Perchè sul mio biglietto da visita dovrei scrivere Founder, o CEO, anche se ho fondato un’azienda e la rappresento civilmente? Non parliamo di Ing o Phd. Detesto. Per molto tempo non ho scritto nulla.
Nel biglietto da visita ci dovrebbe essere scritto come posso essere utile a chi faccio visita, non alla mia. Potrei scrivere consulente, ma di che cosa? Innovation Consultant. Ah, beh, tutto chiaro, allora. Ma cosa innovi? No, io aiuto ad innovare, capisci? Sì, ma cosa? Lasciamo stare. Se proprio devo spendere del tempo a precisare che cosa significa il mio “titolo”, allora preferisco sceglierne uno che mi rappresenta davvero: Innovation Detective. Perciò, te lo spiego.
Occuparsi di innovazione, per me, equivale a vedere il mondo come la scena di un crimine
Ogni volta che osservo una persona afflitta da un problema, una forma di frustrazione, di tristezza, un vano affaccendarsi, un comportamento singolarmente inefficiente, o bizzarro, cado in una forma di curiosità assillante sulla vera causa della frustrazione, della tristezza, dell’affanno. Nella speranza, o meglio missione, di acciuffare il problema e rimuoverlo dalla circolazione.
Per fare di quella persona un essere umano più sereno.
Allo stesso modo degli agenti speciali dell’FBI, o dei detective, che davanti ad un crimine non mollano la presa, notte e giorno, fino a quando non prendono il colpevole? Sì, allo stesso modo.
È il problema, il mio, il nostro colpevole, e il mercato è il nostro ricercato numero uno
D’ora in poi dirò nostro perchè non lavoro da sola. I casi si risolvono almeno in coppia, come quasi tutti hanno appreso da Netflix, e la cosa migliore è avere una vera e propria squadra.
Il problema è colpevole perchè affligge qualcuno, e – se convieni con me che le aziende stanno al mondo per fornire soluzioni a problemi che affliggono qualcuno, allora ti sarà chiaro che questo qualcuno – la vittima – fino a prova contraria è proprio il cliente.
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Dal mio punto di vista di Innovation Detective insomma la missione delle aziende – con le loro soluzioni – è tenere i colpevoli (i problemi) lontano dalle loro vittime (i clienti). Il mercato è formato dai clienti, e quindi è l’insieme di persone afflitte da un problema: per questo – per farla breve – è il nostro ricercato numero uno.
Nel momento in cui le incontriamo per la prima volta, le aziende hanno una loro idea del mercato, spesso legata a cose che non c’entrano nulla nè con il problema, nè con l’intensità dell’afflizione. Inoltre tendono a considerare la fase investigativa come una tediosa formalità. Nel 100% dei casi si rendono conto invece che la loro idea era sbagliata, inesatta, fuorviante.
Ma allora, se finisce sempre così, come mai i manager, gli amministratori, tendono ad essere così sicuri, sempre così poco critici, e così poco curiosi rispetto alle tante forme in cui la vera realtà riesce a differenziarsi dalle loro aspettative?
Perchè molte volte, proprio come si vede nei film
l’interesse del procuratore non è fare giustizia, ma trasferire la sensazione di aver fatto giustizia
Allo stesso modo in azienda, purtroppo, l’interesse a corto raggio di chi si occupa di innovazione non è fare la vera innovazione – scoprire i veri problemi del mercato, inchiodarli, aprire reali prospettive di crescita per l’azienda e per il suo ecosistema. È, invece, far vedere (internamente ed esternamente) che si sta facendo innovazione. Il modo migliore per farlo vedere è mettere nelle mani dei colleghi, sul tavolo del board, o nelle mani di qualche giornalista, una bella ed appariscente novità.
Oppure, l’interesse è agire tecnologicamente, dedicarsi allo sviluppo di una combinazione di features possibili, ma non realmente necessarie. Questi casi riguardano spesso le aziende ad alto contenuto tecnologico, o le startup deep tech, per esempio.
L’interesse è davvero risolvere un problema, a volte, ma ci si innamora prematuramente della soluzione
trascurando che non è quella che ci porterà all’altare (oddio, non so se questa metafora mi piace, però la sostanza è proprio questa).
E dai, ma come si fa ad innamorarsi dei problemi? Beh per un detective non è proprio amore, piuttosto una forma di umana fissazione. “Sei una fissata”. Tutti me lo dicono!
Il compito della mia squadra è fare in modo che le aziende nascano e crescano ‘sedute sui reali problemi’ (uso una felice espressione di un nostro cliente) delle persone (o delle aziende) che intendono servire, quindi su mercati veri, fattuali, effettivamente prosperi. In questo modo facciamo gli interessi delle aziende, dei loro dipendenti, e anche dei loro clienti, agendo in nome e per conto di tutte le persone che compongono la nostra rutilante umanità.
È possibile che anche tu, qualche volta, abbia agito come un Innovation Detective. Come prima cosa mettiamo in dubbio la certezza del “procuratore”, del manager, dell’amministratore, dell’ingegnere, dell’imprenditore: la convinzione cioè che il mercato idealizzato esista davvero. Come prima cosa, trasformiamo questa certezza in un denuncia, da accertare.
Il dovere numero uno di un (innovation) detective è, quindi, dubitare
Nel dubbio sistematico, Cartesiano, c’è il segreto della verità, l’assicurazione che svolgeremo velocemente ed efficacemente il nostro mestiere. Il mio, e magari il tuo.
Se la prima è dubitare, la seconda cosa che fa un detective quando ha a che fare con un sospettato è cercare un alibi, cioè la prova contraria. Non lo fa perchè è masochista e non vuole mai terminare l’indagine. Lo fa perchè il suo modo di procedere è scientifico, e va avanti attraverso successive invalidazioni, che gli permettono di scartare velocemente tutte le ipotesi false e dirigersi efficacemente verso la soluzione del caso, senza perdere tempo. Esattamente come fa Bosch, o Wallander, o Poirot, o Sherlock Holmes. La velocità dell’indagine è fondamentale.
Ecco perché il nome dell’unità investigativa è CSI, Customer Scientific Investigation
Ma non voglio annoiarti con questi tecnicismi, spero solo di aver trasferito il senso di Innovation Detective. Senza distintivo, naturalmente! Meglio continuare con qualche esempio concreto di caso vero e proprio: storie di innovazione iniziate nel solito modo, un po’ storto, e finite bene, in cui il lavoro investigativo si fa strada tra i pregiudizi, ribalta le ovvietà, esamina da vicino il mercato, smaschera il vero problema, e lo inchioda con una nuova soluzione.
Nessun detective che si rispetti, e ovvio, può parlare apertamente dei propri casi. A meno che tu non voglia la versione edulcorata delle solite storie epiche di Kodak contro Instagram. Se sei arrivato fin qui, non credo. Perciò le storie saranno mascherate, ma vere. Le identità saranno dissimulate, e talvolta, per confondere le acque, elementi di un caso finiranno nell’altro. Qualsiasi riferimento a persone o aziende reali sarà puramente casuale, benche tutti i fatti, ci puoi contare, siano dannatamente accaduti.
Dalla prossima settimana, su Economy up, in questa rubrica si comincia con i casi.