Pmi e startup, è possibile che le piccole e medie imprese italiane si facciano ispirare dalle giovani società innovative? L’economia italiana da almeno vent’anni sta perdendo la sfida della produttività. Le nostre imprese in prevalenza piccole e familiari fanno fatica ad affrontare le sfide che il mercato impone. In molti settori è cambiata la dimensione minima necessaria per competere e questo impone di rimettere in discussione l’assetto proprietario ed organizzativo. Favorirne la crescita dimensionale dovrebbe diventare una priorità per il Paese perché l’Italia (non nascondiamocelo) ha un debito verso di loro.
Molte sono le imprese eccellenti, campioni del made in italy nel mondo, molte di più però sono quelle che fanno fatica, che si accontentano dei risultati raggiunti ed appaiono come assopite, smarrite ed incapaci di riacquistare quella dinamicità che le caratterizzava in passato.
Imparare dalle startup? Una provocazione o forse no…
Queste ultime devono riscoprirsi startup nel rimettere in discussione il proprio business model, nell’ossessione verso la pianificazione (nella PMI i tempi spesso li detta il cliente, non il progetto di sviluppo aziendale) e nella tensione se non alla exit quanto meno alla valorizzazione dell’azienda. Velocità, innovazione, crescita dimensionale, apertura della compagine sociale a nuovi investitori, forte attenzione ai talenti, ecc. fanno sì che oggi anche le PMI più tradizionali debbano iniziare a dialogare con le startup e ispirarsi al loro.
In Italia abbiamo bisogno di tornare ad essere curiosi. Abbiamo altresì bisogno di riscoprire la nostra identità. Perché innovare non significa rinnegare la storia della propria azienda ma al contrario saperla rinnovare, valorizzandola, puntando tutto su identità e coerenza.
Il rischio più grande che oggi corriamo è quello di affrontare le nuove sfide che il mercato ci pone (innovazione, tecnologia, globalizzazione, ecc) con modelli di business vecchi, di sentirci innovativi per aver acquistato un nuovo software o un nuovo impianto, non per l’uso che ne facciamo, non per il valore creato. Parliamo tanto di innovazione, forse troppo, dimenticandoci che non sempre tanta tecnologia si traduce in vera innovazione ed in creazione di valore.
Quelle scelte imprenditoriali non più rimandabili
Per crescere, le PMI devono vincere la tentazione di rimandare eternamente alcune scelte, e imparare ad affrontare i sempre più frequenti momenti di discontinuità strategica (adozione di una nuova tecnologia, passaggio ad un nuovo modello di business, acquisizioni, cessioni) e/o familiare (passaggio generazionale).
La tendenza alla concentrazione che caratterizza ormai molti settori pone l’imprenditore difronte ad una decisione fondamentale: crescere (e questo comporta spesso trovare nuovi investitori ed ampliare la base societaria) o cedere l’azienda. Risulta evidente come, in entrambi i casi, la valutazione d’azienda debba smettere di essere vissuta come una attività straordinaria e trasformarsi in una bussola per guidare la gestione quotidiana dell’impresa.
Perché in un mondo che cambia così velocemente è solo la creazione di valore che può fare da stella polare impedendo di perderci tra mode e bolle effimere.
La PMI deve abituarsi ad analizzare il proprio business con gli occhi dell’investitore per fugare il rischio di accontentarsi e di essere eccessivamente indulgente verso se stessa. Inoltre, da sempre abituata a procedere per innovazioni incrementali, deve trovare il coraggio di ripensarsi completamente ridisegnando, ove occorra, il proprio modello di impresa.
Noi professionisti da parte nostra dobbiamo accompagnarle nel percorso e dobbiamo farlo (imparare a farlo, se preferite) in fretta, perché il mondo è cambiato. Le energie di tutti devono essere focalizzate su innovazione e rinnovamento, non su altro, e occorre un dialogo virtuoso tra università, associazioni di categoria, imprese e professionisti. Anche il passaggio generazionale può e deve diventare una straordinaria benché faticosa occasione per ripensare l’impresa e favorirne la crescita.
Ricordandoci sempre però che cambiare per una PMI è più difficile perché ha più da perdere rispetto ad una startup. Spesso provengono da storie di successo, hanno tradizioni (anche familiari) di cui andare orgogliosi e per loro è più facile rimanere prigioniere del dilemma dell’innovatore.
Lavorare sui punti di contatto affinchè le PMI aprano il loro mercato alle startup
PMI e startup appartengono a due mondi apparentemente lontani. Quando sostengo che le PMI devono tornare a pensare come startup i puristi di entrambe le fazioni storcono un po’ il naso. Io invece credo che per quanto diverse PMI e startup possano avere alcuni punti in comune su cui lavorare.
È necessario trovare una sintesi che tenga insieme l’approccio alla pianificazione, l’ossessione alla crescita e alla riconfigurazione del mercato delle startup con la forza della tradizione e la capacità di gestione di risorse proprie delle PMI affinché queste possano innovare e creare valore in un mondo in cui tecnologia e globalizzazione stanno completamente cambiando gli scenari. Le PMI hanno bisogno di apprendere dalle startup come innovare o forse in alcuni casi, se il lettore accetta la provocazione, come tornare a fare impresa. Le startup hanno bisogno del mercato rappresentato dalle PMI per crescere, per trovare nuovi clienti, per vendere innovazione.
Ecco perchè ci ostiniamo a tifare per le PMI. Dovrebbe farlo anche il Paese.