A New York Uber ha ampiamente superato l’industria dei taxi in soli 4 anni. La startup, fondata nel 2009 a San Francisco da Travis Kalanick e Garrett Camp con l’obiettivo di fornire un’applicazione per chiamare una vettura con conducente da smartphone, ha quasi sterminato il mondo dei tassisti in metropoli come Los Angeles, San Francisco e appunto nella Grande Mela, per poi estendersi in varie parti del mondo. In Europa il servizio è diventato operativo in alcuni Paesi, mentre in altri è stato fortemente contrastato. In Italia, per esempio, negli anni scorsi i guidatori delle auto bianche hanno organizzato accanite proteste contro Uber. Intanto emergevano questioni legali e giuridiche sull’effettiva legalità della sua circolazione sul territorio, fin quando l’azienda ha preferito puntare sul delivery con le consegne a domicilio di UberEats. D’altra parte la carica innovativa dell’app proposta dalla società californiana ha indotto anche i tassisti italiani ad adottare nuove tecnologie in grado di migliorare l’esperienza del cliente. Anche per questo Uber è, e resta, un esempio di disruptive innovation in grado di trasformare in pochissimo tempo interi settori.
Lo si vede da questi grafici ricavati dagli open data della municipalità di New York. Nel 2015, a febbraio, i taxi erano ancora padroni del mercato: le loro corse mensili erano pari a 12,6 milioni, quelle di Uber non superavano 2,019 milioni
Inevitabile l’affermazione di ulteriori, nuovi player in questa arena della mobilità urbana. Lyft, la principale concorrente di Uber (che, come lei, ha debuttato quest’anno a Wall Street), Via e Juno si sono imposti nel mercato di New York contribuendo alla discesa agli inferi dei tassisti. Mentre Green Taxi ha visto calare notevolmente la propria presenza.