Innovazione

Grafene, un team “made in Italy” scopre nuovi utilizzi per transistor super-potenti

L’équipe di Alessandro Baraldi, docente di Fisica all’Università di Trieste, ha individuato una modalità innovativa di usare il materiale “erede” del silicio in nanoelettronica. Aziende nordeuropee sono interessate alle applicazioni pratiche. Il ricercatore: “Progetto internazionale, ma il cuore è italiano”

Pubblicato il 03 Ott 2014

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Alessandro Baraldi, docente di Fisica della Materia all'Università di Trieste

Il Made in Italy nel campo della ricerca scientifica può imprimere una svolta all’industria delle nanotecnologie e della nanoelettronica di tutto il mondo. Una squadra di ricercatori, capitanata da Alessandro Baraldi, docente di Fisica della Materia dell’Università di Trieste e responsabile del Laboratorio di Scienze delle Superfici del centro Elettra-Sincrotrone Trieste, ha sviluppato una tecnica per cui, per la prima volta, è possibile sfruttare tutte le potenzialità del grafene.

“Erede” del silicio, il grafene sta già portando una rivoluzione nel mondo dell’elettronica, facendo durare più a lungo le batterie dei telefonini, contribuendo alla produzione di monitor sottilissimi e flessibili e di transistor super-potenti. Diffusa dalla rivista Nature Communications, la notizia della scoperta è presto rimbalzata in varie parti del mondo, al punto che, svela Baraldi, alcune aziende del Nord Europa e in particolare del Regno Unito si stanno interessando a eventuali applicazioni pratiche. Siamo orgogliosi – dice il fisico – di avere aggiunto un nuovo piccolo tassello al complicato puzzle che, quando completo, consentirà di passare dall’era del silicio all’era del grafene”.

In pratica cosa avete scoperto?
Partiamo dalle origini: il grafene, materiale molto semplice composto da un singolo strato di atomi di carbonio disposti in un reticolo a nido d’ape, è stato sintetizzato soltanto nel 2004. Una scoperta che ha consentito agli scienziati Andre Konstantin Geim e Konstantin Sergeevich Novoselov dell’Università di Manchester di aggiudicarsi il Premio Nobel per la Fisica nel 2010. E’ dal al 2008 il mio gruppo sperimentale, insieme ai ricercatori di Elettra, studia questo materiale. Il metodo usato all’origine per sintetizzarlo, geniale e nel contempo primitivo, era applicare del nastro adesivo su un pezzo di grafite ad alta purezza. Attraverso una serie di passaggi, un vero e proprio processo di esfoliazione, si passava dalla grafite a un singolo strato di atomi di carbonio. Quell’approccio però non era scalabile. Da allora sono state esplorate diverse vie per sintetizzarlo in altro modo. Una di queste prevede l’utilizzo di un metallo catalizzatore: gli idrocarburi sono molecole composte da carbonio, quindi si usa la superficie di un metallo catalizzatore per rompere i legami tra atomi di carbonio e idrogeno e rilasciare solo gli atomi di carbonio. La procedura si deve svolgere a temperatura sufficientemente alta e usando schemi controllabili. È senz’altro meglio dei metodi di esfoliazione che citavo sopra. Ma ancora non era l’optimum.

Perché?
Il problema è che, con la tecnica che ho appena descritto, il grafene non è utilizzabile dall’industria micro e nanoelettronica, perché poggia su un metallo, quindi non è isolato dal punto di vista elettrico. La comunità scientifica ha sviluppato metodi per rimuovere il grafene dalla superficie dei metalli (per esempio dal rame) e poggiarlo su materiale isolante. Ma in questi processi le qualità del grafene vengono irrimediabilmente deteriorate perché qualche atomo di carbonio viene rimosso dal reticolo oppure perché il grafene viene contaminato da altri composti, perciò non è più in grado di condurre la corrente elettrica in modo così eccellente. Noi siamo riusciti a compiere il passo successivo.

Quale?
Per la prima volta siamo riusciti a ottenere, usando un metodo molto semplice basato sull’utilizzo di materiali a basso costo, un nuovo tipo di interfaccia tra grafene e materiale isolante, senza processo di trasferimento, in modo da preservare le qualità e le proprietà straordinarie di questo materiale, che è soprattutto la capacità di condurre la corrente elettrica. Si pensi che la conducibilità elettrica del grafene a temperatura ambiente è circa un milione di volte superiore a quella del rame.

Insomma, siete riusciti a produrre un grafene di qualità superiore?
Sì. Ce l’abbiamo fatta utilizzando non più un singolo elemento della tavola periodica, ma un composto fatto da nichel e alluminio. Per la prima volta siamo stati in grado di “crescere” nella prima fase il grafene su una superficie fatta appunto di nichel e alluminio. Invece di rimuovere il metallo e trasferirlo su un ossido, siamo stati in grado di ossidare direttamente la superficie su cui poggia il grafene. L’isolante è l’ossido di alluminio, sostanzialmente la ceramica usata per gli isolamenti elettrici nei dispositivi elettronici. Un progetto di sintesi assolutamente innovativo.

Così innovativo che è stato rilanciato da Nature Communications. Altri apprezzamenti dal mondo scientifico?
Il nostro progetto è sostenuto dalla comunità scientifica internazionale, con la quale condividiamo i risultati. Non dimentichiamo che abbiamo partner esteri. Allo studio, realizzato dall’Università di Trieste e da Elettra, hanno collaborato, oltre ai nostri studenti di dottorato, ricercatori del CNR italiano, ma anche alcuni danesi dell’Università di Aahrus. E i nostri dati sperimentali sono stati confrontati con le simulazioni teoriche di fisici teorici del ICMM-CSIC spagnolo e dell’University College of London. Insomma, un progetto di respiro internazionale ma con il cuore tutto italiano: le idee sono nostre, la quasi totalità delle misure adottate sono nostre.

E l’industria si è accorta di voi?
Abbiamo già contatti con aziende e industrie interessate a portare questo tipo di conoscenza su scala macro. È importante essere in grado di scalare questi processi, in modo che i materiali possano essere sintetizzati su scala industriale, non solo a livello di laboratorio. Tra le industrie che ci hanno contattato le italiane sono poche, la maggioranza sono straniere, nordeuropee e del Regno Unito, tutte nel settore delle nanotecnologie e della nanoelettronica. Ma ancora non è stato finalizzato alcun contratto.

Quale vantaggio dall’uso del grafene? È vero che le batterie dei telefonini durano più a lungo e si possono produrre monitor flessibili?
Telefonini carichi più a lungo, computer che non si surriscaldano eccessivamente, monitor sottilissimi e flessibili, futuri transistor super-potenti: ecco cosa può derivare dall’utilizzo di questo materiale. Un materiale eccezionale perché conduttivo, molto resistente dal punto di vista meccanico e anche trasparente: un singolo strato di grafene assorbe il 2% della luce solare. Ed è poco costoso. Per farne capire le potenzialità posso dire che esistono tantissimi prototipi già sviluppati nel mondo che consentono di far funzionare i transistor già a qualche centinaio di Gigahertz. O che Samsung sta usando il grafene per gli schermi flessibili per i prossimi device. Il grafene è usato in mille applicazioni diverse, per esempio come filtro per la purificazione di liquidi. Speriamo che la nostra sintesi sia di utilità nell’industria nanoelettronica. In particolare il nostro contributo sarà allo sviluppo di transitor ad effetto di campo di nuova generazione sulla scala nanometrica.

La sua squadra è un’eccellenza della ricerca scientifica. Allora è vero che si può fare ricerca di qualità anche in Italia?
Trieste è considerata la città della scienza, la densità di ricercatori rispetto alla popolazione è la più alta d’Europa, oltre 30 ogni mille abitanti attivi, e ci sono tante istituzioni scientifiche. Ogni anno ad Elettra accogliamo migliaia di ricercatori che ci consentono un contatto continuo e costruttivo con il mondo scientifico internazionale. È un ambiente fertile. Ed è così che nascono le eccellenze.

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