La collaborazione tra imprese consolidate e startup è ormai uno slogan sulla bocca di tutti. Non senza ragione: questo “matrimonio” può portare allo sfruttamento di risorse complementari e sinergiche. Da un lato, le imprese consolidate eccellono nella standardizzazione dei processi, nella gestione delle risorse, nel branding, nella capacità di crescere e scalare e nello sviluppo di una business strategy efficace e olistica; tutto ciò a fronte di una maggior rigidità, strutturale e spesso culturale. Dall’altro, le startup si caratterizzano per grande flessibilità e agilità, spirito connettivo e collaborativo, nonché per un innato orientamento all’innovazione. Rappresentano una sorta di “caos organizzato” che persegue costantemente un’unica parola chiave: imprenditorialità intesa in ultima analisi come la ricerca costante di opportunità originali e lo sforzo per coglierle, creando un’organizzazione (seppur temporanea) intorno ad esse. Un approccio dinamico, ovviamente ai danni di strutturazione ed efficienza.
Nonostante questa evidente complementarietà, non è ancora del tutto chiaro e definito cosa le imprese consolidate debbano cercare nell’interazione con le startup. In altre parole, quale sia la risorsa o competenza core che è prioritario interiorizzare. Le imprese possono acquisire i prodotti o servizi lanciati dalla startup nel loro mercato di riferimento, così da ampliare la propria gamma e rafforzare la propria proposta di valore; oppure intendono utilizzare la startup per esplorare mercati alternativi, in ottica di diversificazione più o meno correlata; o più semplicemente, desiderano integrare orizzontalmente un potenziale competitor che a tendere potrebbe avere un ruolo “disruptive” nel settore.
Un’altra strada, con impatti non di breve termine ma potenzialmente più profondi sull’attività dell’incumbent, è quella di puntare all’acquisizione del know-how innovativo (brevetti, licenze o anche solo idee o approcci) che la startup ha generato nella sua evoluzione turbolenta; essendo tale know-how caratterizzato da “path dependency” (ossia, dipendenza dal percorso, dalla storia vissuta dalla nuova impresa) e, molto spesso, da ambiguità causale (a fronte della difficoltà di stabilire una relazione causa-effetto tra il risultato e le determinanti che l’hanno generato), imitarlo risulta particolarmente complesso, ed interiorizzarlo tramite partnership o acquisizione è l’unica alternativa fattibile.
Tuttavia, è bene considerare un ulteriore passaggio concettuale: non è il solo know-how attualmente posseduto che conta, bensì è chi lo genera e lo ricombina in maniera originale a fare la differenza. È quindi il capitale umano all’interno della startup, costituito dal team dei fondatori (gli “startupper”) e dalle principali risorse coinvolte, a rappresentare l’asset core su cui le imprese consolidate possono fare leva per innovare il proprio modello di business e costruire vantaggio competitivo. Le imprese, infatti, sono alla costante ricerca di riscoprire quello spirito imprenditoriale che le ha contraddistinte agli albori e che spesso viene travolto dall’enorme pressione competitiva verso la standardizzazione e la strutturazione.
Questa ricerca è parte delle pratiche di Corporate Entrepreneurship, che mirano a stimolare l’imprenditorialità individuale all’interno di organizzazioni mature. Lavorare con le startup diventa quindi un innesco fondamentale per la Corporate Entrepreneurship, in quanto mette a contatto manager e dipendenti abituati a operare in regimi strutturati, con individui dalla spiccata attitudine imprenditoriale, che generano idee, le testano e le validano rapidamente, e altrettanto rapidamente le sviluppano, se promettenti, o le abbandonano, se disallineate rispetto alle aspettative dei clienti target. In fondo è un tema di preselezione: per innovare, le imprese necessitano di persone creative, agili, dalla mente aperta, orientate al digitale e imprenditoriali. E ne hanno bisogno rapidamente, con costi di acquisizione possibilmente bassi. Dove trovare tali individui in un mondo così articolato e complesso? La risposta è: all’interno delle startup che offrono l’ambiente perfetto ove essi possono operare e crescere con pochi vincoli.
Lo hanno capito bene “Tech Giant” quali Amazon, Apple, Facebook e Google, che offrono stipendi da capogiro ai grad students con alto potenziale ancor prima che terminino i loro percorsi di studi al college (e perché no, fondino la loro startup “concorrente”), al fine di accaparrarsi le migliori risorse imprenditoriali e guidare i trend innovativi del futuro. Lo stanno capendo le imprese consolidate anche in altri settori, nel loro tentativo sempre più esplicito di imparare da e integrare non solo prodotti, servizi e idee, ma soprattutto il capitale umano delle startup, così da rompere l’inerzia organizzativa e affrontare al meglio un contesto discontinuo e sempre più trasformato dalle dinamiche digitali. La morale è apparentemente banale, ma potente: la Corporate Entrepreneurship in imprese consolidate, più che con le startup, si fa con gli startupper.
*Antonio Ghezzi è Professore di Strategy & Startups presso il MIP Graduate School of Business e il Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano; Direttore dell’Osservatorio Startup Hi-tech. I suoi principali interessi di ricerca abbracciano la Business Model Innovation, la Digital Business Strategy e il processo di collaborazione strategica tra Startup e imprese consolidate. Su questi temi ha scritto oltre 100 articoli accademici e contributi su libri scientifici.
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