È una mia convinzione profonda, che chi ha avuto modo di ascoltarmi o leggermi in altre occasioni, conosce: per spingere questo Paese concretamente verso un utilizzo del digitale da economia 4.0 (anche se basterebbe 2.0…), in grado di confrontarsi per competitività e produttività con le economie mondiali più avanzate, occorre innanzitutto un forte cambiamento culturale a tutti i livelli – imprenditori, manager, dirigenti pubblici, professori, giornalisti, ecc.
In questo cambiamento culturale, la classe politica – a livello centrale e locale – ha un ruolo chiave, potendo agire come un vero e proprio catalizzatore. Innanzitutto, accendendo e, soprattutto, mantenendo sempre acceso un faro specifico sui temi dell’innovazione digitale. Banale ma importantissimo: in un paese in cui tutti i media seguono ogni respiro del vertice politico, significa generare un flusso di informazioni continuo su tutti i canali che – alla lunga – crea cultura digitale. Torno brevissimamente su altre due leve in mano alla politica – stranote – ma più che mai attuali oggi: la defiscalizzazione degli investimenti delle imprese nell’innovazione digitale e la concreta digitalizzazione della pubblica amministrazione italiana, che vale da solo il 50 per cento del nostro pil.
Sul primo fronte, ben vengano misure come quelle previste nel piano Industria4.0, perché vanno nella direzione giusta. Ritengo ben poco produttive le discussioni sul fatto che si poteva fare prima e si poteva fare di più – ma intanto qualcosa di concreto si è attivato e, oltretutto, riguarda il cuore della nostra economia: il sistema produttivo.
Sul secondo fronte, la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, ci si aspetta molto dal Commissario Diego Piacentini, per il suo alto profilo e curriculum. Ma il suo grande potenziale potrebbe essere fortemente ridimensionato se l’approccio e i processi che metterà in atto non terranno conto di caratteristiche strutturali della nostra PA, uniche, e per alcuni versi persino patologiche, sedimentate in decenni di regole e consuetudini. Questo mondo richiede, innanzitutto, di essere ben capito e non banalizzato e poi di essere gestito con eccellenti competenze di change management più che con forzate dosi di tecnologia. C’è poi la necessità (e ritengo l’utilità) di sapersi collegare, valorizzandole, a quelle componenti più positive dell’ecosistema dell’innovazione pubblica: penso ad alcuni Don Chisciotte della PA che da anni combattono per innovare contro tutto e tutti, come anche ad alcune progettualità concrete che sono già state avviate con successo. Qualcosa di buono c’è ed è stato fatto, anche nella Pubblica Amministrazione, anche se finora magari è stato relegato ai margini e invece adesso può essere recuperato ed usato come esperienza da portare a esempio. Buttare via anche il bambino con l’acqua sporca non conviene a nessuno.
* Andrea Rangone è Ceo di Digital360 e fondatore degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano