L'ANALISI

Il metaverso come convergenza tecnologica tra videogiochi e social network

I videogiochi sono diventati a tutti gli effetti luoghi virtuali in cui i ragazzini si ritrovano per vivere esperienze ed emozioni con gli amici. Ormai la metà entra in questi ambienti non per giocare ma per socializzare. Sono dunque dei metaversi, intesi come realtà parallele simulative. Ecco come è avvenuto il passaggio

Pubblicato il 13 Lug 2023

Metaverso, videogiochi, social network

Dai videogiochi al metaverso. Il paradigma del metaverso, inteso come una realtà parallela simulativa in cui possiamo vivere esperienze ed emozioni, nasce agli inizi degli anni ’90 (come accennato nel mio primo articolo) insieme ai primi progetti che si ispirano al concetto di “computer immersivo”. Un percorso che intreccia un binomio hardware (visori di realtà virtuale) e software (mondi virtuali) che approfondiremo nei prossimi paragrafi.

Dalla realtà virtuale ai mondi virtuali

Se torniamo indietro nel tempo, possiamo già trovare primi esperimenti di realtà virtuale verso la fine degli anni ‘80. Nel 1989 viene coniato il termine “realtà virtuale” (in inglese Virtual Reality o VR) da Jaron Lanier, che lo definisce come un “ambiente tridimensionale, interattivo, generato dal computer, in cui l’utente è immerso”. Dopo pochi anni il dottorando di ricerca Jonathan Waldern modifica il suo Commodore Amiga e lo collega a un visore, fondando da quell’esperimento Virtuality: si tratta del primo brand di realtà virtuale consumer della storia, e dà inizio al primo hype del virtuale, una grande onda che però si sgonfia da lì a poco a causa dei costi elevati, della scarsa disponibilità di contenuti, e della bassa qualità complessiva dell’esperienza.

Tuttavia, mentre l’hardware del computer immersivo ricercava una sua maturità, il suo ecosistema software nel frattempo si stava evolvendo velocemente. Parliamo dei mondi virtuali, ecosistemi tridimensionali che stavano prendendo rapidamente piede nell’industria del gaming, dove trovano un mercato chiaro e un’utenza ricettiva. La loro caratteristica più rilevante? Essere multiutente, permettendo ai giocatori di sfidarsi o collaborare tra loro attraverso la rete, motivo per cui vengono presto definiti “mondi virtuali sociali”.

È addirittura nel 1978 che Roy Trubshaw e Richard Bartle, studenti dell’Università dell’Essex, creano MUD1: si tratta del primo spazio digitale condiviso tra un ampio numero di utenti, un vero e proprio universo multiutente rivolto all’intrattenimento, in pratica il primo videogioco multiplayer online. Ma dobbiamo attendere i primi anni novanta e il genio di John Carmack, un giovane programmatore oggi considerato guru vivente dell’industria videoludica, per aver inventato i videogiochi in tre dimensioni. Nel 1993, infatti, esce Doom, il celebre videogioco multiplayer online sviluppato da Carmack e Romero, che possiamo definire forse come il primo concreto esempio di mondo virtuale sociale: un universo parallelo che grazie alla tridimensionalità e alla socialità tra gli utenti simula la realtà, inizialmente con il solo obiettivo di intrattenere.

È poi grazie a un’intuizione di Philip Rosedale e al suo Second Life che nei primi anni duemila questi mondi virtuali sociali acquisiscono ufficialmente caratteristiche che vanno oltre il divertimento videoludico. Second Life è, infatti, il primo esempio di mondo virtuale sociale le cui logiche alla base vanno oltre quelle del puro videogioco. Questo software introduce delle dinamiche di interazione più tipiche di un social network, e grazie alla sua moneta interna si trasforma in un vero e proprio marketplace di prodotti e servizi virtuali, lasciando agli utenti la possibilità di crearli e venderli. Second Life si trasforma, quindi, nel primo esempio di successo di economia puramente virtuale.

Questi mondi virtuali sociali rappresentano, dunque, una convergenza tecnologica tra videogiochi e social network: permettono di vivere un’esperienza immersiva e condivisa simile alla vita reale, permettono agli utenti di creare mondi e esperienze, e richiamano così molto da vicino l’esperienza di metaverso descritta dieci anni prima dallo scrittore di fantascienza Neal Stephenson. E’ per questo motivo che vengono anche definiti come “proto metaversi”, o più semplicemente metaversi. Ma non dobbiamo ignorare un dettaglio: restano ancora in gran parte dei videogiochi.

Dai videogiochi al metaverso: l’importanza dell’Engagement

Non deve sorprendere. Ormai i videogiochi sono diventati a tutti gli effetti un vero e proprio fenomeno sociale di massa: basti pensare che grazie alla diffusione dello smartphone (una potente console nelle tasche di tutti) e a titoli di enorme successo come Candy Crush o Fortnite, ben metà della popolazione mondiale può essere oggi considerata… gamer. Da qui i numeri da capogiro: nel 2022 l’industria mondiale del videogioco ha fatturato oltre 180 miliardi di dollari, più del doppio di cinema e musica messi insieme.

Oggi il videogioco rappresenta una delle principali fonti di intrattenimento per tutte le generazioni. Il 43% dei videogiocatori ha infatti più di trentacinque anni e gioca in media più di sette ore a settimana, anche se sono ovviamente i giovani quelli più coinvolti da questo fenomeno. Durante la pandemia, ben due terzi dei ragazzini americani tra i 9 e i 12 anni passava il proprio tempo a giocare su Roblox, un videogioco multiutente che permette di creare i propri mondi di fantasia, e di socializzare al loro interno. I giovani infatti videogiocano, ma lo fanno insieme ai loro amici attraverso la rete.

Gli utenti di Roblox o di altri videogiochi multiutente simili, come Fortnite o Minecraft, sono ormai centinaia di milioni. Secondo Tim Sweeny, amministratore delegato della Epic Games, l’audience totale dei vari mondi sociali virtuali conta oggi oltre 600 milioni di utenti attivi. Si tratta di giovani o giovanissimi, che passano ore all’interno di questi ambienti virtuali scherzando con i propri amici, e facendo transazioni proprio come nella vita reale. Ma soprattutto, gli utenti al loro interno si divertono: come dimostrano le difficoltà di mondi virtuali sociali non-gaming come Decentraland, quando manca l’engagement – uno dei pilastri dell’esperienza di metaverso – questi luoghi perdono uno dei principali motivi per attrarre e trattenere il loro giovane pubblico.

Proprio come avveniva in Second Life vent’anni fa, questi videogiochi sono diventati a tutti gli effetti dei luoghi virtuali (dei metaversi appunto) in cui i ragazzini si ritrovano per vivere esperienze e emozioni (reali) insieme ai loro amici. Dai videogiochi al metaverso, insomma. Ormai, oltre il 50% di loro entra in questi ambienti non per giocare ma per socializzare, e questo ha un impatto anche nei confronti di tutte le altre piattaforme di intrattenimento: secondo alcune stime, le generazioni più giovani passano più tempo a videogiocare che a interagire sui social network tradizionali. Che abbiano trovato una valida alternativa? Lo scopriremo nel prossimo capitolo.

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Lorenzo Cappannari
Lorenzo Cappannari

CEO e Co-Founder di AnotheReality, azienda specializzata dal 2016 nello sviluppo di soluzioni legate alle tecnologie del metaverso. È inoltre professore, divulgatore e autore di “Futuri Possibili, come il metaverso e le nuove tecnologie cambieranno la nostra vita”, edito in Italia per Giunti Editore. Hanno contribuito alla stesura di questo testo anche Antony Vitillo (in arte “Skarredghost”), Vincenzo Rana (CEO di Knobs), e Marco Giacalone (CEO di Giacalabs).

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