IL PUNTO

Il gusto del futuro: la lezione di Draghi, i notai ed Enea Tech

Il premier auspica il “gusto del futuro” in questi giorni decisivi per la soluzione di due questioni: le startup senza notaio e il nuovo corso di Enea Tech. Qualunque sia la soluzione sulla Fondazione, un anno è andato sprecato. Un lusso per un Paese che ha urgenza di crescere

Pubblicato il 02 Lug 2021

Photo by Jon Tyson on Unsplash

“È un momento in cui torna a prevalere il gusto del futuro”. Le parole con cui il presidente del Consiglio Mario Draghi ha chiuso la sua lezione all’Accademia dei Lincei giovedì 1 luglio sono un auspicio in forma di constatazione. Il gusto non è qualcosa di innato, si forma con il tempo e dipende dall’equilibrio sapiente di ingredienti di qualità. Con che cosa abbiamo formato il nostro gusto del futuro? Come stiamo provando a cambiarlo? Quali sono le materie prime utilizzata alla tavola dell’innovazione?

Questi sono giorni decisivi per diverse questioni che stanno a cuore all’ecosistema italiano delle startup e degli innovatori. In Commissione Bilancio della Camera è in discussione il Decreto Sostegni Bis, che la settimana prossima dovrebbe andare in aula per essere convertito. Come spesso capita in Italia, contiene almeno un paio di passaggi che nulla hanno a che fare con l’obiettivo principale del provvedimento: la possibilità di costituzione senza notaio per le startup e la nuova identità “biomedical” di EneaTech.

Al di là delle schermaglie di questi giorni, con il gioco delle indiscrezioni in primo piano, entrambi le questioni seppur a livelli diversi, sono emblematiche del “gusto del futuro” espresso da quella che una volta si chiamava classe dirigente: una incorreggibile miscela di antico opportunismo politico e istintiva difesa degli interessi consolidati.

Draghi è imbattibile quando si parla di economia, è ovvio. È il suo campo e non c’è gioco. Vale la pena leggere (o ascoltare) la sua lezione ai Lincei: sintetizza in maniera semplice ed efficace, con stile anglosassone, il problema dell’Italia: “La produttività totale dei fattori, una misura del livello di efficienza totale dell’economia, nel 2019 era addirittura più bassa che nel 2001”, è la sentenza del premier-economista, che avverte: con la pandemia abbiamo, giustamente, dovuto indebitarci ancora di più e l’unica possibilità che abbiamo adesso è tornare a crescere, come non abbiamo saputo fare nell’ultimo ventennio. Chiaro?

Mario Draghi

Draghi però non è Macron, che ancora prima della pandemia ha puntato sulle startup come leva di crescita e di competitività del Paese. C’è un abisso generazionale (30 anni esatti di differenza) e quindi di visione. Draghi è un banchiere che ha scalato le istituzioni internazionali ed evoca Maestri come Federico Caffé e Franco Modigliani. Macron è un banchiere che ha fatto il ministro del digitale, da qualche anno dice che la Francia deve pensare e muoversi come una startup e non disdegna di ricevere le startup all’Eliseo.

Appurato che lo sguardo di Draghi sorvola le startup e tocca l’innovazione con piglio convenzionale, ovvio che la materia non sembri al momento strategica e finisca nell’arena politica, in questo momento ecumenica (effetto Covid) ma per nulla serena. Ecco, quindi, le schermaglie sulle startup senza notaio o la battaglia su EneaTech che, indipendentemente da quale sarà la soluzione, rivelano un approccio tattico in assenza di quel “gusto del futuro” che il premier tanto auspica ma non può imporre a chi più di lui del futuro dovrebbe preoccuparsi.

Sembra che si potrà tornare a costituire le startup innovative online e senza notaio e le 3500 che l’hanno già fatto non avranno problemi. Ma…per adesso ai notai non si toccano le altre srl. Eppoi bisogna vedere se questa ottima “pezza” reggerà alla norma primaria che è il recepimento della direttiva europea sul diritto societario online (per chi non h seguito la vicenda, ecco che cosa è accaduto). Se così sarà, l’ecosistema porterà a casa un importante risultato, ma il Paese non avrà certo una prospettiva chiara per le nuove imprese, io seme della crescita possibile, che dovranno convivere con l’incertezza del diritto.

Ben più complesso e istruttivo il caso Enea Tech. Esattamente un mese fa, con il Decreto sostegni Bis, la Fondazione istituita nel maggio 2020 e operativa dalla fine dell’anno scorso viene a sopresa “riformata” per affidarle una missione Biomedical. Non c’è una motivazione ufficiale, né tantomeno un piano. Disorientamento nel team interno e soprattutto tra le 1000 fra startup, spinoff e PMI che hanno risposto alla prima e unica call. Si entra in un limbo dal quale si dovrebbe uscire settimana prossima con la conversione del decreto.

Le solite voci di commissione dicono che il Mise avrebbe predisposto un emendamento per aggiungere 400 milioni ai 500 già previsti, per finanziare startup biotech. A parte il fatto che nel piano di EneaTech erano già previsti stanziamenti fino a 1,4 miliardi entro il 2034, qui non è solo una questioni di soldi. Anche perché annunciare una dotazione non significa avere la disponibilità delle risorse, come conferma la breve esperienza di EneaTech.

In una lettera al Foglio il presidente Anna Tampieri ha precisato che “nessun finanziamento è stato sin qui deliberato (la struttura non è ancora pienamente operativa indipendentemente dalle modifiche di legge oggi all’esame del Parlamento), perché banalmente il Mise non ha completato ad oggi le parti attuative necessarie per l’impiego del fondo Trasferimento Tecnologico”.

Qualunque sia la strada che si deciderà di prendere (si parla anche di un possibile “scioglimento” della Fondazione per crearne una ex novo), pur avendo avuto vita breve Enea Tech lascia un’eredità pesante, nel bene e nel male. E chi prenderà la guida di Enea Biomedical Tech avrà un compito impegnativo, perché dovrà scontare un deficit di credibilità.

Quel “gusto del futuro” promosso dal premier Draghi appartiene senz’altro alle 1000 imprese che hanno prontamente risposto alla prima e unica call di EneaTech e che rappresentano uno spaccato significativo dell’Italia che innova. Se si guarda dentro le 1000 application, come ha fatto il presidente Anna Tampieri in occasione di un evento a Fiuggi, si scopre che il 30% arrivano dalla ricerca applicata (spin-off e team di ricerca). Che ben un quarto ricadono in ambito healthcare, quello che dovrebbe essere al centro del nuovo corso, e addirittura il 36% in quello Climate Tech (Green, Energy & Circular Economy). Seguono Information Technology (22%) e Deep Tech (16%).

Tutte voci queste che suonano in sintonia con gli obiettivi di transizione digitale ed ecologica centrali nel PNRR. Se la provenienza geografica, rispecchia la distribuzione generale delle startup nel Paese (con la prevalenza del Nord Ovest), inaspettata è la presenza femminile: “Nel 18% delle proposte ricevute i ruoli apicali sono ricoperti da donne, mentre nel 58% dei casi il team ha almeno una presenza femminile”, ha fatto notare la presidente Tampieri.

Questi mille innovatori sono adesso disorientati e sfiduciati. E ci vorrà un po’ di tempo per far dimenticare. “Un team di italiani mi ha scritto dal MIT per dirmi che stavano pensando di inviare un loro progetto. Non lo faranno più”, ha raccontato Gianluca Dettori, veterano dell’innovation system italiano e presidente di Vc-Hub. Si sfoga sul sito 500milionidifuturo Laura Degiovanni, CEO & Founder TiiQu: “Non c’è italiano a Londra che abbia scelto di venire qui perché sta meglio o perché non ama l’Italia. È solo questione di dare ai nostri progetti le migliori opportunità per crescere e arrivare al successo”. Lei, come tanti altri, avevano creduto che questa opportunità potesse arrivare da EneaTech.

Settimana prossima sapremo di più e capiremo se e come si cercherà di dare un senso a un’operazione che, in questo momento, un senso non ce l’ha. Avremo un nuovo soggetto, cominceranno le manovre sulle nomine e la governance. E intanto il 2021 se ne andrà. Perdere un anno, subito dopo la pandemia, è un lusso che può permettersi un Paese indebitato che ha urgente bisogno di crescere?

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

Articoli correlati

Articolo 1 di 3