Da sempre, la ricerca universitaria alimenta l’innovazione e il progresso, e oggi più che mai le imprese ne hanno bisogno per costruire o rafforzare il proprio vantaggio competitivo. Tuttavia, commercializzare, o meglio industrializzare la ricerca trasformando alte competenze in storie imprenditoriali di successo resta un iter ricco di sfide. Burocratiche, organizzative, culturali, di comunicazione, di mindset e, ovviamente, di resilienza.
Industrializzazione della ricerca universitaria: l’incontro fra domanda e conoscenza
Per dar vita a progetti imprenditoriali vincenti, la ricerca deve intercettare la domanda del mercato, cosa peraltro piuttosto agevole considerando le relazioni che gli atenei hanno con l’industria, ma soprattutto deve muoversi sempre sulla frontiera della conoscenza nei vari ambiti di applicazione.
A tal proposito, Francesco Timpone, docente del Dipartimento di Ingegneria industriale dell’Università di Napoli, sostiene che un ateneo deve in primis miscelare correttamente la ricerca di base, ovvero la speculazione scientifica pura, e quella applicata, facendo in modo che lo stato dell’arte della ricerca sia indirizzato verso la soluzione di problemi attuali e tangibili. “Se l’Università parte con questo indirizzo, la gestione di problemi concreti diventa un’occupazione quotidiana, le sfide diventano soluzioni che, a loro volta, possono sfociare in attività imprenditoriali”. Inoltre, è essenziale che gli atenei mostrino un’assoluta apertura nei confronti dei percorsi imprenditoriali, ovvero non siano ancora vincolati a un mindset tradizionale fondato sulla separazione netta tra carriera accademica e imprenditoriale.
Professore e imprenditore, quindi: Timpone è anche uno dei founder di Megaride, spin-off accademico appunto che sviluppa algoritmi per il controllo degli pneumatici e che in sette anni ha acquisito una reputazione internazionale con clienti che vanno dalla Formula 1 alla MotoGP. La storia di Megaride è un esempio di trasferimento tecnologico di successo, e può dunque fare luce sulle sfide insite nel percorso e sui requisiti necessari per una solida commercializzazione, o meglio industrializzazione della ricerca.
La sfida: dal mindset ricerca a quello imprenditoriale
Il fatto che ci sia una domanda e che la ricerca abbia delle risposte non determina automaticamente l’avvio di un’attività imprenditoriale. La sfida più grande, sottolinea Timpone, è “passare in questa fase dalla mentalità della ricerca a quella della creazione (e commercializzazione, ndr) di un prodotto”.
Nel caso di un bene immateriale come gli algoritmi di Megaride, industrializzare significava infatti porsi tutti i problemi che si sarebbe posta una software house e che sono ben diversi da quelli della ricerca. Strutturare un prodotto che non era pensato per essere tale, sviluppare la parte di manutenzione, gli aggiornamenti e anche quella legale apre diverse sfide. E curiosamente, ne apre anche di tecniche: Timpone ci spiega che, sempre in ottica di industrializzazione, è stato necessario acquisire competenze esterne per trasformare i software dell’azienda, scritti in linguaggi di ricerca, in prodotti veri e propri, realizzati con linguaggi commerciali.
Il ruolo e le caratteristiche dell’incubatore
Parte della complessità, ma anche del fascino, di questo percorso è il coinvolgimento di diversi soggetti, primo fra tutti l’incubatore. “Probabilmente l’azienda sarebbe nata lo stesso, ma nel nostro percorso l’incubatore (Campania NewSteel, ndr) è stato fondamentale. Da lì si è anche aperto l’orizzonte dei bandi e dei finanziamenti per continuare a fare ricerca e investire sull’innovazione”. Secondo Timpone, la qualità principale di un incubatore deve essere la capacità di comprendere quali siano le lacune del team imprenditoriale e di attivarsi per colmarle. Nel caso della ricerca scientifica, spesso le fortissime competenze tecniche non si accompagnano ad analoghe capacità manageriali, da cui il ruolo centrale dell’incubatore in termini di indirizzo, sostegno e formazione.
Il vantaggio competitivo: mantenere il legame con la ricerca
Una volta sul mercato, l’azienda parte poi con un vantaggio competitivo derivante dalla ricerca stessa, ma si trova a competere con i giganti. In questa fase, occorre puntare sulle caratteristiche di flessibilità e di agilità della struttura, ma anche mantenere rigoglioso il legame con la ricerca.
Il segreto, infatti, è porsi sempre “un po’ oltre la frontiera della ricerca per mantenere vivo il vantaggio competitivo. La spin-off si interfaccia con grandi aziende che non solo possono acquistare il prodotto, ma anche porre un problema. L’azienda fa suo il problema e lo condivide con l’Università, che a sua volta ha l’occasione per approfondire tematiche che diversamente non le sarebbero arrivate”.
Se tutto funziona e se il mindset è quello giusto, a quel punto gli studenti si formano su tematiche di frontiera e, dopo la tesi, possono anche essere assunti dalla spin-off stessa. Si crea, in sostanza, un circolo virtuoso di competenze, o meglio di applicazione delle competenze alle sfide del mercato.
Infine, ma certamente non per importanza, Timpone sottolinea quanto l’elemento decisivo per una storia di successo restino le persone. “In un iter complesso, il team imprenditoriale è l’artefice del destino del progetto. È quindi essenziale che il gruppo abbia una visione comune e creda negli stessi valori”. La condivisione non può mancare, ma è anche necessaria una formazione etica e di rispetto reciproco, poiché le difficoltà fanno parte del percorso, e sta sempre alle persone – come team – trovare le forze per superarle.