“Non si può perdonare a un giovane il fatto di non provare a cambiare le regole”. Con queste parole, Annalisa Monfreda, direttore 35enne di Donna Moderna, aveva infiammato la platea di TEDxIED l’11 di febbraio, la conferenza internazionale dedicata al talento e alla creatività organizzata a Milano dall’Istituto europeo di design.
Per noi di EconomyUp.it il suo intervento è stato un vero e proprio inno alla necessità di innovare. Ed è per questo che, a conslusione della Settimana della moda, chiediamo a lei, arrivata al timone del magazine femminile più venduto d’Italia a “soli” 34 anni, di spiegarci cosa si sta muovendo in termini di innovazione nell’evento fashion del momento e in genere tra le donne italiane.
Direttore, quali sono gli elementi più innovativi che ha riscontrato durante la Settimana della Moda milanese?
Io e una mia collega di Donna Moderna che si occupa di moda abbiamo notato che queste sfilate segnano un po’ una ripresa. E la ripresa secondo noi sta nel fatto che i grandi stilisti hanno concepito l’innovazione ritornando al proprio dna. Si è scoperto che la vera novità è avere una voce unica e valorizzarla. Per esempio, tra i giovani che si stanno affermando, la mia preferita è Stella Jean, stilista italiana di origine haitiane. Ha uno stile unico, riconoscibile: lei ha capito tutto. Per il resto, nella Fashion Week in sé ho visto poca innovazione: le stesse facce, gli stessi protagonisti, le stesse persone sedute nelle prime file davanti alle passerelle.
Lei dirige un importante settimanale femminile. Dal suo osservatorio, come si sta rinnovando l’Italia a favore delle donne?
Ci sono molte innovazioni che partono dal basso. Ci sono persone che si mettono insieme per risolvere i problemi. Penso, ad esempio, alla storia che abbiamo raccontato dell’associazione Genitori soli, composta per la maggior parte da mamme single. In genere, c’è una maggiore presa di coscienza su tanti temi. Un fermento costruttivo che va al di là della polemica e del grillismo. Nella società stanno succedendo cose che facilitano profondamente la vita delle donne e ne interpretano il cambiamento. Le storie di imprenditrici e di startup protagoniste dell’innovazione sono sempre di più: noi ne raccontiamo moltissime.
Ci fa qualche esempio di donna “moderna”, italiana, di talento e innovativa di cui avete raccontato la storia sul vostro magazine?
I casi sono così tanti che fatico a fare una scelta. Per esempio, una bella storia è quella di Luciana Delle Donne. Questa donna faceva la manager nel settore bancario a Milano. Poi, quando era all’apice della carriera si è trasferita in Puglia e ha fondato Made in carcere, un’impresa no profit che produce accessori e borse con materiali e tessuti di scarto e in cui le lavoratrici sono donne detenute. Uno degli aspetti bellissimi di questa trovata è il modello di business: lei applica le sue conoscenze in campo manageriale nel no profit. O ancora, Maria Silva, 36 anni, che è a capo del progetto di sviluppo di Genova High Tech, il Parco scientifico e tecnologico del capoluogo ligure. Lei è stata a Palo Alto per 4 anni ed è tornata in Italia col preciso intento di dare uno spazio di innovazione simile ai talenti nostrani. Poi c’è Maria Giovanna Pietropaolo, 25 anni, giurista, vincitrice del primo Henry Dunant per i diritti umani e oggi a Ginevra, alla Croce Rossa. Lei ha idee rivoluzionarie sui diritti umani ed è un grande esempio di cosa può fare un giovane e come può innovare. Per non parlare poi di tutte le donne intraprendenti del Sud. Ce ne sono alcune che hanno creato dei business legati ai libri. Per esempio, a Bari, la mia città, una ragazza, Valentina Calvani, ha inventato LibroLab, una libreria itinerante che porta i libri alle persone con un furgoncino. In un Mezzogiorno stritolato dalla crisi, sono segnali molto positivi.