La democrazia rappresentativa nell’era digitale
In estrema sintesi, Giordano pone due questioni:
a) eventuali semplificazioni tecnologiche impatterebbero sugli astenuti strutturali oppure si limiterebbero a favorire solo i cittadini già motivati a votare?
b) La democrazia rappresentativa è compatibile con l’era digitale?
In primo luogo, sono convinto che sia un dovere civico usare la tecnologia in modo davvero solidale, cioè per semplificare la vita degli elettori, per esempio a partire da quanti vivono e lavorano “fuori sede”. Se c’è la volontà politica, si può fare, puntando alle elezioni europee di giugno 2024.
Offerta e domanda di politica, dove sta il cambiamento
La risposta alla seconda domanda è più complessa e solo in parte ha a che fare con la tecnologia.
La crisi della partecipazione elettorale è certamente figlia di una carenza della politica. Tuttavia, sin dai tempi della democrazia ateniese i politici hanno di norma goduto di cattiva fama. Quindi sul lato della svalutazione della “offerta” di politica nulla di nuovo sotto il sole. Ciò che è cambiato drasticamente è il lato della “domanda”, perché c’è stato un radicale cambiamento delle attese e delle prospettive dei cittadini.
Un tempo il voto esprimeva prima di tutto la scelta di una visione del mondo, era un segno di speranza verso un futuro che sarebbe stato buono. Si votava quindi prevalentemente per appartenenza e non per le capacità comunicative e politiche dei vari leader. Si era infine fiduciosi che la politica, nazionale e locale, potesse essere utile per cambiare in meglio la situazione personale e dell’intera società.
L’incertezza del futuro e la sfiducia nella politica
Nella società liquida di oggi, sono in gran parte venute meno le appartenenze culturali e ideologiche. Inoltre, il futuro è incerto e critico, come dimostra l’uso del termine permacrisi per decifrare la situazione presente e futura. I grandi problemi cui la politica è chiamata a rispondere spesso sono problemi globali (immigrazione, covid, energia, impatto tecnologie…) che superano le possibilità di intervento della politica nostrana. Ciò genera sfiducia nella utilità della politica e allarga la distanza, anzi il solco, tra i cittadini e il voto.
A tutto questo si aggiungono:
• le differenze di codici comunicativi tra le generazioni, che produce incomunicabilità tra politici e giovani;
• la leaderizzazione della politica, introdotta nel 1993 con l’elezione diretta del sindaco. Se il candidato apicale non tira, le persone non votano;
• le (in parte) inevitabili lentezze delle procedure democratiche.
Le lentezze della politica e la velocità del digitale
Queste lentezze contraddicono l’immediatezza propria dell’era digitale, dove tutto (o quasi) è subito a portata di clic. L’era digitale, quindi, aggiunge una “complicazione” ma non è la causa strutturale della drastica diminuzione della partecipazione alle elezioni.
In definitiva, è il combinato di tutti questi fattori a mettere in grave difficoltà la democrazia rappresentativa.
Sia chiaro. Il mio desiderio è di dare un contributo al ragionamento, per capire le cause di ciò che sta accadendo. Non ho la pretesa di possedere la verità, come ho detto anche nella puntata di questa settimana di
Actually, il podcast di Will Media dedicato ai grandi cambiamenti che stanno stravolgendo il mondo.
A tal proposito, ragionando di politica e comunicazione, nel podcast ho detto che siamo entrati nel tempo della “democrazia delle minoranze”. Sarà la minoranza di cittadini che deciderà di volta in volta di andare a votare che determinerà l’esito delle elezioni che si succederanno nei prossimi anni.
Una situazione irrimediabile? Usare la tecnologia per semplificare le procedure di voto sarebbe comunque un passo in avanti per iniziare a migliorare. Il resto lo scopriremo solo vivendo…