“Una delle cose divertenti del lavorare in una piccola startup è che non ci sono rami secchi. Ognuno dà più di quello che ha da dare. E tutti sanno che se non si fa così, non si sopravvive”. Reid Hoffman, fondatore e presidente di Linkedin, di consigli su cosa significa fare impresa potrebbe dispensarne per anni. Tanto più ora che la sua “creatura” è stata venduta a Microsoft per la mega-galattica cifra di 26,2 miliardi di dollari (poco più di 23 miliardi di euro.
Quali sono le altre lezioni che una startup può imparare dal caso Linkedin e dal suo founder Reid Hoffman all’indomani del super-affare? Eccone dieci.
1. Concepire idee disruptive paga
Reid Hoffman, che veniva dalla carriera accademica, dopo diversi anni nel mondo delle startup hi tech, tra cui PayPal e SocialNet aveva capito che il momento giusto per fondare una nuova impresa era proprio all’indomani della bolla di Internet. E aveva compreso che si poteva osare anche con idee rivoluzionarie come quella di cambiare del tutto il modo in cui pensare al proprio modo di relazionarsi con gli altri in ambito lavorativo. “Volevo trasformare il modo in cui le persone potevano controllare la propria vita professionale e lavorare insieme facilmente per trovare i contatti e le informazioni giuste: per questo ho cofondato Linkedin”, ha raccontato Hoffman a BusinessInsider in un’intervista rilasciata dopo l’Ipo del 2011.
2. I siti di dating non servono solo a conoscere nuovi partner: insegnano a capire come creare metodi di connessione tra persone
Dopo aver mosso i primi passi professionali alla Apple, nel 1997, agli albori di Internet, Hoffman ha co-fondato SocialNet, uno dei primi social network di dating. Un’idea probabilmente prematura rispetto ai tempi, ma che ha insegnato a Hoffman a “progettare, costruire e migliorare ecosistemi umani”. La lezione da cogliere in questo caso è che le piattaforme in cui le persone si mettono in relazione su argomenti di interesse – e l’amore e il sesso lo sono da sempre – possono essere un ottimo osservatorio attraverso il quale capire come progettare la connettività di altre piattaforme.
3. Creare un team di persone che hanno già altre esperienze professionali importanti dà una marcia in più
Tutto il team dei fondatori di Linkedin – Reid Hoffman, Allen Blue, Konstantin Guericke, Eric Ly, Jean-Luc Vaillant – aveva già esperienze di alto livello in società attive in ambito hitech, da Paypal a Fujitsu a SocialNet. Nessuno quindi era alle prime armi. Una startup che nasce con una squadra già esperta e fornita di persone che eccellono nei propri settori di competenza parte avvantaggiata. Può sembrare una considerazione ovvia, ma a giudicare dal numero di nuove imprese fondate da persone alla loro prima esperienza professionale sembrerebbe che questa lezione non sia ancora stata appresa abbastanza.
4. Avere una formazione non solo in ambito economico e informatico apre la mente
Chi l’ha detto che per fare startup di successo servono solo persone con un mba in tasca e con un curriculum da sviluppatore? Tra i fondatori di Linkedin, la “mente” Reid Hoffman ha una laurea in scienze cognitive e un master in filosofia, mentre il co-fondatore Allen Blue (attuale vicepresidente di Prodotto), esperto di web design ha studiato e insegnato recitazione all’università di Stanford.
5. Il fondatore non è necessariamente il miglior capo. Avere la capacità di farsi da parte per lasciare spazio a ceo più efficaci è dimostrazione di lungimiranza
Nel 2007, a quattro anni dalla fondazione, Reid ha lasciato la guida della società a Dan Nye, che veniva da esperienze in Intuit e in Procter&Gamble. Nel 2009 il timone passa all’attuale ceo Jeff Weiner, che ha portato Linkedin all’Ipo nel 2011 e lo ha fatto diventare il social network di riferimento per il lavoro a livello globale.
6. Fare open innovation è un’idea vincente anche per le startup: 2 miliardi di dollari spesi in acquisizioni dal 2010 in poi
Il percorso di Linkedin, che si è concluso con un’exit miliardaria, è costellato da acquisizioni di altre startup. Dal 2010 in poi, ha speso circa 2 miliardi di dollari acquistando 16 società e numerosi brevetti (tra cui 4 milioni di dollari per alcune tecnologie brevettate di Digg). Nel 2012 ha comprato la piattaforma per la condivisione di slide Slideshare per 119 milioni di dollari, nel 2013 ha acquisito la piattaforma per la pubblicazione di contenuti Pulse per 90 milioni e nel 2015 la più costosa, il sistema di e-learning Lynda.com, per 1,5 miliardi. Open innovation messa in pratica con efficacia.
7. I crolli non significano che sei vicino alla fine, anzi
A febbraio 2016 Linkedin ha subito un crollo spaventoso in Borsa perdendo in un solo giorno 10 miliardi di dollari di capitalizzazione a seguito della pubblicazione di un documento non roseo sui guadagni. C’era chi prevedeva una catastrofe per il social network. Invece, quattro mesi dopo, ha messo a segno una delle exit più di successo della storia.
8. Farsi amare da Google è fondamentale se hai una startup che lavora sui contenuti online
Linkedin è diventata una delle primissime fonti per Google perché il motore di ricerca lo considera una piattaforma con contenuti autorevoli, di qualità e dove la discussione è sempre di alto livello visto che i topic trattati su Linkedin riguardano spesso business e lavoro. Fate una prova: se digitate un nome su Google nella maggior parte dei casi il primo risultato che trovate è quello di Linkedin.
9. La trasparenza è un valore
Linkedin è uno dei primi big player che ha scommesso sul rendere pubblici (o parzialmente pubblici) i dati sulla carriera dei professionisti e sul percorso “biografico” delle aziende. E con il progetto Economic Graph, una mastodontica mappa con le connessioni tra le imprese di tutto il mondo, il concetto di fondo è lo stesso. La trasparenza paga, rende autorevoli, cattura l’attenzione
10. Nessuna ossessione per la exit
Già dal 2007 si parlava di interesse da parte di NewsCorp e da altri big player, Microsoft compresa. Però, il team dei top manager ha sempre stoppato ogni discussione fin dall’inizio. “Eravamo così concentrati sul modo in cui migliorare l’ecosistema professionale che non siamo mai stati davvero interessati all’essere acquisiti da qualcuno”, diceva Hoffman nel 2011. Senza ossessione per la exit, si lavora meglio probabilmente. E magari si finisce proprio a fare exit.