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Il primo TEDx non si scorda mai:  guida a come prepararsi



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Ho fatto il mio primo TEDx, a Busto Arsizio. È stata una bella esperienza, per il rigore del format e perché non sono stato chiamato a parlare di qualcosa di cui sono esperto, ma di me stesso. Ecco come ho costruito lo speech, ribaltando il tema assegnato

Pubblicato il 10 set 2024



Alberto Onetti TEDx

A fine giugno ho fatto il mio primo TEDx.

L’invito mi era giunto ad inizio anno da Lorenzo Beliusse. Il fatto che la sede fosse Busto Arsizio (a pochi chilometri dalla Università degli Studi dell’Insubria, dove insegno) lo rendeva ancora più speciale. Era come se un cerchio (rectius, un cerchietto rosso) venisse a chiudersi: condividere la mia esperienza nel luogo cui la mia vita accademica è strettamente legata.

TEDx, la preparazione con coach e mentor

Parlare in pubblico non è cosa che mi agita particolarmente. Ci sono abbastanza abituato.

Non immaginavo però il rigore che sta dietro al format: 15-18 minuti di durata non derogabile; nessuna possibilità di menzionare aziende e organizzazioni per cui o con cui lavori; performance dal vivo in teatro (davanti a 700 persone) ma con l’obiettivo di creare un contenuto video da produrre (quindi regia televisiva e sguardo in camera); sessioni di preparazione con coach e mentor; prove obbligatorie il giorno prima.

Perché l’esperienza è (stata) bellissima

L’esperienza è stata bellissima, per diversi motivi.

In primis per le relazioni che si creano con gli altri 11 speaker che seguono lo stesso percorso (in particolare Elsa Fornero, Andrea Moser, Rachele Sangiuliano, Gianluigi Di Napoli) e il team, che, secondo una logica totalmente no-profit, organizza la tappa (facendosi un “culo a capanna”, ops… Gabriele Grosso, I know, devo pulire il linguaggio e non esagerare con l’inglese).

Ma, soprattutto, perché per la prima volta forse tra le innumerevoli occasioni in cui ho ero su un palco non dovevo parlare di qualcosa di cui ero “esperto” (startup, open innovation, venture capital, ecosistemi, …), ma di me, del mio percorso (cosa di cui non sono in realtà così esperto).

Con l’obiettivo non di trasmettere conoscenza, ma di condividere esperienze che possano essere utili agli altri.

Oltre a spoilerare che cosa ho detto – in attesa che il video venga reso disponibile – penso possa esser utile raccontarvi come ho costruito lo speech.

TEDx, come costruire lo speech: si parte dal tema

Ogni TEDx ha un tema, che rappresenta il fil rouge degli interventi. In questo caso era oltremodo sfidante. Nosce te ipsum … Conosci te stesso.

Nosce te ipsum … What? è stato il titolo che ho dato al mio intervento, “giocando” tra latino e inglese, tra tradizione e nuovo, tra da dove vengo e dove sono atterrato.

Io l’ho affrontato ribaltandolo.

Il mio incipit è stato: non mi conosco molto bene, mi reputo in viaggio, e penso che il mio continuo commuting tra Vecchio e Nuovo Continente rappresenti un po’ la metafora della mia vita.

Ciò nonostante in tanti mi cercano per chiedere consiglio. Rispondo con domande. Perché? Perché ne ho un sacco anche io.

Sul palco del TEDx mi sono quindi posto alcune domande che mi faccio spesso. 

Le ho accompagnate con 7 immagini, ciascuna con una o due foto evocative (polaroid style).

Come sono arrivato alle tre grandi decisioni della mia vita professionale

Ossia: studiare economia, fare l’imprenditore, fare il professore universitario.

Ripensandoci ci sono arrivato un po’ per ignoranza (ho deciso di fare economia a 6-7 anni, quindi senza solide ragionate basi; il perché nel video) e un po’ per caso (non vengo da una famiglia di imprenditori, i miei genitori erano tra le persone più avverse al rischio che abbia mai conosciuto).

Tuttavia la decisione che forse ha impattato di più sulla mia vita – andare a studiare in Borromeo – la devo a mio padre.

Quanto ti cambiano gli Incontri?

In Borromeo ho incontrato e frequentato persone più brave di me che studiavano altre cose. Essermi immerso in un ambiente “diverso” fatto di persone che coltivavano progettualità molto ambiziose ha elevato ed allargato l’orizzonte dei miei piani.

Cosa che non sarebbe successa se fossi stato all’interno del contesto famigliare.

Quanto contano i tuoi piani nella vita?

Il mio profilo professionale oggi è fortemente associato alla Silicon Valley e all’America.

Ma come mi ricorda spesso Fabrizio Capobianco (mio socio di diverse avventure imprenditoriali) “Non verrò mai in America” era stata la mia lapidaria risposta ad una sua domanda circa 25 anni fa.

Quindi, spesso i nostri piani vengono semplicemente “accartocciati” dalla vita.

Pesano più i Sì o i No?

Noi tendiamo a costruire i nostri piani sulla base di quello che conosciamo, dei percorsi che le persone che sono più avanti di noi hanno seguito. Quando non li vediamo realizzare ci sembra che ci crolli il mondo addosso perché siamo portati a comparare il nostro fallimento con il successo di chi ci ha preceduto che è la nostra pietra di paragone. Ma … cambiando strada, cambiano le milestone e quindi tutto viene rivisitato.

Ma se i No fanno male (nel talk ho condiviso le pesanti delusioni dei primi anni della mia carriera accademica così come i 95 no dai venture capitalist che hanno preceduto i 2 sì che hanno portato al Series A di Funambol), ti costringono a cercare altre strade. Ti fanno riflettere se quello che stai facendo è veramente quello che vuoi e ti aprono nuove prospettive e con esse nuovi orizzonti.

Quanto contano i “momenti”?

Noi costruiamo i nostri piani all’interno dei limiti di quello che conosciamo e dell’ambiente che frequentiamo. Gli incontri che facciamo allargano il nostro orizzonte progettuale; i No lo forgiano e ci costringono a ridisegnarlo.

Ma poi tutto viene rimesso in discussione da “momenti” che possono agire da shaker (distruggendo quello che stai facendo) così come da ascensore (accelerando o aprendo nuovi scenari). Gli inglesi la  chiamano Serendipity. Durante il TEDx ho ricordati due di questi momenti, uno negativo (il 9 gennaio 2007) e uno positivo (Thanksgiving 2013).

Chi sono e cosa so realmente fare?

Sono un professionista dilettante o un dilettante professionista? Non so fare niente di particolare, sono solo dannatamente curioso. Ogni giorno imparo qualcosa di nuovo e metto insieme pezzi che mi portano a fare cose che persone assennate non accetterebbero o non penserebbero di fare.

Mi annoia quello che mi viene bene. Mi affascina quello che non so fare (il tennis è forse l’esempio più emblematico).

Il motore (o il demone?) che mi spinge sono le sfide.

Successo o Soddisfazione?

Gli obiettivi che raggiungo mi generano un euforia istantanea. Il fallimento mi brucia ma mi spinge a rimettermi in piedi.

Sono destinato all’insoddisfazione perenne?

Forse sì. Ma, se si è fatti così, è difficile che si possa volere qualcosa di diverso.

Bisogna farsene una ragione. D’altronde l’uomo che aveva stravolto un pezzo del mio mondo il 9 gennaio 2007 diceva che alla fine contasse più il viaggio della destinazione.Quindi buon viaggio a me e buon viaggio a chi è nato viaggiatore e a chi lo è diventato a seguito di No, incontri, momenti

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