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Gli intrapreneur: le caratteristiche dei dipendenti-imprenditori e come riconoscerli in azienda



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Quali sono le caratteristiche degli intrapreneur domestici? Hanno spirito d’iniziativa, non temono le responsabilità e hanno una maggiore propensione al rischio. Ma sono anche irrequieti. Ecco come coltivarli

Pubblicato il 31 ott 2024

Andrea Contri

Innovation Director



Intrapreneur

Si è scritto molto sul tema dell’intrapreneurship, ovvero della pratica di incoraggiare comportamenti imprenditoriali da parte dei dipendenti di imprese strutturate., i cosiddetti intrapreneur.

Gli intrapreneur, l’ibridazione fra dipendente e imprenditore

Se gestita bene (e non è facile), questa ibridazione può portare molti vantaggi: maggiori stimoli all’innovazione in un ambiente controllato; più agilità nell’adattarsi ai bisogni di mercato; un miglior livello di responsabilizzazione, coinvolgimento e crescita personale dei dipendenti coinvolti.

Nel corso della mia carriera ho avuto il privilegio di collaborare con realtà come Google e Haier che hanno fatto scuola in questa direzione, adottando modelli operativi più decentralizzati e meno gerarchici che hanno permesso loro di accogliere, formare, e a volte rilasciare sul mercato un gran numero di intrapreneur.

Senza entrare nei dettagli organizzativi di modelli come il RenDanHeYi, che commentatori più autorevoli di me hanno già codificato, voglio oggi tratteggiare alcune caratteristiche degli “imprenditori domestici” che ho potuto vedere in azione, per facilitarne l’individuazione e l’ingaggio in azienda.

Come riconoscere un intrapreneur

Queste persone si possono riconoscere anzitutto dallo spirito di iniziativa: sono meno interessate a svolgere compiti già ben codificati, e più stimolate dall’opportunità di confrontarsi con sfide originali, in cui poter esprimere con passione le proprie attitudini di lettura della realtà e influenza costruttiva.

Non sono poi intimorite dall’idea di prendersi le proprie responsabilità, infilandosi anche nelle aree grigie oltre il proprio mandato, se lo ritengono un modo per arrivare prima o più efficacemente al risultato.

Spesso pensano in termini di visione d’insieme, cercando il coinvolgimento inter-funzionale anche a scapito della pura efficienza, senza per questo buttare ogni volta la palla in tribuna. Infine, hanno una maggiore propensione al rischio rispetto alla media dei dipendenti: non a tal punto da mettersi in proprio (o perlomeno non ancora, o non più), ma sono disposte a tollerare un livello di incertezza più elevato, che le rende meno conservative e più adattabili.

L’intrapreneur in azienda, non è sempre rose e fiori

In ogni caso non bisogna pensare che sia tutto sempre rose e fiori: queste stesse attitudini portano infatti gli intrapreneur a sentirsi stretti nei contesti più rigidi. Si possono quindi far notare per la loro irrequietezza, che li porta a contestare anche vocalmente lo stato delle cose o la lentezza percepita dei progressi.

Hanno scarsa tolleranza per la burocrazia e non sono particolarmente a proprio agio con l’etichetta o le gerarchie aziendali, per cui può capitare che perseguendo le proprie ambizioni pestino qualche callo o rompano le righe con una fuga in avanti.

Nella realtà dei fatti, non tutte queste caratteristiche (positive o negative) si presentano sempre insieme o con la stessa intensità; c’è però un comportamento osservabile con frequenza, che può essere un utile indicatore pratico dei tipi umani più imprenditoriali: quando qualcosa va storto, essi tendono a concentrarsi su come uscirne anziché soffermarsi sull’analisi dettagliata delle circostanze che hanno portato all’insorgere della situazione – come descrive bene Barack Obama.

Come coltivare l’intrapreneurship in azienda

Le imprese che vogliono coltivare sistematicamente l’intrapreneurship devono quindi tenere conto di tutti questi fattori, agendo in modo coordinato tra vertici aziendali, funzioni di business e risorse umane.

Non basta lanciare call per trovare le persone giuste, ma bisogna garantire alcuni elementi fondamentali: un corretto allineamento degli incentivi economici con gli obiettivi strategici dell’azienda (attraverso accordi di profit sharing o altre forme di remunerazione del rischio); un clima di sicurezza psicologica in cui il dissenso e il fallimento non siano stigmatizzati; un sistema di supporto e accompagnamento che vada oltre i meri corsi di formazione e permetta un confronto frequente tra chi sta affrontando sfide simili.

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