Per le imprese è ormai un’affermazione ovvia: fare innovazione vuol dire preservare la propria competitività e rilevanza sul mercato, essere resilienti ai cambiamenti e adottare un approccio orientato al cliente. Per riuscirci occorre partire da una strategia solida e curare l’execution: per questo è importante la spinta del top management e la formazione di innovation team.
Nonostante il Covid, la guerra in Ucraina e le perturbazioni del quadro economico, oggi la maggioranza delle aziende è ancora impreparata a gestire il cambiamento, perché non fa abbastanza innovazione: le pratiche sono antiquate, mancano le tecnologie necessarie o le competenze per usarle. Lo scrivono gli autori dell’ultimo report di Board International: quasi tutte le organizzazioni a livello globale (97%; in Italia è il 99%) hanno realizzato una qualche forma di trasformazione della pianificazione a partire dal 2020, ma la grande maggioranza (90%; Italia: 81) riferisce di aver fallito almeno in parte nel proprio tentativo e di avere difficoltà a gestire i cambiamenti e la digitalizzazione.
Uno dei punti da migliorare è quello della leadership e della gestione dei team. Non è sufficiente avere dei gruppi di persone creative per arrivare a proposte di business vincenti. L’obiettivo, infatti, non è quello di fare innovazione in modo sporadico e casuale, ma riuscire a trasformare la propria organizzazione per cogliere nuove opportunità in modo strutturato e sistematico. A tal fine, sono essenziali l’impulso del top management, il metodo di lavoro per i i team d’innovazione, il coinvolgimento dell’intera organizzazione aziendale e, anche, la diffusione di una cultura dell’open innovation.
Innovazione aziendale, si parte dal CEO
Si parte, dunque, dal CEO, fondamentale per il successo dell’innovazione in azienda, anche perché spesso ci sono molte resistenze e barriere interne al cambiamento. A parlare di “top level buy-in” è stato anche Luigi Lucà, CEO di Toyota Motor Italia, durante l’evento di lancio, a Roma, di “Innovation Explorers”, il nuovo programma di intrapreneurship di Toyota Motor (l’evento è stato introdotto dal “nostro” Alberto Onetti).
Lucà ha identificato i tre compiti principali che un CEO deve svolgere per sostenere il processo di innovazione di un’azienda. Il primo è facilitare – non creare – l’innovazione: “Ciò significa dare sufficiente libertà per poterla realizzare mettendo a disposizione strumenti, spazi ed organizzazione”, ha affermato.
Il secondo compito è stimolare l’innovazione in tutta l’azienda: “Ciascun dipendente può essere ispiratore di una idea innovativa. Non c’è bisogno di una specializzazione particolare per contribuire all’innovazione, anche se ci vuole un gruppo specializzato che ne coordini e guidi le attività”.
Terzo compito: indicare gli obiettivi dell’innovazione: “Dobbiamo sapere per quale motivo stiamo facendo l’innovazione. Se, da un lato, dobbiamo spingerci il più lontano possibile dal nostro spazio per poter acquisire nuove idee e modi di fare, dall’altro, dobbiamo avere sempre in mente il motivo per il quale lo facciamo. In caso contrario, sarà molto difficile realizzare e portare dentro la nostra organizzazione idee per quanto splendide”.
Le regole d’oro degli innovation team
Secondo la 24 Ore Business School, per fare innovazione in azienda occorre coinvolgere tutti i comparti aziendali: i manager devono rendere tutti i team innovativi.
Inoltre, come già sottolineato da Lucà, l’innovazione deve avere una direzione. I manager devono partire da un effettivo bisogno, che sia interno all’azienda (nel caso, per esempio, dell’innovazione di un processo) o che riguardi i clienti (nel caso di una nuova offerta).
Un altro fattore importante è far dialogare tra loro i diversi team. Anzi, il dialogo deve uscire dal perimetro aziendale: elemento essenziale dell’innovazione è aprire il processo innovativo agli attori esterni all’azienda, come fornitori, partner, clienti, startup e università. Non bastano più i centri R&D interni: è necessario chiamare a raccolta tutti gli interlocutori dell’ecosistema, attuando quella che viene chiamata open innovation.
Non bisogma poi dimenticare che l’innovazione è essa stessa sempre in cambiamento. I team dedicati all’innovazione devono quindi essere pronti ad evolvere continuamente e rapidamente se quell’innovazione non funziona più o non risponde più agli obiettivi aziendali.
Organizzare un innovation team
Anche se tutte le persone in azienda sono chiamate ad assumere un approccio favorevole all’innovazione, le imprese possono dar vita a specifici gruppi di lavoro dedicati alla generazione di nuove idee. Un modello da seguire può essere quello degli Innovation team, ovvero dei team assemblati con l’obiettivo di sviluppare e implementare nuove proposte, prodotti, servizi o processi, sperimentando idee creative, cercando soluzioni a sfide complesse e facendo da traino per tutta l’organizzazione.
Per formare questi team si parte – come abbiamo già visto – dall’identificazione delle sfide e degli obiettivi. In secondo luogo, si scelgono le persone in modo che includano competenze diverse, esperienze e prospettive uniche: la diversity contribuisce enormemente alla creatività e il metodo di lavoro deve favorire il brainstorming.
Le idee sono poi valutate e selezionate in base a criteri precedentemente stabiliti, come l’impatto e il potenziale valore, e le migliori selezionate per ulteriori sviluppi e la prototipazione.
Si procede quindi a testare e valutare i prototipi per raccogliere feedback e apportare eventuali miglioramenti. Questo processo può comportare cicli di iterazione per ottimizzare le soluzioni proposte. Una volta che una soluzione innovativa è stata sviluppata e testata con successo, viene implementata a livello aziendale o organizzativo.
Il processo non finisce qui: l’innovazione viene monitorata nel tempo per misurare il suo impatto e apportare ulteriori miglioramenti se necessario.
L’open innovation e la cultura dell’innovazione
Il modello dell’Open Innovation è ormai sinonimo di innovazione tout court, come si legge nel più recente Osservatorio Startup Intelligence del Politecnico di Milano (che da quest’anno prende il nome di Osservatorio Startup thinking). Lo studio evidenzia che le aziende si dedicano in maniera sempre più diffusa alle pratiche di Open Innovation: l’adozione nelle grandi imprese è passata dal 57% all’83% negli ultimi 5 anni, e sempre più spesso tutte le attività di innovazione sono connaturate da approcci aperti, in cui le startup rappresentano un importante alleato.
La promozione di una cultura dell’innovazione all’interno e all’esterno dell’organizzazione è un ulteriore importante per dare vita a team e imprese innovative. Ciò implica cla promozione dell’apertura al cambiamento, l’incoraggiamento all’esplorazione di nuove idee e la creazione di un ambiente in cui l’innovazione è premiata e in cui si impara anche a valorizzare il “fallimento” se assume le forme di “apprendimento”.