L'INTERVISTA

G Squared, il venture capital che ha investito su Twitter e Alibaba ora guarda all’Italia

G Squared, gestore di venture capital statunitense che ha investito in big come Alibaba, Uber e Spotify, sta valutando investimenti in un paio di realtà italiane. Il partner Richard Harris spiega a EconomyUp come sceglie le aziende: 5 o 6 anni di vita, tecnologie e soluzioni disruptive, team solidi ed esperti

Pubblicato il 12 Gen 2021

G Squared

Ha investito in società come Alibaba, Pinterest, Spotify, Twitter e Uber, ma è sempre alla ricerca della nuova generazione di “disruptors”, aziende che hanno già 5 o 6 anni, hanno bisogno di liquidità e che, se opportunamente finanziate, possono diventare autentici big del digitale: si chiama G Squared ed è un gestore di fondi di venture capital statunitense focalizzato sulle società con opportunità di crescita nel settore tecnologico globale. “Investiamo il 70% del nostro capitale in Nord America e il restante 30% nel resto del mondo, principalmente in Europa” dice a EconomyUp Richard Harris, partner di G Squared. “In Italia per il momento non abbiamo ancora investito, ma stiamo valutando un paio di società”. “Una potrebbe forse essere Satispay, l’astro italiano del fintech che a fine 2020 ha raccolto ben 93 milioni di euro da investitori nazionali e internazionali?” chiediamo. “Lei dovrebbe venire a lavorare per noi!” è la divertita risposta. Che suona più come una conferma che una smentita. In totale sono 15 le aziende europee che G Squared considera attualmente “osservati speciali”. Per ognuna non si può più parlare di startup, ma neppure di scaleup. Sono “companies” in grado di “sfidare lo status quo” e “sconvolgere le industrie”. Non a caso gli investimenti effettuati da G Squared sono late growth-stage, quelli in una fase più matura della vita di un’azienda.

Richard Harris, Partner G Squared

G Squared, i numeri

Fondata nel 2011, G Squared ha i suoi uffici a Chicago, San Francisco, Zurigo e Greenwich, con una presenza a Città del Messico. Finora ha investito circa 818 milioni di dollari nel portafoglio di 58 aziende, con un valore corrente realizzato di 1,44 miliardi di dollari. Il suo obiettivo è rivolgersi a leader di categoria dinamici e autentici disruptors, supportando i team di gestione attraverso partecipazioni di minoranza in qualità di fornitore di “transitional capital”, capitale di transizione. “La differenza tra noi e un venture capital tradizionale? Siamo in grado di supportare le aziende, gli impiegati e gli early investors fornendo loro liquidità nel momento in cui ne hanno bisogno” dice a EconomyUp Richard Harris. “Partiamo dal concetto che le aziende tecnologiche ricevono una grande quantità di capitali per crescere e che restano ‘private’, cioè scelgono di non quotarsi, più a lungo di quanto ci si aspetti. Nel 2000 ci volevano tre anni, oggi la loro durata fino all’IPO è in media di 14 anni. Noi investiamo dopo 5 o 6 anni, basilarmente nella seconda parte della vita delle aziende”. Così facendo G Squared ha contribuito ad alimentare una serie di realtà innovative, sostenendole, per dirla con le parole di un innovatore in altri campi e di altri secoli, “nel mezzo del cammin” della loro esistenza.

I big su cui ha investito

Tra le società su cui ha scommesso c’è un colosso dell’ecommerce come Alibaba, un’ormai consolidata realtà della formazione online come Coursera, la star della musica online Spotify, la creatura di Elon Musk per i voli nello spazio, SpaceX,  23andMe, che si occupa di test genetici. E poi Dropbox, Lemonade, Lyft, Meituan Dianping, Uber… Nomi noti al grande pubblico, ma anche realtà emergenti forse meno conosciute in Europa quali Toast (software per i ristoranti) o Capsule, un marketplace che consente di ricevere direttamente a casa dalla farmacia un medicinale dopo che è stato prescritto dal medico.

Come G Squared sceglie le società sulle quali investire

“Il modo in cui investiamo è molto tecnico” spiega Richard Harris. “Innanzitutto guardiamo alle 6 industrie in cui abbiamo scelto di focalizzarci e cerchiamo di identificare i migliori business internazionali”. I sei verticali sono: cloud computing & big data; marketplaces; mobility 2.0; fintech/insurtech; new age media & social mobile; sustanaibility.

“Quello che non facciamo – sottolinea Harris – è investire in idee early stage. Possono essere molto buone, ma ci siamo posti l’obiettivo di scommettere su business comprovati che sappiano continuare a crescere”.

Naturalmente, oltre agli aspetti tecnici, conta anche il team. “Le persone sono essenziali” conclude Richard Harris. Le squadre migliori? Il venture capitalist non ha dubbi: quelle di Coursera e Toast. “I loro manager lavorano da tempo nel settore, perciò sanno quello che fanno”.

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Luciana Maci
Luciana Maci

Giornalista professionista dal 1999, scrivo di innovazione, economia digitale, digital transformation e di come sta cambiando il mondo con le nuove tecnologie. Sono dal 2013 in Digital360 Group, prima in CorCom, poi in EconomyUp. In passato ho partecipato al primo esperimento di giornalismo collaborativo online in Italia (Misna).

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