Siamo sulla Via Italiana per l’Industria 4.0, il percorso è chiaro e la “macchina” del Made in Italy è avviata. Non ci sono segnali “stradali”, non ci sono mappe, ma appare chiara la determinazione di imprese che stanno reinterpretando la propria esperienza imprenditoriale con l’integrazione e la collaborazione che arriva dal digitale. Ed è una collaborazione che questa volta supera i confini tra le persone, qualunque sia il loro ruolo e la loro posizione in azienda e supera, nello stesso tempo, grazie all’IoT, anche la comunicazione tra le cose, tra i sistemi di produzione, tra gli ambienti, coinvolgendo gli stessi prodotti che attraversano tutta la filiera produttiva e arrivano nei nostri uffici o nelle nostre case.
Per capire la ricchezza di questa opportunità ci affidiamo alla definizione di Industria che ci arriva da Michele Dalmazzoni, Michele Dalmazzoni, responsabile commerciale Mercato Collaboration e Industry 4.0 di Cisco Italia, uno dei protagonisti de La Via Italiana all’Industria 4.0, l’evento organizzato da Cisco in collaborazione con EconomyUp e Internet4Things del Gruppo Digital360.
Dalmazzoni fissa un punto chiaro e semplice: l’Industria 4.0 è (semplicemente) l’impatto della digitalizzazione su tutta l’industria, ovvero la digitalizzazione applicata a tutta l’azienda senza più barriere o vincoli. Ed è anche il dialogo, finalizzato al raggiungimento di chiari obiettivi di business, tra persone, oggetti e aziende.
Alla chiarezza di questo messaggio si associano altri due temi altrettanto chiari e forti che arrivano dai protagonisti di questa giornata: l‘Industria 4.0 è alla portata di tutte le imprese (anzi è una occasione di sviluppo che le imprese del nostro paese non devono lasciarsi sfuggire). E non c’è proprio tempo da perdere: tutte le opportunità per partire ci sono, e sono adesso.
Dal professor Marco Taisch del Politecnico di Milano arriva un segnale di attenzione sui fattori chiave che hanno condotto
all’Industry 4.0 nel nostro paese: L’Italia resta la seconda potenza in Europa nella manifattura, ma segna un lento regresso, dal quarto posto del 1990 al settimo nel 2014, nella classifica del manifatturiero mondiale. C’è un bisogno forte di recuperare competitività e posizioni e di competere con una industria tedesca che ha fatto dell’Industrie 4.0 una bandiera a livello nazionale. A questo segue il tema dell’importanza del peso del settore manifatturiero sul PIL e a fronte di una media mondiale del 18% l’Italia si ferma al 15,4%, mentre paesi come la Germania superano ampiamente il 22%, per non parlare della Cina che vola al 35,9%.
Taisch ricorda di non fermarsi alla lettura del PIL direttamente correlato al manifatturiero. I benefici di questo volano si concretizzano in servizi e c’è un richiamo ai dati Istat da dove emerge che il PIL generato dalla manifattura raddoppia i propri benefici anche nella forma di attività e business in servizi direttamente legati all’output industriale.
Anche per questo Taisch sottolinea che non ci si deve limitare a considerare l’Industria 4.0 come una nuova rivoluzione industriale, ma come una “Rivoluzione delle Rivoluzioni”, ovvero come una “Rivoluzione Culturale“. prima di tutto perché incide direttamente sul modo di fare azienda e poi perché cambia l’intero sistema di relazioni tra imprese e tra imprese e consumatori.
Ma che sia Industriale o culturale per questa rivoluzione i tempi sono stretti. «Se non ora quando» afferma Taisch. «Adesso, con il Piano nazionale Industria 4.0 – afferma – ci sono tutte le condizioni per partire e per Fare». Ma non bisogna perdere di vista il quadro più generale e sempre Taisch ricorda che se i megatrend economici spingono verso l’Industria 4.0 e l’innovazione, occorre fare attenzione a non dimenticare i grandi temi del clima, così come anche quelli legati all’accesso e alla disponibilità di materie prime e dell’energia e così pure quelli che vedono la crescita a dismisura di grandi megalopoli. L’Industria 4.0 non è “un mondo a parte”. E proprio in questo senso va letto il richiamo di Taisch al fatto che con l’Industria 4.0 si può ragionevolmente pensare anche a una opportunità di reshoring, di un riavvicinamento della produzione a luoghi e ai territori che ne hanno decretato l’ideazione e la progettazione. Per certi aspetti si può parlare di una restituzione della manifattura al territorio che l’ha fatta nascere e partire.
Ma come si concilia tutto questo con l’altra grande prospettiva dell’Industria 4.0 che spinge verso la servitizzazione? E la risposta che arriva da “La Via Italiana all’Industria 4.0” è che più si spinge la proposta di prodotti in modalità di servizio, più è necessario gestire e controllare la vicino la produzione. E comunque sia (prodotto come prodotto o prodotto come servizio) l’Italia può giocare un ruolo fondamentale, ma il problema è che oggi l’Italia investe poco in innovazione e nello stesso tempo la rivoluzione dell’Industria 4.0 è molto più veloce di tutte le altre ed è pervasiva. «Non ci si deve limitare a leggere questo fenomeno solo dal punto vista industriale, non c’è solo la Fabbrica 4.0. Il più grande effetto della Rivoluzione Industria 4.0 è nella trasformazione dei dati in materie prime. I dati – sottolinea Taisch – sono un vero e proprio nuovo asset per le aziende». Con i dati e con i Big Data, si passa da Industria 4.0 a Impresa 4.0, ci si allarga a Supply Chain 4.0 e si entra nelle Smart City e nella Smart Mobility.
Ma l’altra faccia del fenomeno, quella che porta il vero valore aggiunto all’Industria 4.0 nei territori e nel sociale, è nelle persone e di processi. L’Industria 4.0 va pilotata e va gestita nella quotidianità e per questo servono competenze da una parte e servono analisi e metodo. Digitalizzare va bene ma, come sottolinea Taisch «Non bisogna digitalizzare lo spreco e per questo la Lean resta fondamentale».
L’attenzione “sul come fare” sposta il tema sul ruolo delle grandi imprese. «L’Industria 4.0 può e deve essere per tutti, ma le grandi imprese hanno una responsabilità speciale per portare l’Industria 4.0 anche nelle piccole e nei territori». Le grandi imprese devono guidare l’innovazione digitale per trascinare anche le piccole e se uno dei percorsi più efficaci per la digitalizzazione nel mondo della produzione passa da progetti pilota che consentono di ottimizzare gli investimenti, la grande industria ha la capacità di visione e i mezzi per far partire questi progetti e per portarli in produzione e in business».
Tornando al tema della “Rivoluzione Culturale Industria 4.0” l’attenzione di Marco Taisch si focalizza sul ruolo dell’Operatore 4.0 e sull’importanza dell’awareness a tutti i livelli, sia -Nelle- imprese, sia -Tra- le imprese. «Dobbiamo evitare di correre il rischio di un digital divide sia per le persone, sia per le aziende. Non ci dobbiamo trovare nella situazione – osserva – di avere aziende che non sono in grado di dialogare con fornitori e clienti per ragioni di digital divide».
E poi la sicurezza: «Non si può fare Industria 4.0 senza una strategia di Cybersecurity» il messaggio di Taisch è chiaro: la Cybersecurity è una priorità per fare Industria 4.0 che si deve agganciare al concetto di sicurezza nell’accezione della Safety. Il digitale può ridefinire completamente il paradigma della sicurezza in azienda, nel mondo della produzione, negli spostamenti, nella logistica.
E la realtà delle imprese trova riscontro nella testimonianza di Diego Andreis, amministratore delegato di Fluid-O-Tech e viepresidente di Federmeccanica, che racconta come Qualità e Open Innovation rappresentino i veri pilastri del percorso verso la fabbrica del futuro. Andreis in particolare osserva l’importanza di fare innovazione in modo diverso con team multidisciplinari e per questo in Fluid-O-Tech «abbiamo investito sulle persone e sulle competenze perché più che soldi (che comunque sono molto importanti) le imprese hanno bisogno di competenze specifiche per l’Industria 4.0 e per gestire l’innovazione». Servono poi dei punti fissi, delle convinzione radicate, per non smarrire la propria identità. Per questo Andreis ripete che «prima dell’efficienza viene la qualità» e anche per questo
Fluid-O-Tech è diventata una eccellenza nella manifattura investendo su persone e sulle loro competenze. Se il percorso è questo, tante paure possono essere superate. Come quella ricorrente che legge nella introduzione della robotica e dell’automazione un rischio per la manodopera e per i posti di lavoro delle persone. «Con il nostro percorso di automatizzazione e robotizzazione – afferma – non abbiamo ridotto la manodopera, ma abbiamo qualificato il nostro personale e lo abbiamo indirizzato su attività meno ripetitive, meno pericolose e più qualificanti».
In sostanza, in questo scenario, i robot non sostituiscono le persone, ma cambiano il loro lavoro. Andreis mette poi in fila le nuove keywords della manifattura: precisione, intelligenza, conoscenza, innovazione, condivisione». Riguardo al contesto italiano Andreis osserva che «Abbiamo tante Pmi e purtroppo ci sono ancora pochi campioni di filiera. Occorre far crescere quelle aziende che sanno poi trascinare le altre imprese nei percorsi di innovazione».
In questo scenario si colloca anche il ruolo di Cisco e in particolare il progetto Customer Club Industria 4.0, che propone dei modelli concreti, chiari, raccontati dalle persone che li stanno consegnando alla realtà all’interno delle aziende. E si tratta di eccellenze che operano in settori diversi e con dimensioni di business diverse, con esperienze diverse, ma tutte accomunate dalla volontà di sperimentare e di portare nelle aziende e ai clienti i benefici dell’Industry 4.0. Nell’Horeca e nell’ospitalità con le macchine per caffè professionali de La Marzocco, nell’automotive con Dallara Group e FCA Group, nella meccanica di precisione con Fluid-O-Tech, nella metallurgia con Marcegaglia, nei sistemi di automazione e controllo per il mondo Pharma con Inpeco Health, nel Fashion e nel mondo vending con 1177 – Calze Ileana, nell’industria di trasformazione agroalimentare con AIA.
«Sono modelli – afferma Dalmazzoni – che esprimono e concretizzano la strategia di Cisco di proporsi come partner di un
ecosistema più ampio e complesso dove noi come provider lavoriamo sui progetti con i clienti, dai clienti, in strettissima collaborazione con i loro team». In altre parole «guardiamo le cose – afferma – con gli occhi dei nostri clienti».
Industria 4.0 poi non vuol dire fare tutto e subito. Occorre contestualizzare i valori di ciascuna azienda con la capacità di definire obiettivi chiari, conseguibili e sostenibili, avendo ben chiaro che per l’Industry 4.0 serve definire prima di tutto una road map che sappia considerare gli ingredienti fondamentali, quelli che non possono mancare. «Non si può fare Industria 4.0 senza cybersecurity – afferma a sua volta Dalmazzoni – La connected factory è uno dei pilastri che abilita lo sviluppo di specifiche progettualità: dalle connected machine ai connected products, così come la smart logistics è a sua volta un tassello fondamentale tanto per la sicurezza quanto per la supply chain. Non tutto insieme e non tutto subito, ma se l’orizzonte è quello, ad esempio, della Factory collaboration, ecco che occorre disegnare chiaramente una road map che sappia appoggiare le proprie basi sui pilastri giusti. Anche Dalmazzoni richiama alla necessità di sviluppare e sostenere competenze adeguate «perché senza le competenze giuste i progetti restano progetti e proprio per questo Cisco ha investito e sta investendo pesantemente per fare formazione a livello di sistema paese e far arrivare nelle aziende figure che corrispondono a quell’operatore 4.0 richiamato nell’intervento di Marco Taisch.
Il tema della formazione ritorna anche con Enrico Mercadante, responsabile Innovazione di Cisco Italia, che sottolinea prima di tutto che «Non c’è digital transformation senza innovazione e che per questo serve un ecosistema, come ha sviluppato Cisco, costituito da open innovation, startup, partner». Le aziende devono essere consapevoli che il loro competitor del futuro arriverà probabilmente da altri mercati ed è «dunque necessario allargare lo sguardo, aprire l’orizzonte anche a una lettura non convenzionale delle possibilità di sviluppo e dei rischi». Nello stesso tempo però Mercadante osserva che solo il 25% delle imprese si pone concretamente il tema di come affrontare la trasformazione digitale ai massimi livelli e occorre confutare la convinzione pericolosa che per fare “Industria 4.0” sia sufficiente digitalizzare le macchine. Industria 4.0 vuol dire ad esempio digitalizzazione delle filiere con il coraggio e la capacità di affrontare i temi che riguardano le tecnologie, la governance, le regole di ingaggio e l’esempio che porta Mercadante è quello del progetto FilieraSicura per immaginare e concretizzare delle supplychain totalmente integrate digitalizzate e sicure».
La conclusione di Mercadante è un richiamo alla responsabilità «Decidiamo oggi come saremo tra 10 anni» e su questa decisione pesa la capacità di leggere le imprese nei loro territori, nei loro rapporti, nella loro identità e la capacità di portare nuove competenze nel massimo rispetto di quelle esistenti, ovvero di quelle che hanno permesso a tante realtà di arrivare ad essere delle eccellenze. La sfida è mantenere e far crescere questa eccellenza anche con il digitale.
Con Agostino Santoni, Amministratore Delegato Cisco Italia, si ripercorrono le tappe del percorso di Digitaliani, un percorso di innovazione che si intreccia con l'”italianità” di tanti progetti e di tante esperienze. Come quella di Expo dove Cisco ha gestito più di 500 mila attacchi hacker al sito della manifestazione; come il progetto Safety 4 Food di tracciabilità e sicurezza per il mondo dell’agrifood; come quella della Network Academy e del piano di formazione al digitale. «Con Digitaliani – ricorda Santoni – Cisco ha puntato su tre grandi pillar: Formazione, Mercati e Innovazione. Per la formazione – ha sottolineato – abbiamo voluto portare risorse e attenzione verso gli istituti tecnici, perché sono la linfa vitale che può portare nelle imprese la competenza vera che serve per “fare” l’industria 4.0 e anche qui torna un richiamo indiretto all’Operatore 4.0 di Taisch. E Santoni ricordo che sono «più di 37 mila studenti stati formati dalla Cisco Networking Academy» anche per questa sfida, come una grande occasione di formazione e una grande opportunità per entrare nel mondo del lavoro per professioni allineate alla richiesta di innovazione del mercato. «Un altro grande passo per noi – aggiunge Santoni – è nella visione di una nuova forma di progettualità, costruita nell’alternanza scuola lavoro, per avvicinare sempre di più il mondo della scuola con il mondo delle imprese».
A livello di mercati la scelta di Cisco si è concentrata su «Industria 4.0 e agroalimentare – afferma – ovvero due dei pilastri più importanti su cui poggia il Made in Italy» e l’approccio è quello di mettere il nostro ecosistema di partnership a «sostegno di quelle Start Up che possono aggiungere un “pezzo” importante di innovazione alla trasformazione digitale dl nostro paese». Ed è forse, anche per questo che per Santoni e per chi ha seguito il percorso della Via Italiana all’industria 4.0 «Non c’è mai stato momento migliore per crescere Digitaliani».