EY CAPRI 2018

EY-Ipsos: la trasformazione digitale piace agli italiani, ma nelle imprese c’è un ritardo culturale

La maggioranza degli italiani ritiene che le tecnologie digitali abbiano effetti positivi, secondo un’indagine Ipsos che sarà presentata al Digital Summit d’inizio ottobre a Capri. Le aziende investono ma poco, per diversi fattori culturali. «Gli imprenditori non vedono il vantaggio del digitale”, spiega Donato Iacovone

Pubblicato il 11 Set 2018

Donato Iacovone (a destra), Ceo di EY, con Nando Pagnoncelli di Ipsos

Otto italiani su 10 ritengono che le tecnologie digitali abbiano solo o soprattutto effetti positivi. Ma …l’Italia resta ancora distante (12 punti) dalla media europea per quanto riguarda l’accesso a Internet. E le aziende italiane, soprattutto quelle piccole e medie, sono in ritardo sul fronte della trasformazione digitale. È un quadro in chiaroscuro quello che emerge dalla ricerca Ipsos che verrà presentata nella sua versione integrale all’EY Capri Digital Summit in programma dal 3 al 5 ottobre, che quest’anno ha come titolo “Innovation: land of ideas”.

L’innovazione è la terra delle idee. Perché la vera questione che ancora impedisce all’economia italiana di cogliere le opportunità del digitale è culturale. Può sembrare una frase fatta o comunque generica che tutto spiega e tutto assolve ma le evidenze sono ormai numerose. Le aziede hanno investito e stanno investendo sulla digitalizzazione, dicono alcuni dati presentati in anteprima da Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos Italia, ma soprattutto nell’area della sicurezza, delle app e dei social. Molto meno nella nuova ondata di tecnologie come i Big Data, l’Iot, l’Artificial Intelligence. Il livello di digitalizzazione è comunque ancora generalmente molto basso.

Una tabella come questa dovrebbe essere in testa a ogni iniziativa di politica economica del Governo per avere una corretta rappresentazione della realtà, individuare i migliori elementi di stimolo ed evitare controproducenti fughe in avanti o una nuova serie di incentivi utili ma non determinanti. L’esperienza del Piano Industria 4.0 è stata senz’altro positiva ma, dice chiaramente il CEO di EY Italia Donato Iacovone, “è servita più per favorire l’acquisto o il ricambio di macchine e di software che non per avviare una vera trasformazione digitale delle aziende, specie piccole e medie”.

Che cos’è concretamente questo benedetto ritardo culturale? Iacovone lo sintetizza così: “Gli imprenditori non vedono il vantaggio del digitale”. Perché manca la visione, le conoscenze, le competenze, tutti ingredienti culturali. “E quindi gli investimenti vengono rimandati perché non ne viene compreso il ritorno”. Un circolo vizioso che rischia di portare le aziende, e il sistema economico nazionale, a una pericolosa perdita di competitività.

Non è più una questione tecnologica. Il gap infrastrutturale con l’Europa si sta riducendo velocemente. “Non possiamo più attribuire il ritardo a una mancanza di reti”, osserva Iacovone. In Italia gli investimenti in ICT sono in crescita rispetto agli investimenti industriali, mentre in Europa i due valori risultano allineati.

Il gap con l’Europa adesso è sui fattori culturali: e-leadership (-22%), domanda e offerte di competenze digitali (-19%), ecosistema startup (- 14%) ; digital transformation (-4%). “In Italia manca la spinta al cambiamento che può venire dallo Stato o dalle grande aziende, che non ci sono o sono molto poche”, osserva Iacovone, che aggiunge: “Non è solo questione di competenze tecniche ma di strumenti culturali necessari per governare tutti i fattori della trasformazione digitale. Occorre superare la convinzione che il digitale serve solo per intervenire sui costi e sull’efficienza. Il digitale è una leva per la creazione di valore”.

La difficoltà sta in questo salto culturale. Perché chi poi investe con la giusta visione e il corretto approccio sulla digital transformation  non resta deluso, anzi. Il 90% delle aziende che hanno avviato iniziative di digital transformation ha avuto ritorni superiori o in linea con le aspettative. E la percentuale sale al 97% per le grandi aziende o per quelle più giovani. Ed è proprio in quest’ultimo segmento che si vedono gli effetti più innovativi. Nella maggior parte delle aziende la digital transformation “produce” soprattutto integrazione dei processi, riduzione dei costi e potenziamento del vantaggio competitivito. Nelle imprese giovani invece è rilevante anche l’impatto sulla relazione con fornitori e partner, sulla visibilità e sulla creazione di nuovi flussi di ricavi.

La rivoluzione è appena cominciata. E bisognerebbe approfittare del clima positivo che c’è nel Paese. Osserva Nando Pagnoncelli: “per la prima volta dopo molto tempo si richiude la forbice fra dubbiosi e fiduciosi sul futuro del Paese e gli ottimisti tornano a superare i pessimisti”. Cresce anche la fiducia nelle imprese. Che vedono cosi aumentare il loro livello di responsabilità nel garantire un futuro migliore, soprattutto in un momento in cui nella politica sembrano prevalere le spinte centrifughe. La digital trasformation anche in questo senso è una grande occasione per la imprenditori e manager.

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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