«Senza coraggio non si inizia un viaggio». È la scritta che campeggia a grandi lettere su una parete delle Officine del Grafene, il più grande stabilimento d’Europa per la generazione di fogli di grafene altamente puro. Ed è proprio il coraggio quello che ha ispirato il viaggio a ritroso di Giulio Cesareo, l’uomo che è tornato dagli Stati Uniti per fondare questo impianto ipertecnologico in Italia, all’interno del parco scientifico Comonext di Lomazzo, a due passi da Como.
Di buoni motivi per restare in America, Cesareo ne aveva tanti. Ingegnere meccanico, classe 1955, milanese, aveva passato quasi venti anni oltreoceano, dal 1986 al 2004. Aveva ricoperto ruoli di prestigio in alcune grandi aziende come Ucar e Graftech, specializzandosi nel campo del carbone e della grafite, ed era diventato top manager della multinazionale Union Carbide.
Ma l’esperienza in questo settore lo ha portato a concepire un’idea imprenditoriale potenzialmente
vincente: produrre grafene, il materiale dei miracoli sintetizzato dai due premi Nobel Andrej Gejm e Konstantin Novoselov, e svilupparlo con un processo industriale che lo rendesse purissimo, low cost e pronto ad andare sul mercato dopo ogni tappa del procedimento e non soltanto alla fine.
«Ci eravamo resi conto che le nanotecnologie avrebbero giocato un ruolo fondamentale nel futuro dell’industria e che si poteva dar vita a processi produttivi innovativi in mercati già esistenti», spiega a EconomyUp Giulio Cesareo.
L’idea vera e propria nasce nel dicembre 2004, in un contesto piuttosto insolito per un gruppo di manager e scienziati intenzionati a sbaragliare il mondo del nanotech. «Io e i miei soci americani – ovvero le persone con cui avevo avuto le più interessanti esperienze di lavoro della mia vita – eravamo in un bar di Nashville, in Tennessee, davanti a una bottiglia di birra».
Il progetto da sviluppare industrialmente è quello di uno dei “cervelli” del gruppo: lo scienziato italoamericano Robert Angelo Mercuri. L’intuizione consiste nell’espandere con acidi e gas la struttura della grafite naturale – quella delle matite, per intenderci – distanziando più possibile gli atomi di carbonio in modo da creare pacchetti di fogli (denominati nanoplatelets) di grafene purissimo.
«Siamo partiti – ricorda Cesareo – dal garage del mio socio Mercuri: abbiamo sviluppato questo processo, l’abbiamo testato affittando un laboratorio e a un certo punto, quando ci siamo accorti che funzionava e poteva diventare una grande opportunità, abbiamo pensato che era giunto il momento di cominciare a realizzarlo industrialmente».
È così che dall’idea si passa alla startup. Cesareo, Mercuri e altri soci danno vita, nel febbraio 2005, a Directa Plus, una società che si pone l’obiettivo di sviluppare «processi per la produzione di nanomateriali di nuova generazione che possano entrare nei mercati globali esistenti». E per G+, l’innovativa tecnologia di produzione inventata dallo scienziato italoamericano, viene fatta domanda di brevetto nel 2006 (poi approvata nel 2010).
La sfida però è più ambiziosa di quanto possa sembrare a prima vista. Anziché procedere negli Stati Uniti – dove comunque Directa Plus ha un laboratorio di ricerca in Ohio, a Cleveland – Cesareo e soci puntano a raccogliere risorse e investimenti per aprire fabbriche nel Vecchio Continente. «In Europa ci sono due Paesi dove potevamo andare a produrre: o la Germania, che è il più grande Paese manifatturiero, oppure l’Italia», spiega Cesareo, che di Directa Plus è presidente e amministratore delegato.
Mentre in Germania Directa Plus realizza a Ulm, nella regione del Baden-Württemberg, un impianto industriale per la produzione di nanoparticelle di metallo e di leghe di dimensioni nanometriche (realizzate secondo il processo brevettato D+), la scelta sul Paese in cui costruire lo stabilimento per la produzione del grafene cade sull’Italia.
«Siamo venuti in Italia – dice il presidente di Directa Plus – per due motivi. Il primo è di carattere industriale: qui ci sono tante piccole e medie
imprese con una ricerca e sviluppo estremamente limitata dalle condizioni economiche che hanno un bisogno disperato di trovare all’interno dei materiali innovativi – come il grafene – la strada per riconquistare competitività».
Ma la possibilità di vendere il grafene alle Pmi non è l’unica molla che ha catalizzato gli investimenti verso l’Italia. «Sono ritornato qui perché ci sono un sacco di ragazzi brillanti, molto preparati, provenienti da scuole e università che hanno ottimi professori», afferma Cesareo. «Abbiamo assunto una quindicina di giovani molto motivati, di età media intorno ai 28 anni, cercando di rispettare la parità tra donne e uomini e scegliendo in mezzo a professionalità diverse: abbiamo dottori di ricerca in fisica e in chimica, laureati in scienze ambientali, ingegneri energetici e persino una dottoressa in scienze veterinarie. Nei prossimi diciotto mesi puntiamo ad assumere un’altra decina di talenti».
Una tecnologia innovativa, un mercato fatto da una miriade di piccole e medie aziende e tanto capitale umano altamente qualificato. La scommessa della startup di Giulio Cesareo ruota intorno a questi tre perni. È puntando su questi asset che nel 2009 è riuscito a farsi finanziare dal fondo di venture capital specializzato nel trasferimento tecnologico TT Venture. È su queste basi, dopo anni di sperimentazioni, che a giugno 2014 sono state inaugurate le Officine del Grafene, una fabbrica ipertecnologica che da fuori sembra una vecchia officina ottocentesca (è lo scalo merci dismesso di un antico cotonificio) ma che al suo interno è in grado di produrre fino a 30 tonnellate di grafene in un anno. Il tutto, consumando pochissima energia e senza generare scarti tossici.
Da una parte, ciò che permette all’azienda di avere coesione al suo interno è una mentalità specifica che Giulio Cesareo definisce il «potere del disaccordo». Si tratta cioè di investire sulla diversità di opinioni come fonte di stimoli e di idee. «Il caos, a volte, è un grandissimo vantaggio. Ma bisogna saperlo ascoltare, gestire, e al momento giusto occorre saper evaporare conflitti e arrivare a una soluzione unica».
Il vantaggio competitivo più riconoscibile dal punto di vista industriale è invece il business model dell’azienda. «Nella nostra equazione del valore dal micro al nano – fa notare l’ad – abbiamo identificato tre fermate. E per ogni fermata abbiamo messo a punto un prodotto che può andare sul mercato. Abbiamo tre reparti produttivi – espansione, esfoliazione ed essicazione – e ognuno genera un prodotto capace di creare ricavi per la nostra società tecnologica».
Per rimanere al passo con i tempi e con le esigenze del mercato, la società fa ricerca continua, tanto che ha stretto partnership con centri di ricerca come l’Istituto italiano di tecnologia di Genova. Se si pensa che l’Unione europea ha destinato un miliardo di euro in dieci anni per i progetti di ricerca sul grafene, è prevedibile che di iniziative scientifiche e industriali su questo materiale ce ne saranno ancora tante.
Ma come viene utilizzato il grafene prodotto con il processo G+ dalle Officine del Grafene? Le applicazioni principali, per il momento, sono
quattro: gli pneumatici, per i quali Directa Plus ha già un partner industriale nel gruppo bergamasco Vittoria che produce gomme per bici, il tessile, l’antifiamma e la depurazione dell’aria e dell’acqua.
Il prossimo obiettivo è di cominciare a produrre soluzioni anche per i pneumatici delle auto e dell’automotive in generale. Mentre per il futuro, è in programma di ampliare il business alle fibre di carbonio, alle batterie agli ioni di litio e ai polimeri a base di nylon. Se quello del grafene è davvero un miracolo, è appena cominciato.