L’Europa può svolgere un ruolo importante sulle innovazioni per la sostenibilità e l’inclusione, anzi deve. È il messaggio lanciato dal presidente della Repubblica in occasione del Cotec, l’incontro annuale della Fondazione che opera in Italia, Spagna e Portogallo (qui si può leggere il suo discorso). Nel 2024 ci saranno le elezioni europee e l’Italia avrà la presidenza del G7: Sergio Mattarella sta in qualche modo indicando le priorità di una leadership europea che dovrà sempre più confrontarsi con Stati Uniti e Cina e tra queste ci sono, senza alcun dubbio, l’innovazione e le tecnologie digitali.
L’Italia è già alla guida di una delle istituzioni europee impegnate nella crescita digitale: Federico Menna, 40 anni, è il CEO di EIT Digital, lo European Institute of innovation and technology nato per sostenere la leadership europea su un terreno strategico per la crescita e il futuro del Vecchio Continente.
Il Financial Times, di recente, ci ha ricordato che l’Europa ormai stata “seminata” dagli Stati Uniti: prima del 2008 l’economia dell’Unione Europea era più grande di quella statunitense, che adesso vale più del 50% di quella UE. Il soprasso si deve in buona parte al ritardo accumulato sulle tecnologie e l’innovazione: Apple, Amazon, Google, Microsoft sono tutte creature d’oltreoceano.
A inizio giugno c’è stato l’evento annuale di EIT Digital , il primo a cui Federico Menna ha partecipato da CEO: è ufficialmente in carica dal primo aprile, anche se ha guidato l’Istituto a interim a partire dallo scorso ottobre. “Il nostro obiettivo è contribuire a creare una solida cultura dell’innovazione, del digitale, dell’imprenditorialità”, ha detto in quella occasione. “Lavoriamo a tutto campo: dallo studente fino all’unicorno, facciamo formazione e aiutiamo gli imprenditori a crescere”.
Tutto è cominciato perché Federico Menna voleva tornare nella sua Trento, come ci racconta lui stesso. E invece…
“Dopo la laurea in ingegneria delle telecomunicazioni a Trento, sono andato a lavorare in Vodafone, nella sede storia di Ivrea (lì nel 1994 era nata Omnitel, ndr.), ma avevo voglia di Tornare nella mia città e così quando è stato creato EIT Digital, che ha la sua sede italiana, a Trento, mi sono subito candidato. Ma mi hanno preso a Bruxelles e così non sono riuscito a tornare a Trento
Che cos’è oggi EIT Digital?
Un’organizzazione, finanziata dalla Commissione Europea ma in misura sempre decrescente perché il nostro compito è trovare nuove risorse e nuovi partner privati. Ha 21 uffici in Europa e una sede a San Francisco. Di fatto è un network unico che comprende oltre 350 realtà tra aziende e startup e che sviluppa formazione, ricerca e innovazione per costruire un’Europa digitale competitiva e in linea con gli obiettivi di sostenibilità.
Vediamo qualche numero di questo network…
EIT Digital significa 1000 investitori coinvolti, 56 università partner, 500 startup e 150 scaleup sostenute e 3mila studenti della Master School. E questo network diventa un canale di accesso per i fondi e i progetti della Commissione Europea, come Horizon Europe. E ce lo confermano numerose storie di successo.
EIT Digital fa anche investimenti sulle startup?
Sì, è previsto anche un nostro ruolo come investitori. Abbiamo equity in 250 startup, mai più del 15%. E presto avremo la prima exit, in Francia.
Parliamo un po’ dell’Italia….
È il Paese dove abbiamo il maggior numero di studenti per il nostro master: 60 l’anno su un totale di 300 e molti con borse di studio di CDP e altre aziende. Scelgono fra sette programmi, orizzontali o verticali, e fanno un anno in Italia e un anno all’estero. Dopo la triennale. Sono figure che magari arrivano con una forte competenza tecnica, e la completano con innovazione e imprenditorialità. Sono figure molto ricercate dalle aziende.
Quindi in Italia la voglia di fare innovazione digitale non sembra mancare. Come vedi l’evoluzione dell’open innovation?
Fino a tre anni fa quasi nessuno faceva davvero open innovation. Magari trasformavano la ricerca e sviluppo per attingere a nuove fonti di finanziamento e fare procurement di cose nuove. Adesso ci sono aziende che si stanno muovendo con una vera ottica di open innovation. Lo vedo tra i nostri partner e non mancano i casi italiani, come Enel o Engineering.
E sul fronte startup?
Devono ancora arrangiarsi, sono davvero poche le realtà che le aiutano. Quando vedo Finlandia o Svezia che fanno technology push, non posso non fare il confronto con la situazione italiana: le startup italiane fanno fatica a trovare sostegno se non hanno già un cliente o un investitore.
Qual è oggi la principale criticità?
La difficoltà oggettiva nell’internazionalizzazione. E la prima causa è la scarsità di investimenti. Lo scenario sta cambiando, ma servirebbero più iniziative strutturali e di sistema. Ma sono ottimista, perché vedo che è in corso un cambiamento. Non dimentichiamo, però, che ci vuole tempo e servono investimenti. Tanti.