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Ecco cos’è la disruption: il 60% delle aziende leader globali a inizio secolo non lo sono più



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Delle aziende che facevano parte dell’indice Fortune Global 500 nel 2000 solo 205 (41%) ci sono ancora oggi. L’età media dei leader è scesa e anche la loro nazionalità è cambiata. Le Big Tech dominano ma la Cina è in forte crescita mentre l’Europa è in declino.

Pubblicato il 1 ott 2024



Disruption

Come discusso settimana scorsa, da oltre mezzo secolo le rivoluzioni industriali che hanno cambiato il panorama economico (e non solo) del mondo (dai circuiti integrati e personal computer fino a cloud, social media e AI) sono nate (e “scalate”) in Silicon Valley. Anche il Venture Capital è stato concepito lì (Kleiner Perkins nel 1975).

LE ONDATE DI INNOVAZIONE IN SILICON VALLEY DAL 1930

Tutto ciò si traduce in continui “smottamenti” nel gruppo delle principali aziende al mondo (i cosiddetti incumbent).

Da un’analisi fatta sulle Fortune Global 500 nell’ambito del report TECH STARTUP M&A di Mind the Bridge(qui il link per il download), presentato il 24 settembre a San Francisco all’opening dello Scaleup Summit Silicon Valley, emergono dati che fanno riflettere.

Disruption: non c’è più il 60% dei leader d’inizio secolo

Delle aziende che facevano parte dell’indice Fortune Global 500 nel 2000 solo 205 (41%) ci sono ancora oggi. Quasi il 60% (295 aziende) sono fuori dalla lista delle top 500, suggerendo come il passo della “industry disruption” stia continuamente accelerando.

Per essere più espliciti, 3 su 5 aziende che, all’inizio del nuovo Millennio, erano leader al mondo non lo sono più. Se fossi il CEO di una delle 500 di oggi (ma anche di aziende di taglia più piccola) andrei a letto con un vago senso di precarietà.

In passato, le Fortune 500 erano in prevalenza aziende con secoli di storia alle spalle. Nel 2000 l’età media dei leader mondiali era 134 anni. Oggi, meno di venticinque anni dopo, l’età media si è più che dimezzata, scendendo a 62 anni.

Il crescente potere delle Big Tech della Silicon Valley

Nuovi protagonisti stanno quindi prendendo in mano le redini dell’economia mondiale. Big Tech come Apple (fondata nel 1976 ma rivoluzionata nel 1997), Amazon (1994) e Google/Alphabet (1998) stanno sostituendo sia i tradizionali giganti occidentali (General Motors, Ford, Mercedes-Benz/Daimler, …) sia i conglomerati giapponesi come Mitsui, Mitsubishi e Sumitomo.

Il numero delle Big Tech della Silicon Valley tra le top 500 aziende al mondo è più che raddoppiato negli ultimi 25 anni. Erano 5 nel 2000, sono 11 oggi. Tra queste Sun Microsystem non c’è più, a dimostrazione che la disruption machine della Silicon Valley non guarda in faccia neanche i propri simili.

Tutto ciò riporta in mente l’analisi dell’amico Ilya Strebulaev, professore alla Stanford University Graduate School of Business, che avevo commentato in un precedente articolo: 7 delle prime 10 aziende americane per capitalizzazione sono VC-backed (e hanno meno di 50 anni di vita), mentre nessuna di europee lo è. Go figure…

La nuova geografia economica mondiale: Cina in crescita

Anche la distribuzione geografica delle aziende della Fortune Global 500 è cambiata drasticamente negli ultimi 25 anni.

Sebbene le aziende statunitensi siano ancora in testa, la loro quota continua a diminuire. Nel 2000, rappresentavano il 35% dell’indice (175 aziende); oggi, sono scese al 28% (139 aziende).

L’influenza del Giappone è diminuita in modo ancora più drastico, di quasi due terzi, passando da 108 aziende (22%) a solo 42 (8%).

Nel frattempo, la Cina è salita alla ribalta sulla scena globale, passando da un insignificante 1% nel 2000 a un impressionante 27% nel 2024 (133 aziende). Sebbene la maggior parte delle aziende cinesi sia di proprietà statale, giganti tecnologici locali come Xiaomi, Alibaba e Meituan stanno facendo parlare di sé ben oltre i confini della Cina.

L’Europa, d’altra parte, sta perdendo terreno. Regno Unito, Francia e Germania, che collettivamente detenevano il 21% delle aziende nel 2000 (108 aziende), ora rappresentano solo il 14% (71 aziende). Altri paesi europei, come Italia e Paesi Bassi, hanno visto la loro rappresentanza dimezzarsi.

Le economie emergenti stanno guadagnando terreno, sia pure lentamente. La Corea del Sud ora vanta 18 aziende (in aumento rispetto a 11), il Brasile è salito da 2 a 8 e il Canada è passato da 10 a 14 aziende.

Se la disruption sta attaccando le grandi aziende leader al mondo, che dovrebbero avere risorse e mezzi per innovare, immaginatevi cosa possa succedere ai piani più bassi. Come detto, nessun CEO può decisamente andare a letto tranquillo.

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