Durante le vacanze, possiamo provare a leggere alcuni libri sull’intelligenza artificiale. L’AI sta cambiando il modo di lavorare, fare affari, produrre, svolgere attività quotidiane, informarsi e conoscere. È un nuovo mondo ancora tutto da costruire e da scoprire, che apre prospettive su enormi potenzialità e opportunità, ma anche questioni controverse relative a etica, trasparenza, privacy, sicurezza, affidabilità.
Una galassia di tecnologie e applicazioni a cui sono dedicati tanti libri e pubblicazioni. Come sottolinea il professor Luciano Floridi in uno di questi, per sviluppare al meglio e in maniera corretta le grandi risorse dell’Intelligenza artificiale occorre, ed è fondamentale, un contributo collettivo di intelligenza umana.
Per partire dalle basi, dall’Abc di queste tecnologie, o per saperne di più e approfondire questi temi affascinanti e a volte inquietanti, ecco una rassegna – inevitabilmente esemplificativa e non esaustiva – di libri e titoli, usciti di recente o negli ultimi anni. Tanti tasselli di conoscenza e analisi per comporre un grande mosaico, un ‘puzzle’ la cui immagine finale è ancora in divenire. Come una partita a scacchi.
Libri e intelligenza artificiale: manuali per le aziende
“Scacco matto con l’AI”
In ‘Scacco matto con l’AI’, pubblicato in Italia da Egea, la casa editrice dell’Università Bocconi, gli esperti di tecnologia Thomas Davenport e Nitin Mittal analizzano i percorsi di grandi aziende (non tech) che hanno puntato forte – e in anticipo – sull’Intelligenza artificiale. Da Unilever a Shell, da Airbus a Disney, e poi Deloitte, Anthem, Eli Lilly, Ping An, Toyota, Morgan Stanley.
I due autori indicano anche un’utile serie di istruzioni per l’uso, dieci mosse per fare (appunto come evidenzia il titolo) scacco matto con l’Intelligenza artificiale: ad esempio, sapere che cosa si vuole ottenere con l’AI; iniziare con gli analytics; mettere dati e applicazioni nel Cloud; pensare a come integrare l’AI con i flussi di lavoro di dipendenti e clienti, e altro ancora.
Con approfondimenti, strategie e best practice concrete, il libro fornisce a manager e ai loro team le dritte necessarie per implementare l’AI nelle proprie imprese o portarla a un livello successivo.
“Questi insegnamenti delle aziende che hanno intrapreso un percorso di trasformazione basato sull’Intelligenza artificiale possono aiutare qualsiasi realtà a muoversi nella stessa direzione”, rimarcano Davenport e Mittal. E prevedono: “riteniamo che in futuro l’AI, applicata in modo strategico e in dosi massicce, sarà fondamentale per il successo di quasi tutte le imprese. I dati aumentano rapidamente e questa situazione non è destinata a cambiare. L’AI è un mezzo per dare un senso ai dati su larga scala e per creare decisioni intelligenti in tutta l’organizzazione, e anche questo non cambierà. L’AI è qui per restare e le aziende che la applicheranno con vigore e intelligenza probabilmente domineranno i loro settori nei prossimi decenni”.
“Il mito dell’Intelligenza artificiale”
Fin dai tempi di Alan Turing – considerato il padre dell’informatica e dell’AI – i sostenitori più entusiasti della tecnologia elaborativa hanno spesso messo sullo stesso piano intelligenza artificiale e intelligenza umana. Si tratta di un grave errore, fa notare Erik Larson, nel suo ‘Il mito dell’Intelligenza artificiale’, pubblicato in Italia da FrancoAngeli, e che ha per sottotitolo ‘Perché i computer non possono pensare come noi’.
L’intelligenza artificiale lavora sul ragionamento induttivo, analizzando dataset, enormi quantità di informazioni, per prevedere possibili risultati di una scelta o di un’azione. Gli esseri umani, invece, formulano congetture che tengono conto del contesto e dell’esperienza. L’intelligenza umana è una rete di ipotesi formulate sulla base di ciò che si conosce del mondo.
“Non abbiamo la minima idea di come programmare quella forma di ragionamento intuitivo noto come ‘abduzione’, che è a fondamento del senso comune”, rileva Larson. E osserva: “questo è il motivo per cui Alexa non può capire ciò che le chiediamo e per cui l’intelligenza artificiale non può andare oltre certi limiti”.
L’autore sostiene che il clamore che circonda il mondo dell’intelligenza artificiale non è solo cattiva scienza. “La cultura scientifica prospera in un ambiente che guarda con entusiasmo all’esplorazione dell’ignoto e non in un clima di esaltazione dei metodi esistenti. L’intelligenza artificiale induttiva continuerà a fare passi avanti per quanto riguarda l’esecuzione di compiti limitati, ma se desideriamo un progresso reale, dovremo iniziare ad apprezzare appieno la sola vera intelligenza che conosciamo: la nostra”.
Libri e intelligenza artificiale: riflessioni etiche e filosofiche
“Etica dell’intelligenza artificiale”
Proprio perché la rivoluzione digitale è iniziata da poco e si sta sviluppando in questi anni, abbiamo la possibilità di modellarla in senso positivo, a vantaggio dell’Umanità e del Pianeta. Ma, per farlo, è cruciale comprendere le trasformazioni tecnologiche in atto e uno dei passaggi oggi fondamentali è proprio quello dell’AI, della sua natura e delle sue sfide etiche, che Luciano Floridi affronta in ‘Etica dell’intelligenza artificiale’, stampato da Raffaello Cortina Editore.
In sostanza, per sviluppare al meglio e in maniera corretta – anche dal punto di vista etico – le grandi opportunità dell’Artificial intelligence digitale occorre, ed è fondamentale, uno sforzo e un contributo collettivo di intelligenza umana.
Il professor Floridi rimarca i cinque principi fondamentali che determinano il carattere etico dei sistemi di intelligenza artificiale, e sono: beneficenza, non malevolenza, autonomia, giustizia ed esplicabilità.
Per esempio, è proprio la mancanza di questo ultimo principio che continua a compromettere l’eticità di certe tecnologie, quando non condividono informazioni sul proprio algoritmo, sul dataset di riferimento o sui metodi di addestramento. Se non c’è un’adeguata trasparenza non è possibile indagare sugli scopi e sui pericoli che si possono celare, oggi o domani, dietro questi sistemi.
Inoltre, come dimostrano le varie iniziative a livello nazionale e internazionale, è fondamentale che le istituzioni – che fanno le regole, e poi ne controllano l’applicazione – lavorino per rispondere alle sfide portate dall’IA, senza pregiudicare le potenzialità di innovazione e di sviluppo. Un esempio è quello dell’European Data Protection Board, che promuove una task force con l’obiettivo di favorire la cooperazione e lo scambio di informazioni tra i Paesi Ue in tema di regolamentazioni sull’AI.
Un futuro proficuo e sostenibile per l’Intelligenza artificiale “è possibile, ma”, sottolinea Floridi, “tutti gli attori coinvolti devono lavorare insieme per creare un domani in cui gli algoritmi possano prosperare senza compromettere il benessere della società e la stabilità del nostro sistema democratico”.
“Incoscienza artificiale”
L’Uomo vede l’Intelligenza artificiale “come una macchina in grado di prendere le sue decisioni, ma si sbaglia, perché è solo un calcolatore di simboli, anche se sempre più sofisticato. L’Intelligenza artificiale vede l’Uomo come un insieme di numeri, ma si sbaglia, perché la coscienza è incomputabile”, rimarca Massimo Chiriatti con ‘Incoscienza artificiale’, ovvero ‘Come fanno le macchine a prevedere per noi’, indica il sottotitolo del libro Luiss University Press.
Quindi, per sapere come funziona davvero l’AI bisogna avvicinarsi e guardarle dentro. Ma “per sapere come possiamo usarla dobbiamo allontanarci, sia nel tempo sia nello spazio”, osserva Chiriatti: “Senza vicinanza non la si può capire, ma senza distanza non possiamo immaginare le conseguenze sul mondo della sua applicazione”. E il mondo, oltre a essere plasmato dall’evoluzione naturale, è creato dallo sviluppo culturale di noi umani, con il supporto della tecnologia.
Ecco un paradosso, fa notare l’autore: chiediamo a un computer di prevedere il nostro futuro, o meglio la probabilità del suo verificarsi, ma senza l’intenzione di farci sottomettere. “La predizione della macchina non dovrebbe mai essere una sentenza”, spiega Chiriatti, e inoltre “è chiaro che occorre sempre di più il nostro giudizio per valutare la bontà dei risultati algoritmici”.
Il concetto di Intelligenza artificiale ha sempre creato divisioni e perplessità nella comunità scientifica, sia per l’uso del termine ‘intelligenza’, che non è ben definibile, sia per l’aggettivo ‘artificiale’, che non considera che a monte rispetto al lavoro delle macchine ci sono sempre operazioni umane, dunque basate sulla biologia.
Sarebbe meglio, quindi – è la riflessione dell’autore evidenziata nel titolo del volume – sostituire ‘intelligenza’, che ha un’accezione positiva, con ‘incoscienza’, visto che gli algoritmi, eseguendo regole che imparano autonomamente dai dati, “producono risultati senza alcuna comprensione e coscienza di ciò che stanno facendo”.
In effetti, la definizione ‘intelligenza artificiale’ è stata già più volte messa in discussione, e per vari motivi, ma una volta trasmesso un certo Input, anche nel mondo degli umani spesso è difficile tornare indietro e resettare qualcosa di consolidato.
“Digital Age”
Il Digital Age è una nuova epoca nella storia dell’Uomo: la potenza (e il potere) della tecnologia sta davvero cambiando tutto, ed è bene comprendere quanto e come trasforma le cose e ci sta trasformando. E quindi ‘Digital Age’ è anche il titolo dell’opera di Paolo Benanti, pubblicata da edizioni San Paolo nel 2020. Benanti, francescano del Terzo ordine regolare e teologo, si occupa di etica, bioetica, etica delle tecnologie. In particolare molti suoi studi si focalizzano sulla gestione dell’innovazione.
Nel volume si interroga su e approfondisce i profondi e veloci cambiamenti in corso, le caratteristiche della cultura contemporanea, le nuove coordinate esistenziali, le sfide aperte e da affrontare. Cerca di dare risposte e soluzioni a domande come: quali sono i nuovi strumenti e linguaggi del mondo in cui viviamo? Qual è la nuova cultura che preme sulle nostre tradizioni e abitudini e ci costringe a cambiarle profondamente? Chi è l’uomo nuovo del Digital Age?
E si affrontano alcune questioni molto rilevanti: i nuovi valori, il rapporto tra la tecnologia e la qualità della vita, le caratteristiche della cultura pop di oggi, i giovani e la famiglia e molto altro di questa nuova epoca digitale. Comprese le sfide del ‘postumano’, le intelligenze artificiali e l’algor-etica.
Benanti rimarca: “quando l’informatica è divenuta un’industria ha iniziato a essere il motore prevalente della nuova cultura sancendo definitivamente il cambio d’epoca. (…) I prossimi venti anni presenteranno cambiamenti tecnologici così profondi da rendere quasi irrilevante tutto ciò che è venuto prima. (…) È un po’ come passare dall’invenzione della scrittura all’invenzione del computer in una singola generazione”.
E osserva: “gli esseri umani come li conosciamo attualmente non hanno assolutamente idea di come adattarsi a tale velocita e portata del cambiamento”, e inoltre “è probabile che le nuove generazioni si ritroveranno a esercitare nuovi poteri su tutti i vari aspetti della vita molto più grandi di quelli finora possibili all’uomo. Il modo in cui gestiremo tale potere e solo immaginato. Ma ciò che ci aspetta potrebbe benissimo essere più differente da quello che noi siamo oggi di quanto noi lo siamo dai nostri antenati ominidi”.
“Il mondo in sintesi”
Dal catalogo Ikea al catalogo del mondo; il maggiolino, la Nasa e i nuovi gemelli digitali; oltre i bit: i qubit e le macchine quantistiche; biodesign tra assemblaggio e fabbricazione, sono solo alcuni degli argomenti (e dei capitoli) contenuti in ‘Il mondo in sintesi’, di Cosimo Accoto, edizioni Egea. Uscito nel giugno scorso, insieme ai precedenti ‘Il mondo dato’ (2017) e ‘Il mondo ex machina’ (2019) forma un’ideale trilogia sulla filosofia del digitale.
Nel volume, Accoto si chiede e chiede: “il cambiamento evocato dall’era della simulazione digitale è trasformativo a beneficio dell’umanità o è piuttosto distruttivo della vita su questo pianeta?”. E risponde: “naturalmente, quasi mai questioni estremamente articolate come la sostenibilità possono leggersi dentro una dicotomia così perentoria e definitiva”. Tuttavia, “nei discorsi correnti, il confronto rimane drammaticamente divisivo”.
Per una parte degli esperti e degli analisti, le tecnologie digitali sono proprio all’origine dell’attuale stato di sofferenza, degrado e sfruttamento di risorse e persone. Per un’altra parte di ricercatori e professionisti, le tecnologie soprattutto digitali, tra cui l’AI, consentono invece proprio di “osservare queste criticità insostenibili e possono contribuire a individuare e progettare soluzioni migliorative, disinnescando il declino e il collasso del Pianeta”.
Di volta in volta e a seconda delle fazioni, la tecnologia manifesta, allora, la sua potenza salvifica o, viceversa, la sua forza distruttiva. È accaduto per l’industrializzazione, sta accadendo per la digitalizzazione. Accoto fa notare: “la tecnologia sarebbe allora, insieme, ‘ruina’ e ‘remedio’ per riprendere due concetti che Machiavelli assegnava all’arte della politica: essere rovina e rimedio al tempo stesso. Pharmakon, dicono i filosofi, medicina e veleno insieme”.
Libri e intelligenza artificiale: la storia dell’AI
“L’intelligenza non è artificiale”
Era il gennaio 1983 quando la rivista inglese Time assegnò per la prima volta nella sua storia il premio di ‘persona dell’anno’ non a un essere umano ma al personal computer. Quella celebrazione in copertina sanciva una svolta epocale, l’inizio di una rivoluzione guidata da un ‘cervello’ elettronico.
Ma Rita Cucchiara risalta un concetto essenziale già nel titolo del suo libro ‘L’intelligenza non è artificiale’, pubblicato da Mondadori, sottolineando così che queste nuove tecnologie sono sì delle macchine di calcolo potentissime e velocissime, ma la loro cosiddetta ‘intelligenza’ è anche “frutto del pensiero, del controllo e del comportamento umano. Siamo noi i suoi maestri e i suoi giudici. Quindi saranno il nostro sentire, la nostra cultura e il nostro umanesimo a disegnarne il futuro”.
Con il tempo, da quei lontani Anni ’80, l’AI ha smesso di cercare di riprodurre il nostro modo di ragionare, non è più un ‘Imitation game’, come l’aveva chiamato ancora tre decenni prima il già citato Alan Turing. È diventata una forma di intelligenza diversa, che partendo dai dati e dall’esperienza è capace di imparare e quindi di parlare, vedere, sentire, guidare, muoversi e interagire con gli esseri umani.
L’AI lavora con l’uomo nella medicina elaborando migliaia di immagini, nell’industria, nella finanza, supporta la sicurezza nazionale e “può diventare pericolosa se progettata o utilizzata in modo sbagliato”, ribadisce Cucchiara, perché “come ogni tecnologia, non è né buona né cattiva”, ma può essere usata in modo corretto oppure inopportuno.
La Scienza, per principio, è libera, democratica e al servizio dell’Umanità, ma “proprio per questo serve una struttura normativa internazionale adeguata e allineata, perché più una tecnologia è potente, più deve essere affidabile e sicura”.
“Intelligenze artificiali e aumentate”
L’AI viene classificata considerando l’abilità di imitare le capacità umane e il loro rapporto tra tecnologia, mondo reale e aspetti neurologici, viene sottolineato in ‘Intelligenze artificiali e aumentate’, a cura di Marco Pironti (Egea).
Da ciò ne emergono tre tipologie: AI stretta, generale e super-intelligenza artificiale. L’AI stretta “presenta limitate abilità per lo più riguardanti le Exploitative routine, l’AI generale imita le capacità umane come le Explorative routine”, rileva Pironti. In pratica, le Exploitative routine si basano su attività ripetitive e di imitazione; invece, le Explorative routine fanno leva sull’intelligenza creativa e critica.
La super-intelligenza artificiale, invece, supera le capacità umane. “Pur se distinte, le tre tipologie rientrano nella macrocategoria delle innovazioni Disruptive che, come definite da Schumpeter, stanno rivoluzionando l’ambito sociale, economico e politico”.
Ad esempio, l’imprenditore continua a sfruttare le opportunità offerte dal mercato e con maggiore prontezza proprio grazie all’AI, per la sua abilità di potenziamento delle capacità umane. Ma, fa notare Pironti, “sembra utopico che l’AI possa sostituire l’individuo, soprattutto nella creazione d’impresa dove vi è una prevalenza di Explorative routine e, dunque, di capacità creative e critiche, ancora oggi proprie dell’essere umano”.
“Intelligenza artificiale”
Pubblicato nel 2020, i temi e le prospettive che tratta è ancora di grande attualità: si tratta di ‘Intelligenza artificiale’, scritto da Jerry Kaplan, esperto in materia e tra i pionieri della Silicon Valley, pubblicato in Italia da Luiss University Press.
Il saggio di Kaplan tratta l’AI dalle origini ai giorni nostri, articolando il percorso di sviluppo tra reti neurali e Machine learning, ragionamento simbolico e robotica, computer quantistici e libero arbitrio. E l’esperto rileva: “corriamo davvero pericoli dovuti a un auto-miglioramento fuori controllo dell’AI e con conseguenze imprevedibili per il genere umano? Io ritengo di no. La possiamo chiamare ‘intelligenza artificiale generale’, ma in fin dei conti si tratta sempre di risposte alle nostre domande. (…) Non vedo ragioni perché debba avvenire un simile salto di qualità da strumento utile a pericoloso essere intelligente, senza la volontà o il tacito consenso di nessuno”.
Tuttavia, una macchina progettata per prolungare la propria esistenza a qualsiasi costo “potrebbe in effetti sviluppare strategie e obiettivi che i suoi creatori non avevano previsto. Persino spazzare via il genere umano. Come si dice in questi casi, attenti a ciò che desiderate, perché potreste ottenerlo”.
Quindi Kaplan profetizza: “nei prossimi decenni, l’IA tenderà fino al limite massimo il nostro tessuto sociale. Se il futuro sarà un’era di benessere e libertà senza precedenti come in Star Trek, o se somiglierà piuttosto allo stato di guerra permanente tra umani e macchine di Terminator, dipenderà in gran parte da quello che faremo noi”. È quel “in gran parte” che inquieta un po’, nel bivio e nella prospettiva tra Star Trek e Terminator.
“Comunicazione Artificiale”
Nel mondo, più o meno luccicante, dell’AI, un’incognita ricorrente e spinosa è proprio questa: non è che le macchine stanno diventando troppo intelligenti? Ma anche secondo Elena Esposito tracciare questa sorta di analogia tra algoritmi e intelligenza umana è fuorviante. E spiega perché in ‘Comunicazione artificiale’ (Bocconi University Press – Egea).
Docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso le Università di Bielefeld (Germania) e Bologna, Esposito sottolinea che se le macchine contribuiscono all’intelligenza sociale non è perché hanno imparato a pensare come noi, ma perché hanno imparato a partecipare alla comunicazione. Dobbiamo quindi pensare alle macchine ‘intelligenti’ non in termini di intelligenza artificiale ma in termini di comunicazione artificiale. E per fare questo abbiamo bisogno di un concetto di comunicazione che sappia prendere in considerazione la possibilità che il partner con cui interagiamo non sia un essere umano ma un algoritmo.
Partendo da questa considerazione, il saggio indaga l’uso degli algoritmi in diverse aree della vita sociale, approfondendo temi come la proliferazione di liste online (fondamentali per il funzionamento del web), l’uso della visualizzazione, la profilazione digitale e l’individualizzazione algoritmica – che personalizzano un medium di massa con playlist e raccomandazioni – fino ad arrivare al nuovo orizzonte della ricerca sulle forme artificiali di intelligenza: la previsione algoritmica.
L’autrice mette in evidenza: “il risultato di queste innovazioni, che può essere osservato già oggi, è una condizione in cui disponiamo di informazioni di cui spesso nessuno può ricostruire né comprendere la genesi, ma che ciononostante non sono arbitrarie”. Le informazioni generate autonomamente dagli algoritmi “non sono affatto casuali e sono del tutto controllate, ma non dai processi della mente umana. Come possiamo controllare questo controllo, che per noi può essere anche incomprensibile? Questa è la vera sfida che ci pongono oggi le tecniche di Machine learning e l’uso dei Big data”. Controllare e gestire l’Intelligenza artificiale significa, e significherà, gestire una grossa fetta del futuro di tutti.