceva, ormai spento dall’ingegnere che prima lo aveva azionato. Per il momento avevamo vinto noi.