La scorsa settimana abbiamo portato il format di Innovation Weekly dentro l’evento di Startup Bakery Bakers Connect a Palazzo Bovara a Milano.
È stata l’occasione per approfondire l’operazione che ha portato Zucchetti (gruppo italiano di circa 8000 persone da un paio di miliardi di fatturato) a rilevare nel 2019 la maggioranza del capitale di Fluida, a soli 15 mesi dal lancio e 400 mila euro raccolti in fase pre-seed.
Non è l’unica acquisizione di startup da parte di Zucchetti che si dimostra molto più “acquisitive” di tante aziende decisamente più grandi. Dal 2019, solo nel settore HR Tech, Zucchetti ha comprato Intervieweb (oggi Inrecruiting, tra altro parte del batch 2010 di Mind the Bridge), Data Management, Skillato, Eggup, Amilon, Jobby, BKM e Beaconforce (nel 2016 peraltro avevano anche acquisito DoubleYou).
Alberto Onetti tra Andrea Bortolazzi (Fluida Europe) e Domenico Uggeri (Zucchetti)
La storia di Fluida però è interessante perché evidenzia le due facce della medaglia dell’open innovation quando si tratta di exit. E mostra come, per farle succedere, debba però uscire due volte “testa”.
Le startup nascono con la exit in “testa”
In primo luogo per il tipo di startup. Fluida, che fa software gestionali per le risorse umane, è stata (in una logica di startup studio) “concepita e progettata per essere affiancata da partner industriale. Siamo forse il precursore di Startup Backery”, ha ammesso Andrea Bortolazzi di Fluida Europe.
Il matrimonio con Zucchetti, che aveva un razionale sfidante – coprire segmenti di mercato che Zucchetti non copre come le PMI e anche le aziende più grandi che stanno guardando al self provisioning –, ha permesso a Fluida di crescere rapidamente a livello dimensionale (erano in 4 al momento dell’investimento, oggi sono in 28, con 2 milioni di euro di recurring revenue da 2000 clienti e un tasso di crescita di circa 100 nuovi clienti mese. Tra l’altro Zucchetti “lascia ampia indipendenza alle aziende acquisite senza intervenire nella governance (no seats nel CDA)”.
Lo stesso era peraltro successo ad Intervieweb, che post acquisizione è passata da 14 a 40 persone e da 1 milione a 6 milioni di fatturato. Qui “l’acquisizione ha portato moltissimi benefici derivanti da sinergie tecnico-commerciali (integrazioni con altri prodotti della suite Zucchetti HR, presenza commerciale in altri paesi in cui Zucchetti ha sede come, ad esempio, Spagna, Brasile e Romania) ma anche la possibilità di avere team e funzioni di staff a supporto, come ad esempio le funzioni privacy, legale, HR, marketing, etc.” mi ha ricordato Matteo Cocciardo, il founder di Intervieweb anche lui a Milano.
Quindi le tanto vituperate acquisizioni di startup sembrano portare crescita dimensionale e occupazione. Quindi potrebbero essere un via per alleviare (se non risolvere) lo strutturale nanismo delle imprese italiane (che si sta ahimè trasferendo paro paro anche alle startup). Perché le cose piccole non vanno da nessuna parte.
Per comprare una startup ci vuole “testa”
“Me la hanno segnalata e mi sono fiondato da loro con due colleghi più giovani di me che hanno espresso parere negativo perché, a differenza delle acquisizioni precedenti, nel caso di Fluida c’è sovrapposizione con il business di Zucchetti: Fluida, vendendo sul marketplace, potenzialmente toglie il business alle reti fisiche”, così racconta Domenico Uggeri, Vicepresidente di Zucchetti. E scattano meccanismi interni di protezione quando ci si avvicina al core business.
Avevo sentito parlare di Uggeri come di una persona dotata di visione e dinamismo non comuni. L’incontro di settimana me lo ha confermato e l’espressione “fiondato” riassume bene la sua attitudine (quanti top manager si fiondano per andare a parlare con una startup di 4 persone con neanche due anni di vita?).
Avevo discusso in un precedente articolo di quanto fosse difficile per le grandi aziende comprare startups. Nelle aziende ci vogliono teste capaci di fare scelte rischiose, se misurate con gli occhi dell’oggi. E di farle rapidamente. Perché nelle aziende c’è tanta inerzia alimentata dall’effetto legacy. Ed è sempre suadente la tentazione di farsi le cose in casa.
“Dentro le aziende c’è troppa staticità. Bisogna avere la forza di tagliare di netto”. Anche perché “non ci saremmo mai arrivati col make. Siamo poco attrattivi, come azienda e come location (siamo in provincia, a Lodi).”
Questione di testa.
Qui il link all’intervista completa.