Si sente parlare sempre più spesso – per fortuna – di quarta rivoluzione industriale, di industria4.0 o, più genericamente, di economia 4.0. Di che cosa stiamo parlando? Di una forte penetrazione delle tecnologie digitali (internet of things, big data, cognitive learning, cloud, mobile, ecc.) nella manifattura italiana e, più in generale, nell’economia italiana, che abilita nuovi modelli di business, nuovi assetti organizzativi, nuovi mercati, nuove filiere.
A che punto è in Italia la quarta rivoluzione industriale? Per ora semplicemente annunciata, ma si prospetta già il rischio di un avvio lento, a macchia di leopardo, poco convinto. Le ragioni sono numerose, ma quella di gran lunga più importante è la grande barriera culturale che frena da anni l’innovazione digitale del nostro Paese: in Italia la consapevolezza che la diffusione e l’adozione delle tecnologie digitali, insieme alla nascita di startup e alla formazione di una nuova classe imprenditoriale, sia l’unica via possibile per avviare una nuova fase di sviluppo economico è ben poco diffusa, a tutti i livelli. Questa coscienza manca ancora a troppi imprenditori, manager, professionisti, accademici, politici, giornalisti, dirigenti pubblici.
Come si supera questa barriera? Come riuscire nel nostro Paese a generare la necessaria attenzione alla trasformazione digitale? Con i riflettori della politica. Abbiamo visto in altri casi, e in parte lo stiamo vedendo anche con il piano Industria 4.0, che quando l’iniziativa del Governo o dei partiti si porta dietro l’attenzione di giornali, radio, tv, creando così interesse in quella classe dirigente il cui mindset è ancora condizionato dai media tradizionali. A catena si genera anche la diffusione di slogan, parole chiave che comunque finisco per creare un clima favorevole al cambiamento. Questo effetto si ottiene, però, solo se c’è continuità, sia a livello nazionale sia a livello locale, e tutto non si esaurisce nell’exploit di un annuncio o nel dibattito attorno a un provvedimento legislativo. In una sola parola, la classe dirigente, a partire dalla politica, deve esporsi sul fronte della trasformazione digitale per creare quella consapevolezza che ancora manca.
Sia ben chiaro, la situazione non è certo statica. Qualcosa ha cominciato a muoversi e ogni tanto non mancano i segnali di accelerazione. Non bisogna abbassare la guardia. Guai a pensare che basti un nuovo incentivo, un nuovo incarico governativo o una nuova norma per poter considerare superati i nostri gap tecnologici e culturali o addirittura per poter dichiarare finita la rivoluzione digitale. Siamo solo ai primi passi. E saremo in grado di fare i successivi solo se la via sarò ben illuminata dai riflettori, a partire da quelli della politica.
* Andrea Rangone è CEO di Digital360 e fondatore degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano