Il tema del Learning è al centro di una grande discussione, che lo vede protagonista in diversi ambiti. Il più comune è quello scolastico, nel quale sempre più si dibatte di nuovi approcci e modalità che possano favorire l’apprendimento da parte dei discenti. All’interno di questo panorama il Design Thinking è stato utilizzato come mezzo per sviluppare e facilitare pratiche di insegnamento attivo all’interno di istituti tecnici che guardano al tema della quarta rivoluzione industriale.
Learning però è un tema che sta assumendo grande rilevanza anche nella gestione delle relazioni: è fondamentale imparare a fornire dei feedback corretti che possano favorirne la comprensione e permettere di imparare dai suggerimenti che vengono dati.
Design thinking a supporto dei processi educativi
Tra i molteplici metodi proposti negli ultimi anni per favorire l’apprendimento, il Design Thinking è risultato un ottimo catalizzatore in questo ambito.
In accordo con il Ministero dell’Istruzione, è stato lanciato un nuovo progetto nel quale il Design Thinking è stato inserito all’interno degli Istituti Tecnici Superiori al fine di creare un nuovo tipo di didattica attiva per la quarta rivoluzione industriale.
Questa innovazione è stata possibile a seguito di due intuizioni principali: da un lato l’impatto che il Design Thinking poteva avere sui giovani studenti di questi istituti tecnici, dall’altra parte il potenziale generativo di nuovi processi che potevano svilupparsi in aziende 4.0 a seguito dell’adozione del Design Thinking. Promotore del progetto con il ministero è stato il prof. Stefano Micelli, Professore ordinario dell’Università Ca’ Foscari Venezia.
È così nato un progetto denominato ITS 4.0 configurato come ponte fra ITS e imprese 4.0 ritrovatesi a dialogare attraverso le pratiche del Design Thinking.
In questo modo, è stato possibile testare il processo del Design Thinking e i relativi benefici su 60 ITS, 1200 studenti, 100 fondazioni e 120 aziende.
Questa interazione ha visto lo sviluppo di oltre 75 progetti che hanno testato la metodologia su diversi temi, quali ad esempio nuove tecnologie per il made in Italy, l’efficienza energetica, la mobilità sostenibile, nuove tecnologie per la vita e tecnologie innovative per il turismo.
La sperimentazione ha suscitato notevole interesse anche tra gli studenti, infatti hanno aderito al programma 1200 studenti su 9000 totali risultati iscritti negli ITS italiani.
L’adozione del processo di Design Thinking caratterizza tutte le attività nel progetto: dopo la fase di kick off per presentare i brief, vengono svolte attività teoriche e pratiche in aula che ripercorrono le cinque fasi canoniche del design thinking: emphatize, define, ideate, prototype, durante le quali studenti ed aziende collaborano per lo sviluppo dei progetti.
Questa nuova pratica di learning ha suscitato, anche dal punto di vista delle aziende partner, notevoli benefici nei risultati che vengono raggiunti alla fine del processo.
I migliori 25 progetti sviluppati dai diversi ITS vengono presentati anche all’interno della Maker Faire, evento europeo che celebra le arti, l’artigianato, l’ingegneria, i progetti scientifici e la mentalità del fai-da-te.
Durante questo periodo pandemico, questa nuova formula ha avuto modo di espandersi e consolidarsi ancor di più. Il programma è stato convertito in digitale, con supporto di piattaforme collaborative, riuscendo così ad ampliare ancor di più il bacino di utenti coinvolti e includendo la tematica del Covid-19 all’interno dei progetti con le aziende dell’ultima edizione.
Il nuovo contesto applicativo del Design Thinking, oltre al grande successo riscosso negli istituti e nelle aziende, ha ricevuto un ulteriore riconoscimento: è stato segnalato nel DESI (The Digital Economy and Society Index) della Comunità Europea.
Design Thinking, imparare dai feedback
Il tema del Learning sta assumendo sempre più importanza anche in contesti non direttamente correlati all’ambito educativo. Un esempio ne è l’ambito delle relazioni: fornire dei feedback chiari che permettano all’interlocutore di comprendere e imparare dai suggerimenti che vengono dati è un altro argomento che sta assumendo grande rilevanza nella società odierna.
Un buon feedback, affinché possa essere considerato valido e costruttivo deve contenere tre elementi principali: deve descrivere un comportamento preciso, non generalizzato, in un momento ben definito; deve descrivere gli effetti che hanno generato il comportamento sul quale si da il feedback; deve essere offerto con un comportamento alternativo, ossia non deve necessariamente essere dato criticando e/o urlando.
Un ottimo punto di riferimento è rappresentato dal framework teorizzato da Kim Scott e descritto nel libro “Radical Candor: How to Get What You Want by Saying What You Mean”, nel quale vengono presentati quattro modalità alternative per poter dare un feedback.
Il framework è costituito da due coppie di variabili. La prima coppia guarda al grado di proattività nel fornire un feedback: da un lato c’è chi ha qualcosa da dire ma resta in silenzio, determinando spesso un atteggiamento egoistico, dall’altro lato c’è invece chi cerca di confrontarsi direttamente. La seconda coppia di variabili riguarda invece il rapporto che si ha con la persona dalla quale si riceve il feedback e come tale relazione condizioni il feedback: difatti può provenire da qualcuno al quale teniamo oppure da una persona che ci è indifferente. La diversa combinazione di queste quattro variabili genera quattro alternative nella produzione di un feebdack.
- L’interlocutore che offre un feedback diretto verso qualcuno a cui tiene, viene identificato con il termine di “radical candor”. Questo poiché il feedback è radicale, senza mezze misure, seppur con il fine di voler fare il bene della persona a cui si sta dando il feedback.
- Nel caso in cui il feedback arrivi in modo diretto ma da un interlocutore per il quale non si provi stima, questo viene definito come “obnoxious aggression”. Qui il feedback può essere percepito quasi come una aggressione.
- Se l’interlocutore preferisce rimanere in silenzio e inoltre non vi è un rapporto di stima, la situazione viene descritta dal termine “manipulative insincerity”. Qui lo scopo è quello di non entrare in scontro, ma di ottenere delle informazioni su qualcosa che si vuol sapere o dire, utilizzando molto spesso un intermediario.
- La situazione in cui l’interlocutore ci tiene particolarmente alla persona a cui deve dare il feedback e questo sentimento lo frena nel darlo, facendo si che resti piuttosto in silenzio, viene definita “ruinous empathy”. In questa situazione il trattenersi per motivi di affetto, porta a far ingigantire delle situazioni nelle quali un feedback potrebbe essere risolutivo. L’empatia, quindi, diviene un elemento rovinoso perché finisce per danneggiare la situazione.
Tra le quattro situazioni descritte, la migliore per poter offrire un feedback è quella del “radical candor”. È fortemente sconsigliato rimanere nello scenario del silenzio perché questo a lungo andare porterà a far incrinare le relazioni.
Learning through design thinking: un tema caldo
L’importanza del Learning è stato un obiettivo chiave del primo Design Thinking Club della quarta edizione dell’Osservatorio Design Thinking for Business della School of Management del Politecnico di Milano. Partner, sponsor e aziende ospiti hanno raccontato i diversi approcci utilizzati dalle loro aziende per i processi di learning riferiti al Design Thinking sia internamente che nelle interazioni con i clienti. Durante la round table si sono susseguiti gli interventi di Gerardo Antonio Brevetti di Enel, Alessandro Confalonieri e Sara Stangalini di DOING e Monica Neboli di ENI Corporate – University. Ne è emerso un grande dibattito e diversi punti di vista, a testimonianza di quanto in questo periodo ci si stia interrogando su quali e quanti possibili modi sia possibile adottare per facilitare i processi di learning.