Non è da tutti, a meno di 40 anni, battere il record mondiale del licenziamento più breve della storia per un top manager: Sam Altman è stato licenziato da CEO di OpenAI venerdì 17 (che nella cultura anglosassone è giorno di orrori…) ed è stato richiamato martedì 22 dopo giorni di scandalo pubblico e trattative riservate, due CEO bruciati, dipendenti in rivolta e osservatori più o meno esperti di tutto il mondo alla ricerca di spiegazioni per quello che è subito sembrata una scelta senza evidenti e consistenti ragioni.
Che cosa sia successo davvero è ancora oggetto di ipotesi e illazioni e la verità dei fatti chissà se e quando verrà fuori. Visto che la logica basata sul principio “post hoc propter hoc” è comune, semplice e rassicurante, certamente ha influito la lettera di 700 dipendenti (su 770) pronti a seguire il capo decapitato (si può leggere qui), così come l’intervento deciso e pubblico (un post su X) di Satya Nadella, numero 1 di Microsoft, che su Open-AI ha messo qualche soldino (finora 15 miliardi di dollari…. qui si può leggere un’interessante ricostruzione del New York Times su come il CEO di Microsoft ha gestito il caso Altman).
Sam Altman, perché tanto rumore sul licenziamento di un top manager?
Il licenziamento in tronco di un capo azienda-fondatore non è certo una novità ma raramente ha creato così tanta sorpresa e agitazione, al punto da finire nei titoli dei telegiornali, che di solito sono attenti all’intelligenza artificiale quando ci sono da raccontare eccessi o pericoli. Perché? Perché Altman non è un imprenditore qualsiasi, per tutti è l’uomo che ci ha mostrato le meraviglie dell’intelligenza artificiale generativa ma negli Stati Uniti, e nella Silicon Valley Community, è qualcosa di più, è un imprenditore visionario sempre in difficile equilibrio fra il business e la voglia di cambiare il mondo.
Altman è diventato, probabilmente senza che lui lo volesse, il volto del nuovo potere dell’intelligenza artificiale, quella che può fare quasi tutto ciò che è tipico degli umani ed è ormai alla portata di tutti ma ancora senza un preciso controllo (le aziende? gli Stati? l’Unione Europea? l’ONU? un governo sovranazionale che ancora non c’è?). Ce n’è abbastanza per diventare un leader carismatico, una calamita di capitali ma anche un parafulmine delle tensioni che attorno a una materia così importante si sono scatenate e non sono ancora risolte, a diversi livelli: tecnologico, finanziario, geopolitico e normativo.
Dopo quel venerdì 17 che ricorderà a lungo, adesso il vento sembra tornato a favore di Altman, del suo progetto e del suo potente alleato di nome Microsoft, che immediatamente dopo il licenziamento da OpenAI gli aveva offerto la guida della ricerca sull’intelligenza artificiale avanzata. Un indizio, forse. L’uomo non ha probabilmente il profilo del business man ma è un grande architetto di futuri possibili. E la sua storia contiene numerosi indizi in questo senso.
Chi è davvero Sam Altman? Un hacker del futuro
Senza alcun dubbio Sam Altman è un vero rivoluzionario digitale, uno di quegli imprenditori che si mettono int esta di poter cambiare il mondo con la tecnologia. Negli Stati Uniti lo hanno definito un “hacker del futuro”, un sovversivo che lavora per modificare il funzionamento del software sociale, ovviamente a fin di bene (almeno nelle intenzioni). Non è l’unico, ma è uno dei pochi che a 38 anni si può permettere di dire di Elon Musk: “Per essere stronzo è stronzo” (leggere per credere la biografia di Musk di Walter Isaacsson). Lo conosce bene, del resto. Il patron di Tesla andò, nel 2015, dopo un colloquio con l’allora presidente Obama, per fare qualcosa di forte e utile a far capire alla politica e al mondo intero l’importanza dell’AI. Così nacque OpenAi, come società non profit. Poi cominciarono le discussioni su cosa fare, come farlo e soprattutto chi avrebbe dovuto comandare. Ebbe la meglio Sam ed Elon abbandonò la partita, ma non certo la scena.
“Doveva essere così Bill Gates a 19 anni…”
Adesso forse Sam Altman si è avvicinato alla visibilità e alla notorietà di Elon Musk. Non male per un giovanotto di Chicago che ha frequentato Standford ma non si è mai laureato, che non ha fondato grandi aziende prima di OpenAI ma non si è neanche mai posto limiti. Non si diventa così per caso. “Doveva essere che Bill Gates era così a 19 anni” dice il mitico Paul Graham, founder di Y Combinator quando lo incontra nel più famoso incubatore del mondo dopo aver avere venduto, ancora ventenne, la sua startup e lo vuole in squadra per poi farlo diventare presidente. È così che Altman diventa “il mago dell’innovazione” che non teme di lanciare i suoi anatemi contro l’establishment della Silicon Valley: “Ha perso la sua cultura dell’innovazione. Qual è stata ultima grande svolta scientifica uscita da un’azienda della Silicon Valley prima di open AI?”. Il livello di autostima è alto, evidentemente, ma, lo ripetiamo, l’uomo se lo può permettere e qualche anno dopo bisogna dargli ragione, visto che la febbre dell’intelligenza artificiale sta contagiando tutta la baia e c’è chi l’ha già ribattezzata Cerebral Valley.
Sam Altman oltre l’intelligenza artificiale: le sue nuove startup
Per capire Sam Altman non bisogna, però fermarsi all’intelligenza artificiale. Lui ha una visione del mondo che prevede di cambiarlo questo mondo, puntando non sulle idee più sicure, ma su quelle più audaci e rischiose. Lo è certamente l’intelligenza artificiale generale o la nuova General Artificial Intelligence. Ma ci sono ben altri rischi. Nel 2018 Altman ha pagato 10mila dollari per prenotarsi la “digitalizzazione” del cervello, un intervento messo a punto da una startup che potrebbe portare alla morte e che infatti è stato finora rinviato.
Mentre noi lo stiamo vivisezionando su OpenAI Altman è già oltre. In luglio ha lanciato una nuova startup, Tools for Humanity. Che cos’è il nuovo strumento per l’umanità? Una piccola palla di bowling che fa la scansione della nostra iride e produce il WorldID, un passaporto digitale universale per identificarsi come umani in un mondo che sarà sempre più popolato da bot. Worldcoin, il nome del progetto, è partito da San Francisco e una sede a Berlino con due milioni di utenti e fa “orbing” in 35 città di 20 Paesi. Le scansioni degli occhi vengono depositate su una blockchain (dove non possono essere rubate o alterate) e chi si fa fare la scansione dell’occhio, ottiene il token (certificato digitale) di una nuova criptovaluta, WLD, che dai 50 centesimi di partenza ha già raggiunto un picco di 5 dollari.
L’identità digitale e il progetto per allungare la vita di 10 anni
“Worldcoin può aiutare per affrontare i cambiamenti dell’economia e della società prodotti dalla diffusione dell’AI”, ha detto Altman, che nella sua visione del mondo e del futuro non esclude una certa quota di utopia. Con l’AI rischiamo di perdere il lavoro o lavorare meno? Assai probabile ed infatti lui è un sostenitore dell’UBI, l’Universal Base Income studiato anche dalla Banca Mondiale, un modello di reddito minimo per tutti, e nel nel 2016, ha finanziato un esperimento in California per valutarne gli effetti.
Non sarebbe un grande visionario se si fermasse qui, Altman. La sua mente intraprendente si è applicata anche al sogno eterno dell’umanità: conquistare l’immortalità o almeno tentare di avvicinarsi. Da anni studia le tecniche anti-aging e legge ricerche. Ad un certo punto scopre che il sangue giovane può rinnovare i tessuti. Chiama una vecchia conoscenza di Y Combinator, lo scienziato Joe Betts-La Croix, e gli dice: hai visto che cosa hanno scoperto a Berkley? Perché non facciamo una startup? Metto io 180 milioni di dollari. Così nasce Retro Biosciences, startup che viene lanciata sul mercato nell’aprile 2023. Obiettivo: ritardare la morte di almeno 10 anni, tanto per cominciare. Come? “Disegnando “diversi metodi per prevenire le malattie della vecchiaia, utilizzando la riprogrammazione cellulare e le terapie basate sul plasma. Altman ha già fatto sapere che, ovviamente, sarà il primo a provarle.