Un passo dopo l’altro, esplorando nuovi sentieri, con lo sguardo verso l’orizzonte ma senza perdere di vista i ritorni a medio termine. È il paziente lavoro di chi fa innovazione in azienda, sempre in bilico tra la sperimentazione e il business, tra le opportunità proposte dalle startup e le esigenze e i processi dell’organizzazione. Obiettivo finale: creare nuovo valore.
“Io considero un privilegio guidare una funzione a livello centrale, che a differenza di quelle inserite nelle business unit, non è legata alla quotidianità e può agire trasversalmente su tutte le aree di business, per cercare innovazione che sia però utile per i loro obiettivi ma anche per crearne di nuove”, dice Davide Dotti, dall’aprile 2022 Business Innovation Director di Edison, una direzione composta da 11 persone, che in questa intervista racconta l’approccio all’innovazione della multiutility controllata dal gruppo francese EDF (Électricité de France), gli investimenti sulle startup e le difficoltà di portare sul mercato le loro soluzioni, il valore della corporate entrepreneurship, anticipando una prossima evoluzione verso il venture building, le responsabilità di una grande azienda nei confronti dell’ecosistema.
Davide, in sintesi, perché parli di privilegio?
Perché possiamo lavorare su orizzonti di medio e lungo termine. E perché gestiamo, per tutti quelli che vano a caccia di innovazione, l’open innovation, quindi il collegamento con il mondo esterno: direi che è una delle mie funzioni prioritarie. Il mondo esterno per noi è fatto di startup, altri player dell’ecosistema, fondi di venture capital, a volte anche corporate, che possono essere competitor con cui magari confrontarsi su una tematica pre- competitiva come la sostenibilità o l’economia circolare. Ma c’è anche il gruppo EDF che ha una visione internazionale e strumenti che ci permettono di attingere conoscenza, intercettare i principali trend di innovazione, formulare analisi più rotonde sulle nuove tecnologie e sui nuovi modelli di business. Approfittarne e bene è parte importante del mio lavoro.
Quindi grandi sinergie interne?
Lavorare molto con il resto dell’’organizzazione è la chiave del successo, quindi spesso nei progetti è importante poter contare sulle risorse di altre direzioni e sul supporto di partner esterni che possono colmare le attività magari più time consuming, Poca spesa, massima resa, questo è lo slogan, decisamente.
Come funziona la relazione con il business?
Come dicevo, lavoriamo trasversalmente con tutte le unità per cercare l’innovazione che può servire loro. Spesso seguiamo progettualità verticali, cercando una startup che possa soddisfare un bisogno interno che emerge. Noi realizziamo il match, gestione l’incontro e lasciamo il seguito all’unità di business, mantenendo una posizione da osservatore e facilitatore per far sì che poi se la startup attecchisca e cresca. Altra cosa sono i progetti multidisciplinari di lungo periodo, più di frontiera attivati per esplorare le tecnologie più avanzate per la transizione energetica, che è priorità strategica dell’azienda. In questo caso andiamo a caccia di tecnologie di cui valutare maturità e possibili casi d’uso in orizzonte che va dai tre agli otto anni. È un lavoro da fare con grande efficienza: budget limitato per mantenere un punto di osservazione necessario per non perdere opportunità future.
Tu dicevi che il lavoro con le startup serve a rispondere ai bisogni delle business unit ma anche per immaginare e testare possibili nuovi business che oggi non ci sono. Avete in programma la definizione di un’attività di venture building?
“Ci stiamo pensando, perché è in qualche modo l’evoluzione naturale dell’attività di corporate entrepreneurship, sulla quale stiamo lavorando con ottimi risultati. Se un programma arriva alla terza edizione, vuol dire che funziona. Adesso abbiamo meno progetti, ma di maggiore qualità e soprattutto più realistici, più vicini al business. Oserei dire che questa attività sta diventando una una iniezione di business development, Adesso siamo nella fase di POC: ne stiamo seguendo quattro.
A che punto siete con il progetto venture builder?
È un’attività che stiamo disegnando adesso. Stiamo facendo valutazioni sulle alternative possibili: lavorare con player esterni con le competenze necessarie per sviluppare idee nate da persone dell’azienda o lavorare su idee che possono arrivare anche dall’esterno.
Edison, del resto, ha già fatto qualche esperienza di venture building e anche qualche investimento…
Sì, per certi versi siamo stati quasi precursori. Negli anni del Covid era stata lanciata una venture di telemedicina, quindi un business non tipico per Edison, costruita con un partner esterno: Medicoora. È stato un tentativo che non è andato avanti.
Perché?
Non mai è facile integrare un business nuovo nell’offerta di una grande organizzazione, ancora di più quando nasce fuori. Quando è arrivato il momento di posizionare i servizi di Mediocoora nel portafoglio di Edison Energia c’è stata una specie di crisi di rigetto.
E con Condeo, com’è andata? In quel caso Edison ha investito su una startup creata da uno startup studio
Sì, Startup Bakery crea la startup, noi ci crediamo e prima che vanga “sfornata” investiamo. Ma non è semplice trarre valore da questi processi perché non sempre il match che hai visto si ritrova anche con il tuo posizionamento di mercato o nei tuoi canali di vendita.
Quindi non basta il need di mercato o la qualità del servizio?
Sono importanti ma non sufficienti. Per esempio, non è facile trovare l’incontro con le vendite di una business unit energia. E poi c’è la particolarità del segmento. L’idea è buona, il software funziona ma poi devi proporlo al mondo dei condomini, ancora poco disponibile all’innovazione e dove le vendite e gli acquisti non sempre seguono logiche di mercato. E allora tutto diventa più difficile e fai fatica a trovare il valore. Ma ci stiamo ancora lavorando.
Edison non ha un corporate venture capital ma ha fatto diversi investimenti sulle startup. Ce ne sono in vista?
Attenzione: c’è Pulse Venture, il corporate venture capital del gruppo EDF, con più di 150 milioni di dotazionee 20 startup in portafogli. Se abbiamo una buona idea da finanziare, arrivata dai dipendenti o dall’esterno, la passiamo a loro dopo averla incubata. Per esempio, hanno investito su Enerbrain. E poi siamo dentro un paio di fondi come limited partner: quello Corporate di CDP Venture Capital ed Eurazeo Smart City.
Ma Edison ha fatto anche suoi investimenti diretti…
Sì, sono ticket medio piccoli, tra i 200 e i 300mila euro. Quindi entriamo in fase early stage.
Su quali altre startup avete investito oltre a Condeo?
Siamo entrati in Easyfeel, che è l’aribnb delle pulizie domestiche, e poi siamo entrati anche nel capitale di una startup italiana deep tech, che sta lavorando un reattore innovativo sulle biomasse e con cui stiamo facendo una sperimentazione congiunta. Il deep tech è un comprato molto complicato, in cui ci vuole molta pazienza e ancor non possiamo rivelare il nome di questa startup
A2A ha lanciato un fondo di Corporate Venture Capital aperto. Qual è la vostra posizione? Entrereste in un fondo lanciato da un competitor?
La risposta è perché no. Ci siamo parlati. Ma il tema vero è un altro: prima di tornare dal nostro amministratore delegato e chiedergli un impegno di 10-15 milioni in 5 anni devo iniziare a portare a casa dei risultati, non finanziari. Devo portare valore aggiunto dalla cooperazione con questi fondi. Quindi è ancora un po’ troppo presto per cominciare nuove avventure. Abbiamo però il budget per poter fare qualche investimento mirato strategico, meno software e più deep tech: ticket piccoli, sotto il 10%. Noi entriamo nel capitale, per fare poi un takeover di tutta la società, ma entriamo per dargli quell’aiuto, quella linfa e anche quella competenza, quella mentorship industriale alla startup per arrivare a fare il primo prodotto da testare. Questo è il tipo di collaborazione che vorrei anche raccontare al top management.
Può anche essere un modo per un modo per aiutare le nuove imprese a consolidarsi. Come vedi l’ecosistema italiano?
Siamo indietro di cinque anni rispetto alla Francia, lo sappiamo. Per recuperare il tempo dobbiamo apprendere da quanto è stato già fatto e fare uno sforzo tutti insieme, quindi non solo le startup. Fondi, istituzioni, ma anche le corporate devono mettere del loro. E non è necessario che siano denari ma capacità imprenditoriale, mentorship, competenza tecnologica. In questo senso stiamo collaborando con InnovUp e stiamo lavorando con tutti i nostri interlocutori frances. Si è creato un gruppo che coinvolge circa 70 soggetti tra aziende e istituzioni, e presto sarà lanciata una call for innovation italo-francese aperta a tutti gli innovatori europei. E devo dire che come Edison abbiamo dato un contributo determinante perché sentiamo l’impegno e la responsabilità nei confronti dell’ecosistema.