La buccia di banana sulla quale è scivolata la società americana Woodman Labs, proprietaria del marchio GoPro, ci riporta all’inizio del secolo scorso. Era il 1903 quando King Camp Gilette, in un disperato tentativo di vendere più rasoi, capì che doveva inventare qualcosa che le persone utilizzavano e buttavano via. Spese i successivi 20 anni nel riversare sul mercato americano migliaia di rasoi venduti al ribasso, oggetti inutili di per sé, con la speranza di creare domanda per lamette usa e getta che assicurassero flussi di vendite continuative e (quasi) prevedibili in futuro. Erano gli albori di un modello di business che ora chiameremo Subscription.
Qualche miliardo di lamette dopo, questo modello di business è il pilastro portante di interi mercati, non solo digitali. La sua appetibilità è intuitivamente evidente sotto tanti fronti. Qualche esempio? Una domanda ricorrente di servizi contrattualmente stabiliti lungo periodi di tempo definiti, abitudini di acquisto con barriere all’uscita, flussi finanziari prevedibili se non certi, incassi precedenti ai costi sostenuti per produrre e consegnare quel determinato bene o servizio.
Non deve quindi stupire che il vantaggio del modello, a maggior rendimento e minor rischio rispetto alla vendita one-time di un singolo bene, venga riflesso anche nella valorizzazione delle aziende che riescono a interpretarlo al meglio.
Ne consegue quindi che multipli EV/Sales e EV/Ebitda, benchmark di riferimento per round di private equity o IPO, di social network, media companies digitali e tradizionali, o semplicemente di qualsiasi azienda con una significativa percentuale di fatturato ricorrente, siano più elevati (eccezione fatta per il mercato del lusso) dei medesimi business incentrati su vendite one-time.
In una interessante intervista (si veda qui) il fondatore di Zuora Tien Tzuo sostiene che
“Every Business Will Soon Be a Subscription Business”.
I numeri parlano chiaro: il “mercato subscription” è passato da 57 milioni di dollari nel 2011 a 2,6 miliardi nel 2016.
L’idea di transitare dal concetto di “unknown customer” ad un modello in cui, a tendere, la forza commerciale si occuperà principalmente di contract renewals è allentante, così come è allettante l’idea di vedere cambiare il valore della propria azienda a seconda del modello di business adottato e non del bene prodotto.
Come spesso accade però, la tentazione di creare valore dal nulla è dietro l’angolo. E così succede che aziende fortemente orientate al cliente, con una proposta di valore chiara e un prodotto focalizzato, si lascino tentare dalla scorciatoia della massimizzazione del valore aziendale piuttosto che dalla massimizzazione del valore prodotto per i propri clienti.
Il caso Go Pro: dalle stelle allo stallo
Un esempio su tutti? GoPro, marchio di proprietà della società californiana Woodman Labs che fornisce videocamere e fotocamere wearable resistenti all’acqua e agli urti, considerate parte della fotografia d’avventura
GoPro, all’alba dell’IPO nel 2014, si ritrova al cospetto di un mercato azionario che esprime i seguenti rapporti EV/Sales:
- Traditional Media: 2.4x
- Digital Media: 3.7x
- Social Media: 8.5x
- Aziende Consumer Electronics – Nikon: 1,1x; Canon: 0,6x
I numeri di Gopro:
- Ricavi 2013: $1bln
- Net Profit: $60mln
In pratica, tra l’essere un’azienda Consumer Electronics (1x revenues) e una Digital Media (4x revenues) ballano $3 bln di valutazione. GoPro costruisce così la sua Equity Story sulla forte crescita di fatturato (+100% yoy) e sulla monetizzazione della user base (non sulla vendita di dispositivi). Si propone come azienda di media entertainment ottenendo una valorizzazione di 3x i ricavi, in linea o quasi con questo mercato. Investe gran parte dei proceeds dell’IPO nella neocostituita divisione Media, assume 900 persone in 18 mesi per capitalizzare su sharing di video dei propri utenti. Risultato?
- Perdita di focalizzazione sulla divisione Core
- Lancio e ritiro immediato del drone Karma
- Stallo del fatturato
- Perdita di marginalità fino a un Net Profit fortemente negativo
- Crollo della Market Cap (e del multiplo EV/Sales implicito)
Dopo anni di stallo di vendite, e liquidità bruciata, centinaia di dipendenti licenziati, nel 2018 GoPro ritrova focalizzazione sulla divisione prodotti, vendite 1Q18 +20% sul 2017 e un modello subscription basato su storage e cloud in linea con il core business.
Quali insegnamenti possiamo trarre dall’esperienza GoPro?
Credo che il rapido sviluppo tecnologico, la capacità di elaborare dati e profilare con maggior sofisticazione i clienti abbiano consentito a chi fa business di recepire con più attenzione i bisogni del mercato, accorciando catene distributive e assicurando prossimità e relazioni con clienti fino a poco tempo fa non pensabili. In questo scenario, una subscription deve essere un elemento di maggior valore per il cliente e non un banale metodo per barriere all’uscita. Al contempo, non c’è nulla di male nel continuare a costruire e vendere prodotti.
Un Subscription Model non deve essere perseguito a tutti i costi ma soprattutto l’innovazione di modello di business deve portare valore ai clienti, non valore finanziario fine a sé stesso.
Infine, concludo citando le parole di Nick Woodman, fondatore di GoPro:
- [Per gli investitori] non sarà mai abbastanza ciò che sei oggi. Nella ricerca del domani stai attento a non perdere focus su cosa ti rende di successo oggi
- Saper far bene una cosa non vuol dire saperle fare bene tutte
- Attieniti a quello che guida la tua passione e la tua visione
- Semplice è meglio. Non aumentare le complessità inutilmente