Purtroppo questi sono giorni di guerra. È ovunque ed è entrata anche in “Web3 questo sconosciuto”, incontro sulla nuova rivoluzione di internet che ho organizzato lunedì, coinvolgendo Barbara Carfagna e Massimo Cerofolini, giornalisti Rai noti e apprezzati per la loro competenza digitale.
Nell’ultima parte, Cerofolini ha accennato ad alcune modalità di uso della rete e del Web3 nella guerra in Ucraina.
Due giorni dopo Carfagna e Cerofolini hanno dedicato alla cyberwar “Codice Beta”, il loro podcast settimanale su RAI Radio1. In 32 minuti i conduttori e gli esperti ospiti hanno mostrato come la cyberwar incide non solo nel digitale ma anche sul terreno, sia in Ucraina che in Russia. Una guerra invisibile e incruenta, ma con ricadute ugualmente devastanti.
È evidente che guerra e tecnologia solidale non vanno d’accordo. Per definizione. Tuttavia, poiché questa guerra è anche una cyberwar, è opportuno saperne di più. Trattasi di un uso “solido” del digitale che è doveroso conoscere anche se non ci piace, ma con il quale siamo costretti a fare i conti.
In questa settimana le notizie sulla cyberwar sono state “abbondanti”. Il gruppo di hacker ‘NB65’, affiliato ad Anonymous, ha colpito il centro di controllo dell’agenzia spaziale russa Roscosmos. I russi hanno negato di aver perso il controllo dei loro satelliti spia, tuttavia hanno bloccato il previsto lancio di 36 nuovi satelliti.
In un colloquio con Il Giornale pubblicato il 3 marzo, il vice primo ministro ucraino e ministro per la Trasformazione digitale Mykhailo Fedorov (qui puoi leggere un suo ritratto) ha confermato di aver formato un «esercito informatico» contro la Russia e di aver affidato la selezione di hacker volontari a Yegor Aushev, esperto di cyber sicurezza di Kiev. Finora ne sarebbero stati arruolati quasi duemila, ucraini e stranieri, tra i quali anche alcuni russi. Del resto lo Stato ucraino aveva da settimane chiamato alle armi tutti gli esperti cyber del Paese, per rispondere agli attacchi informatici che hanno preceduto l’invasione.
In questi giorni la quotazione dei bitcoin sui mercati finanziari è molto cresciuta. ll Sole 24 ore del 3 marzo lo attribuisce al fatto che le crìptovalute consentono di fare transazioni fuori dai canali ufficiali, aggirando così le sanzioni contro banche, aziende e oligarchi. Nel pezzo si legge che “un recente report del governo russo indica in oltre 12 milioni i wallet digitali detenuti da cittadini russi, con asset per oltre 20 miliardi di dollari.” Per questo Fbi, servizi inglesi e Unione europea pare vogliano intensificare i controlli sulle blockchain. Una intenzione ardua da mettere in pratica.
A proposito di uso bellico dei social, Domenico Giordano ha pubblicato su Il Mattino una serie di analisi che vanno da come il presidente ucraino Zelens’kyj sta adoperando Twitter ai filmati con milioni di visualizzazioni pubblicati su Tik Tok o distribuiti via Telegram, per arrivare a come Twitter e Meta si sono mossi nel tentativo di sterilizzare fake news e hate speech, schierandosi di fatto con l’Ucraina. Di come le grandi società della rete si stiano muovendo, destreggiandosi tra le pressioni russe e le richieste ucraine e dell’Occidente, ha ragionato anche Alessandro Longo in un articolato post su Agenda digitale.
Sempre alle grandi piattaforme si sono appellati gli Stati membri dell’Ue per fermare la disinformazione della Russia sull’attacco all’Ucraina, chiedendo loro di garantire il blocco ai canali di propaganda e disinformazione, preservando al tempo stesso la capacità dei cittadini russi di comunicare via internet e di poter accedere ad un’informazione libera. Lo hanno fatto la sera del 3 marzo, dopo la call – a cui ha partecipato anche il nostro ministro Vittorio Colao – fra i ministri europei del digitale e il già citato vice primo ministro ucraino Mykhailo Fedorov. La risposta russa è stata, il giorno dopo, la chiusura di Twitter e Facebook.
Siamo dunque davanti a una guerra combattuta in una nuova dimensione, che impatta sulle altre con danni rilevanti e che avrà conseguenze importanti.
Un uso della tecnologia che speriamo tutti abbia termine prima possibile, assieme al “resto” della guerra. Naturalmente con una pace vera e duratura, che si può fondare solo sulla giustizia e sulla libertà e non sulla sottomissione dell’Ucraina alla Russia di Putin.