RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

Industria 4.0, non solo nuove tecnologie: ecco come innovare il modello organizzativo

Due imprese italiane su tre faticano a innovare a causa di gap culturali e stereotipi sull’organizzazione: per esempio pensano che debba essere chiusa e gerarchica, e sono ossessionate dal taglio dei costi. Invece occorre puntare alla “via alta” dell’innovazione. Che significa qualità e nuovi modelli organizzativi

Pubblicato il 10 Ott 2019

Industria4.0

Industria 4.0 non significa solo introdurre nuovi macchinari in azienda ma anche e soprattutto cambiare modello di organizzazione: lo sostiene Luciano Pero, docente di Organization Theory and Design al MIP-Politecnico di Milano, che ha esposto le sue tesi in un capitolo dedicato all’innovazione del libro di Alessandro Scaglione “R-Innovare il Family Business. L’intelligenza naturale dell’imprenditore come differenziale competitivo” (Guerini Next). Ecco l’intervento di Luciano Pero per EconomyUp.

La storia dell’industria moderna ci mostra con chiarezza che i grandi salti nell’innovazione tecnologica, noti come Rivoluzioni Industriali, sono di solito accompagnati da altrettanti “salti” di innovazione nelle forme organizzative e nell’organizzazione.

Così la prima Rivoluzione Industriale, quella della macchina a vapore e del telaio meccanico, vide la diffusione della grande manifattura artigianale basata sulla figura degli operai specializzati “di mestiere”, mentre la seconda rivoluzione, a fine ‘800 e inizi ‘900, si affermò con la grande impresa verticalizzata e la catena di montaggio di Ford, popolata dalle figure dell’operaio comune. È noto tuttavia che in quasi tutti i paesi industriali un numero elevato di imprese, spesso di dimensioni più piccole, hanno continuato a svilupparsi con i modelli organizzativi precedenti e che solo lentamente i nuovi modelli si sono generalizzati. Questa situazione di dualismo strisciante talvolta gioca un ruolo positivo, perché consente di abituarsi all’innovazione, ma altre volte gioca un ruolo negativo, perché rallenta il cambiamento.

Allo stesso modo l’attuale rivoluzione delle tecnologie digitali e della “Smart Factory si è accompagnata alla rivoluzione dei network del Valore Globale (Global Value Chain o GVC) e con una crescita delle forme di micro-organizzazione che vedono l’empowerment e un coinvolgimento più elevato dei lavoratori.

Che cosa sono le Catene del Valore Globale

Le Catene del Valore Globale sono la forma più evoluta delle imprese transnazionali che si sono venute progressivamente a creare in seguito alle aperture dei mercati mondiali dagli inizi degli anni Novanta. L’apertura delle frontiere in quegli anni ha generato una enorme crescita degli scambi internazionali e una esplosione del traffico di componenti, semilavorati, prodotti e dati tra i paesi avanzati e quelli in via di sviluppo. Questo gigantesco traffico ha consentito la crescita di nuove filiere che producono valore collegando molte zone del mondo. La competizione nel commercio mondiale oggi si gioca dunque principalmente sugli assetti e le soluzioni più efficaci della catena logistico-produttiva e sull’adeguamento ai diversi mercati della gamma di prodotti e servizi.

Eppure il sistema produttivo italiano, che ha bruciato il 20% di produzione manifatturiera dal 2008 a oggi, fatica ad uscire dalle secche della crisi nonostante l’accelerazione degli investimenti in nuove tecnologie digitali promosse dal Piano Impresa 4.0 (o Piano Calenda).

La tesi che emerge da molte ricerche e dai dati ISTAT è che questa fatica vada di pari passo con la difficoltà (culturale) di due imprese su tre nell’adottare una architettura produttiva adeguata alla prospettiva dell’economia globalizzata, ed in particolare alle GVC. Al netto di oggettive cause Paese (come la scarsità di investimenti pubblici, la lentezza della giustizia, o la fiscalità) e di incertezze caratteristiche (come quelle legate agli alti insuccessi dei passaggi generazionali o del difficile accesso al credito), vi è una causa che gioca un ruolo formidabile perché fondamentalmente culturale, e quindi per certi versi facilmente scalabile, che si può riassumere negli stereotipi organizzativi che seguono, sedimenti culturali delle esperienze passate che condizionano la gestione dell’innovazione.

Industria 4.0 : i quattro stereotipi sull’organizzazione

1. Organizzazione vuol dire gerarchia e posto di lavoro chiuso

L’idea che lavorare bene significhi occupare con scrupolo un posto di lavoro chiuso e ben definito, obbedendo al capo. Da qui l’equazione che una buona organizzazione è quella che ha buoni capi che sanno controllare bene e buoni specialisti obbedienti. La supervisione diretta, il comando e il controllo dell’orario sono i sistemi principali di governo, a scapito degli obiettivi, dei risultati e dell’innovazione.

 2. Il modo migliore per aumentare la produttività è aumentare i ritmi

Tagliare i tempi ciclo che governano la velocità e il ritmo del lavoro è la leva più conveniente per migliorare la produttività, considerata come una funzione esclusiva della singola prestazione e dipendente dalla capacità della singola persona. Ecco che l’accelerazione dei ritmi di lavoro arriva ad oscurare molti altri sprechi (nei materiali, nelle macchine, nei lay-out, nelle attività inutili) che invece sono visibilissimi e di solito molto più grandi.

 3: Un’altra strada maestra per tagliare i costi è l’outsourcing

Nell’organizzazione dell’Industria 4.0, l’ossessione per il costo del lavoro troppo alto e per il taglio lineare dei costi attraverso il decentramento di attività e lavorazioni a imprese o paesi che riescono a pagare meno l’ora di lavoro con salari molto più bassi (anche se al limite della legalità), invece di puntare alla crescita di produttività come leva innovativa.

4: La lean conviene solo se riduce i costi a breve

L’idea con cui è stata approcciata la lean negli anni Novanta è che essa doveva apportare benefici di costo a brevissimo termine facendo lavorare di più le persone. Perciò la maggioranza dei progetti lean nel decennio 1997-2007 sono stati concepiti come progetti esplorativi, limitati a singole aree o temi aziendali, con un’ottica di breve periodo, con risultati attesi a brevissimo e soprattutto sui costi e quasi sempre senza un forte coinvolgimento dei lavoratori. Partendo da questo stereotipo, non c’è da stupirsi che la maggioranza di questi progetti sia stata interrotta dopo qualche mese, oppure si sia fermata alle prime difficoltà quando non sia andata incontro a un insuccesso pieno.

Ebbene, questo portafoglio di strategie basato sull’ossessione del taglio dei costi, costo del lavoro in testa, ha trovato nella cosiddetta “via bassa” all’innovazione la sua definizione, che trova nella sanguinosa competizione di prezzo la sua unica declinazione.

Industria 4.0: puntare alla “via alta” dell’innovazione (qualità e innovatività)

È la stessa Comunità Europea ad invocare al contrario la “via alta” all’innovazione, strategie “high road” richiamate dall’Agenda di Lisbona e da Europa 2020, che enfatizzano la differenziazione attraverso qualità ed innovazione (high road) rispetto alla competizione di prezzo (low road), attraverso l’allargamento del network produttivo in più Paesi, il rinnovamento della gamma dei prodotti, piuttosto che la qualità del servizio, attraverso l’innovazione tecnologica e organizzativa. Come risulta dai dati ISTAT la maggioranza delle imprese italiane non ha imboccato questa via alta, continuando invece a celebrare l’analisi accurata delle voci del bilancio, alla ricerca di qualcosa da tagliare.

Alla fine nell’organizzazione dell’Industria 4.0  ha prevalso l’idea di tagli lineari dei budget, basata sul principio che, se si riducono i ricavi, tutti i singoli costi si devono ridurre proporzionalmente. Peccato che la logica dei tagli lineari abbia un difetto fondamentale: non riesce a distinguere tra sprechi di risorse in attività inutili (o poco utili) e attività che producono invece valore aggiunto.

Industria 4.0: FCA, Pirelli e Luxottica esempi di “via alta” all’innovazione

La “via alta” all’innovazione non solo non è una mitologia, ma trova ampio e concreto riscontro nelle imprese più dinamiche e innovative, che hanno usato le difficoltà, generate dalle grandi crisi, per imboccare con decisione la strada di una lean evoluta, adattandola alle proprie strategie di business e cavalcandone gli acceleratori digitali. Ne sono testimonianza i più recenti sistemi aziendali come il World Class Manufacturing (WCM) del gruppo FCA, il Pirelli Production System o il Lean Luxottica System, la cui comune ricetta – applicabile indipendentemente dalla dimensione di impresa – è semplice, ma richiede grande forza di volontà, soprattutto quella di aprirsi e di aprire l’impresa alla partecipazione di tutti gli stakeholders interni ed esterni, a cominciare dai propri dipendenti.

Industria 4.0 e organizzazione: non c’è più la “forza lavoro”, ora il lavoro è “intelligente”

Nelle soluzioni di lean evoluta il lavoro continua ad essere centrale, come nelle forme precedenti. Tuttavia esso perde le caratteristiche di pura manualità e di “forza lavoro” da controllare con supervisione diretta come per gli “uomini-bue” di cui si occupava F. Taylor. Il lavoro acquista invece sempre di più le caratteristiche di lavoro intelligente, cioè di lavoro che mescola interventi manuali con forti capacità tecniche di analisi e diagnosi e in certi casi anche di ragionamento scientifico, con applicazione di conoscenze complesse.

Interazioni complesse tra persone e tecnologie: gli ibridi uomo/robot

La stagione dell’automazione e delle macchine a controllo computerizzato degli anni 1980-2000 ci aveva abituato alla sostituzione quasi completa del lavoro operaio manuale e a una distanza sempre maggiore tra gli apparati automatici e le persone. Oggi, nella nuova organizzazione dell’Industria 4.0, la Low Cost Automation o i robot collaborativi introducono interazioni complesse tra persone e tecnologie dove è la coppia uomo/macchina che apprende.

Uno degli effetti dell’applicazioni massiccia di tecnologie Internet e di comunicazione tra apparati mobili e apparati fissi, macchine e materiali, anche con l’ausilio di IOT (Internet delle cose) è la crescita esponenziale delle comunicazioni dirette tra i team operativi (e i loro team leader) e le funzioni tecniche e gestionali di fabbrica. Nelle fabbriche 4.0 si osserva che i flussi principali non sono più quelli gerarchici ma quelli tra i team operai e le funzioni qualità, gli staff di manutenzione, di gestione materiali, delle tecnologie, di amministrazione ecc. In breve, l’effetto congiunto delle nuove tecnologie di comunicazione e condivisione via internet, e dei social network, è quello di favorire la crescita di organizzazioni basate su team operativi e su comunità professionali che condividono know-how avanzati e innovativi.

Lo studio di molti casi aziendali dimostra che nei modelli che indichiamo come lean evoluti, il coinvolgimento dei lavoratori non è solo un fenomeno occasionale attivato in funzione del progetto di cambiamento, ma diventa uno strumento permanente e strutturale, fino ad essere istituzionalizzato in sistemi gestionali aziendali o addirittura in accordi sindacali. Tra di essi ricoprono un ruolo rilevante il sistema dei suggerimenti, le comunità di pratiche (che istituzionalizzano la partecipazione dei lavoratori al miglioramento continuo), il lavoro in team formalizzato, gli orari a menù e lo smart working (che istituzionalizzano la partecipazione dei lavoratori alla gestione quotidiana del lavoro).

La lean evoluta diventa quindi sinonimo di architettura aziendale ispirata all’organizzazione che apprende. In questo ambito è essenziale che sia assicurata un’ampia circolarità delle conoscenze tecniche, delle soluzioni innovative e dei metodi di miglioramento. La possibilità di condividere tra gli attori i problemi, i metodi, le soluzioni migliori è infatti il modo migliore per utilizzare le nuove tecnologie Internet e digitali. Ma soprattutto questa possibilità comporta il completo capovolgimento del principio taylorista di divisione tra chi progetta e chi esegue.

In sintesi è del tutto evidente che dove vi sono applicazioni di tecnologie digitali vi è un reciproco e positivo influsso tra i modelli di Lean evoluta e le tecnologie 4.0. Da un lato infatti è facile osservare che le tecnologie digitali facilitano e sostengono nuove forme organizzative più cooperative come i team, la comunità di pratiche e i suggerimenti attraverso una ampia diffusione delle informazioni tecniche e gestionali nella quale giocano il ruolo di tecnologie abilitanti. Ma dall’altro si può anche verificare che le organizzazioni basate su più lavoro “intelligente” e con maggiore coinvolgimento delle persone sono maggiormente in grado e più capaci di attivare la sperimentazione necessaria ad implementare le nuove tecnologie, ovvero in questi casi sono i nuovi modelli organizzativi a sostenere lo sviluppo tecnologico.

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Luciano Pero
Luciano Pero

Luciano Pero, docente al MIP-Politecnico di Milano di Organization Theory and Design, ha svolto ricerche sulla professionalità, l’innovazione tecnologica e organizzativa. Tra le tante pubblicazioni è co-autore di “Le persone e la fabbrica. Una ricerca sugli operai Fiat Chrysler in Italia”, Guerini Next, Milano 2015 e “Le leve dell’innovazione. Lean, partecipazione e smartworking nell’era 4.0”, Guerini Next, Milano 2017. Per il libro di Alessandro Scaglione “R-Innovare il Family Business. L’intelligenza naturale dell’imprenditore come differenziale competitivo”, Guerini Next, Milano 2019 ha curato la parte sull’innovazione.

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