Intelligenza artificiale

Che cosa succederà nei negozi con l’arrivo dei “robot-commessi”

Pepper, ideato dal gruppo giapponese SoftBank, viene testato da Nestlé e Mastercard come venditore in grado di interagire direttamente con il cliente. Per ora il modello è B2B, ma si guarda alla commercializzazione su larga scala. Anche perché società come Sony e Toyota hanno già pronti i loro automi per uso domestico

Pubblicato il 11 Gen 2017

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La robotica è da tempo applicata a vari settori, dalla produzione industriale alla difesa, dall’aerospaziale alla domotica alla microchirugia, ma negli ultimi tempi sta invadendo anche il campo della vendita al dettaglio. A dimostrarlo è la crescente affermazione di Pepper, robot umanoide creato dal gruppo giapponese SoftBank: un vero e proprio commesso inanimato in grado di vendere pizze o macchine da caffè ai clienti o anche di fornire assistenza di tipo sanitario. Nei luoghi dove è stato testato questo umanoide altro circa 1,20 centimetri ha contribuito a incrementare le vendite dal 20 al 70%.

Giappone leader – La robotica umanoide si propone di realizzare robot dalle sembianze umane, dotati di intelligenza artificiale e in grado di agire autonomamente. Sono progettati per essere utilizzati prevalentemente in ambito domestico, ma ne esistono anche altri con finalità educative, con compiti di ricerca o di salvataggio di esseri umani. La nazione-guida in questo settore è il Giappone, dove si prevede che entro il 2035 circa metà dei posti di lavoro sarà rimpiazzato dalla robotica. È qui che da una quindicina di anni si lavora al robot umanoide più avanzato al mondo, Asimo, realizzato dalla Honda: sensori, servomotori e videocamere gli consentono di replicare i nostri movimenti e rispondere ai comandi vocali. Concorrente di Asimo è appunto Pepper, che i suoi creatori stanno orientando verso il settore retail, dove sembra stia riscuotendo ottimi risultati.

Cos’è SoftBank – È stata fondata a settembre 1981 a Tokyo da Masayoshi Son, all’epoca 24enne e oggi descritto come il numero due della tecnologia giapponese o anche il Bill Gates del Giappone. Masayoshi Son è riuscito a trasformare un piccolo distributore di software per pc in un’azienda attiva nel campo dei media e delle telecomunicazioni che vale intorno ai 32,8 miliardi di dollari ed è costituita da 190 società affiliate o controllate. Popolarissimo sui social (vanta 1,5 milioni di follower su Twitter) e spesso accusato di megalomania, può però sfoggiare un primato: è uno dei pochi “re” della tecnologia mondiale già diventato amico del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, altrimenti non visto di buon occhio dalla comunità hi-tech per le sue posizioni conservatrici. Al miliardario americano, che gli ha spalancato di recente le porte della Trump Tower, ha promesso che investirà 50 miliardi di dollari negli Stati Uniti e creerà 50mila nuovi posti di lavoro. Contestualmente Trump gli ha garantito appoggio per rimuovere il veto che la Fcc, l’autorità americana per le comunicazioni, ha posto contro l’offerta di Sprint (controllata dal miliardario di Tokyo) su T-Mobile, un deal che potrebbe garantire a Masayoshi la leadership nelle Tlc degli Stati Uniti. Nel frattempo il giapponese non ha mai smesso di scommettere sull’evoluzione del proprio business: è per questo che ha puntato sulla robotica con Pepper. Sicuro, anche questa volta, di centrare il bersaglio.

Cos’è Pepper – Lanciato nel 2014, finora ne sono stati venduti 10mila esemplari. All’inizio è stato acquistato dai cosiddetti early adopters e dai fan più sfegatati dell’innovazione. “Nella prima fase i clienti erano più che altro sognatori con una visione – ha detto Kenichi Yoshida, alla guida del progetto di robotica di SoftBank sin dal suo inizio – ma oggi ci stiamo spostando verso i clienti ‘reali’ che peraltro vogliono un ritorno sul loro investimento”. A questo scopo i robot Pepper, alti circa un metro e venti, androgini e di colore bianco, sono stati approntati per diventare forza lavoro in settori come vendite, marketing e servizi al cliente: settori che possono essere automatizzati ma che richiedono a tutt’oggi una maggiore interazione di quella offerta da una macchina sic et simpliciter. In altre parole intervengono laddove si può inserire l’automazione ma è necessario controbilanciarla con comportamenti simili a quelli umani.

Le multinazionali e i robot – Tra i primi grandi acquirenti di Pepper c’è Nestlé, che ne ha dispiegato un piccolo esercito nei propri negozi per vendere le macchine per fare il caffè. La multinazionale farmaceutica statunitense Eli Lilly sta collaborando con SoftBank a un progetto pilota per utilizzare i robot per lo screening di fratture ossee possibilmente correlate all’osteoporosi: il piccolo Pepper interroga il paziente ed elabora i dati. Il lancio commerciale è previsto per la prossima primavera. MasterCard ha invece “incaricato” il robot di prendere gli ordini e processare i pagamenti negli spazzi di Pizza Hut in un progetto pilota che si svolge a Taipei, nell’isola di Taiwan. L’idea è di lanciarlo in grande scala in Asia nei prossimi sei mesi.

Al momento SoftBank punta sul B2B, Business to business, perché, come spiega Yoshida, “è il primo modo di ottenere il ROI (return on investment), dal momento che per i consumatori è ancora troppo costoso acquistare un robot Pepper. Per loro il prezzo è 10mila dollari per un contratto triennale, mentre nel B2B si aggira sui 500 dollari al mese in leasing ed è molto meno caro che assumere personale”.

Non tutti sono entusiasti dell’avvento dei robot nel retail. Oltre ai problemi relativi alla perdita di posti di lavoro, con inevitabili ricadute per l’intera società, restano dubbi sulle effettive possibilità di commercializzazione di Pepper. Un analista industriale, Morten Paulsen, l’ha definito “un iPad inanimato. Non sono convinto – ha detto – che le persone preferiscano interagire con un robot invece che con un essere umano. E, da quanto ho visto, Pepper sta ancora lottando molto con le sue capacità di comprensione, perciò ritengo sia necessario lavorarci su”.

Per ora Pepper è usato come commesso o assistente alla clientela, ma secondo i suoi creatori potrebbe essere utilizzato anche in sanità, per esempio per interagire con bambini autistici o pazienti affetti da Alzheimer, che sembra si trovino meglio con i robot che con gli esseri umani.

Intanto il mondo della robotica si sta popolando di protagonisti di ogni genere. Sony propone un nuovo cane robot, due anni dopo la dismissione del precedente modello Aibo, descritto a suo tempo come “un compagno canino che non lascia escrementi in giro e si nutre solo di elettricità”. E Toyota sta lanciando Kirobo Mini, un robot parlante che costa meno di 400 dollari, possiede (secondo i suoi ideatori) l’intelligenza di un bambino di cinque anni ed è in grado di imparare frasi e riconoscere le espressioni facciali.

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