Il Design Thinking ha visto nell’ultimo anno un cambio di percezione notevole presso le aziende italiane e non solo: da semplice moda che scimmiottava modelli alla Apple si è trasformato in un approccio strutturato all’innovazione che oggi fa gola non solo a chi potenzialmente può offrire soluzioni di Design Thinking, ma soprattutto agli Innovation Manager e a chi gestisce l’innovazione all’interno della propria azienda.
Di questo si è parlato in occasione del Convegno degli Osservatori Digital Innovation tenutosi oggi presso il Politecnico di Milano, introdotto da Alessandro Perego, Direttore del Dipartimento di Ingegneria Gestionale, e Silvia Piardi, Direttore del Dipartimento di Design del Politecnico. All’evento Roberto Verganti, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Design Thinking for Business e Professore di Leadership e Innovation, ha spiegato alla platea di oltre 500 partecipanti cos’è il Design Thinking e perché oggi va applicato al Business, mentre Claudio Dell’Era, Direttore dell’Osservatorio e Professore Associato di Design Strategy, ha raccontato i risultati della prima edizione dell’Osservatorio, supportata dai quattro partner Deloitte Digital, Design Group Italia, Lenovys e PwC, e dai due sponsor Dpeople e Gaia.
Il Convegno ha poi ospitato due panel di discussione dove hanno partecipato proprio partner e sponsor, ma anche alcuni innovatori di aziende della domanda che stanno sperimentando approcci di Design Thinking all’interno della propria azienda. Tra questi, Alexander de Souza Carvalho, Global Director, Marketing Services di Tetra Pak, e Luca Pronzati, Chief Business Innovation Officer di MSC Cruises, nella tavola rotonda sul ruolo strategico del Design Thinking moderata da Francesco Zurlo, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Design Thinking for Business; e Beatrice Maestri, Open Innovation Project Manager di Electrolux, Pietro Curtolillo, Customer Experience Design Manager di Generali, e Antonio Iannitti, Strategy Manager di Sisal, che hanno invece discusso sui Design Thinking Mindset insieme a Cabirio Cautela, Direttore dell’Osservatorio.
Di particolare interesse per la nostra rubrica è stato il focus sulle startup, che si trovano ancora in una fase di immaturità rispetto a quelle che cavalcano altri trend di innovazione tecnologica. Basti pensare che nell’ultimo anno hanno raccolto 908 milioni di dollari di finanziamento, circa la metà degli investimenti che hanno interessato le startup in ambito Internet of Things e poco più di 1/30 dei round delle startup fintech. L’Osservatorio ha analizzato circa 150 startup in base a diversi criteri, non solo quello del finanziamento, ma anche per esempio di sede dell’headquarter e di struttura organizzativa. Ne emerge un quadro di forte eterogeneità in cui, delle 150 startup analizzate, nessuna sembra presidiare l’intera catena del Design Thinking per come è nato e com’era stato pensato e diffuso in un primo momento. Le startup sembrano invece rappresentare diverse facce e modi di implementare il Design Thinking nei processi d’innovazione.
Solo il 23%, difatti, offre servizi e applicazioni che in maniera canonica si richiamano ai principi ortodossi del Design Thinking; si tratta di startup che sono state classificate con l’etichetta del “problem solving creativo” in cui si offrono per lo più servizi che puntano allo scambio ed alla condivisione degli insight e delle prospettive del problema progettuale, o servizi che supportano le fasi di testing e prototipazione delle soluzioni.
Di segno simile ma con una natura un po’ diversa sono le startup che rientrano nella categoria dello “sprint execution”, che rappresentano il 23% del campione analizzato. Tali neo-imprese offrono servizi per la rapida realizzazione di interfacce e servizi digitali, lanciati spesso in una forma di Minimum Viable Product (MVP), ovvero versioni beta suscettibili di essere modificate e migliorate grazie anche all’interazione con gli utenti. In tale ambito ricadono servizi di costruzione dell’esperienza o della navigazione digitale (UX story-boarding), la realizzazione di mock-up digitali, ambienti per il testing delle soluzioni da parte di utenti.
Sembra invece attrarre maggiore attenzione da parte delle neo-imprese del Design Thinking il tema del cambiamento organizzativo, con il 44% del campione analizzato che viene associato a tale raggruppamento. In tale ambito c’è il superamento della vecchia logica di riprogettare le organizzazioni a partire dai processi – quello che fino ad un decennio fa veniva definito come Business Process Rengineering (BPR) – a favore di una visione più culturale e umana del sistema organizzativo. È facile in tale dominio trovare soluzioni che validano e potenziano le skill e le attitudini dei singoli rispetto al processo innovativo, applicazioni che supportano la costruzione di scenari d’innovazione condivisa, infrastrutture di condivisione e visualizzazione di determinate traiettorie d’innovazione, app che alimentano le dinamiche motivazionali e regolano i sistemi premianti dei singoli membri dell’organizzazione. In alcuni casi la dimensione collettiva dell’organizzazione viene a cadere, spingendo l’attenzione invece sul contributo – potenziale e reale – dei singoli alle innovazioni aziendali.
Resta infine un nucleo di startup – pari a circa il 12% – che applica le logiche del Design Thinking alle strategie d’impresa. Tali neo-imprese offrono servizi che “sfidano” i capisaldi dell’attuale strategia d’impresa, collezionando nuova conoscenza sui cambiamenti in atto, creando dei “cluster” di dati significativi per mettere in discussione le soluzioni d’impresa alla luce dei cambiamenti in atto; organizzano Workshop per definire nuove possibili visioni o modelli di business, oppure servizi che traducono una visione o uno scenario in “probes”, ovvero soluzioni grezze che aiutano ad esplorare concretamente possibili soluzioni – prodotti o servizi – da realizzare nel futuro.
Interessanti anche gli ambiti di azione delle startup emersi dalla ricerca: 72 startup offrono per esempio soluzioni di coordinamento tra team dispersi di innovatori, 31 supportano gli aspetti decisionali, mentre 11 usano l’Intelligenza artificiale per rendere più efficaci le fasi di Design Thinking.
Analizzare l’ecosistema delle startup di Design Thinking è estremamente importante non solo per capire qual è il suo livello di maturità, ma anche in quanto queste startup, forse perché hanno poco (o tutto!) da perdere, sono più coraggiose nelle scelte di business e mostrano certamente più creatività nel percorrere la strada imprenditoriale rispetto alle imprese tradizionali. Inoltre, avere un quadro di dettaglio di queste nuove realtà consente ai fornitori e agli innovatori di conoscere potenziali alleati da coinvolgere nei processi di innovazione e cambiamento.