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Stai gestendo (bene) i dati aziendali? 5 domande da farsi per l’uso consapevole dell’intelligenza artificiale



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Da dove cominciare per usare l’intelligenza artificiale in azienda? Dai dati, perché gli algoritmi non fanno miracoli. La base di conoscenza va trattata come un asset dell’impresa. Ecco una check list, realizzata con l’aiuto del CEO di Digitiamo Mirko Puliafito, per capire se lo stiamo facendo correttamente

Pubblicato il 15 lug 2024



Dati e intelligenza artificiale
Immagine di cono0430 da Shutterstock

Da dove cominciare? Consapevolezza è la parola chiave. In psicologia si usa per indicare la conoscenza di te stesso, degli altri e degli intricati schemi della realtà in cui vivi. Trasferito in ambito aziendale, il termine torna utile per sottolineare l’importanza di conoscere bene processi, competenze e “gli intricati schemi” presenti in ogni organizzazione per poter “installare” il turbo dell’intelligenza artificiale e ottenere risultati in termini di efficienza, efficacia e quindi produttività.

Tutte le aziende hanno e producono dati. Rendersene conto è il primo passo verso la consapevolezza. Dopo viene il tema della gestione di questi dati. “La prima domanda che faccio quando incontro un’azienda è: ‘dove sono i vostri dati?’”, racconta Mirko Puliafito, CEO di Digitiamo, startup focalizzata sull’AI per le aziende, che ricorda subito quanto questo asset sia sempre fondamentale nella vita delle aziende, perché una volta restavano prevalentemente nella mente delle persone, soprattutto nelle piccole e medie imprese.

“Una volta c’erano i dipendenti di lungo corso che costituivano la memoria dell’azienda ma ancora oggi, quando viene fatto un contratto di investimento, i primi a essere vincolati per un certo periodo di tempo sono le persone chiave, le key people che hanno le informazioni necessarie per garantire i risultati”.

Ma la quantità di informazioni aumentano, le persone vanno via e oggi è possibile e sempre più strategico spostare la base di conoscenza di un’impresa su “dipendenti” hi-tech che, per la loro natura, sono sempre pronti all’elaborazione e alla condivisione: i sistemi di intelligenza artificiale. Che cosa fare per avviare questa migrazione? Stiamo gestendo (bene) i nostri dati? Con Mirko Puliafito abbiamo preparato una semplice check list per fare una prima e veloce analisi.

1. Dove sono i dati aziendali?

Questa è la prima domanda perché vale per aziende di qualsiasi dimensione. “Quello che succede di solito che i dati sono all’interno di silos. Quindi chiedo: quali strumenti utilizzate? I dati sono in testa alle persone, sono all’interno dei processi e nelle applicazioni digitali”. La cosa più semplice è partire dalle app: “Dove sta la conoscenza digitale dell’azienda? In quali silos? Ci sono ERP, CRM, HR, sistemi di collaboration.

In base al caso d’uso, bisogna cominciare a razionalizzare tutti questi dati, che significa abbattere i silos e provare a renderli in qualche modo il più possibile controllati e omogenei. Questo è primo passo per costruirci sopra delle applicazioni e farli diventare produttivi”

2. L’ azienda ha una politica di gestione dei dati chiara e documentata?

“In generale non c’è ancora una consapevolezza del datalife cycle”, risponde Puliafito. “I dati vengono generati, devono essere gestiti e anche smaltiti. Per cosa si possono utilizzare? Se su questo fronte interverranno le regole dell’AI Act europeo, ci sarà un’altra questione da affrontare: per quanto tempo li devo conservare? Tranne le funzioni legal o di compliance o l’HR pochi in azienda si fanno queste domande”.

“Per un’importante banca italiana stiamo facendo un progetto di un assistente virtuale per l’HR e tutto il tema della segmentazione del dato è fondamentale”, racconta Puliafito. “Io posso accedere alle informazioni sull’azienda, sulla mia unit e i miei dati ma non a quelli di qualche altro collega. Abbattere i silos per avere una gestione centralizzata dei dati è una necessità, ma è anche una sfida perché si corre il rischio di avere dei buchi nel sistema”.

La segmentazione è una risposta che richiede una governance chiara da cui far discendere i diversi livelli di accesso.

3. Sono stati definiti i livelli di accessibilità ai dati aziendali?

“Abbattere i silos per avere un governo centrale dei dati aziendali è una necessità ma anche una grande sfida: devi fare in modo che non tutti possano vedere tutto. Non solo le persone ma anche le macchine che metti a lavorare”, avverte Puliafito. Pensate a un chatbot per le relazioni con i clienti che si mette a raccontare quel che vede nei conti bancari dell’azienda…

“Due sono le direttrici: la prima è quella funzionale. Customer care, ad esempio: identifico le informazioni da dare ai clienti, definisco le mappe e le regole. La seconda direttrice è quella della disponibilità. Restiamo sempre nel caso del customer care: ci sono dati che non voglio dare al cliente finale ma che possono essere visti dall’utente-dipendente che risponde dopo il chatbot”.

La questione si può riassumere in due domande generali: quali sono i documenti importanti e necessari per il caso d’uso? Chi li può vedere? In ogni caso è importante stabilire chi può accedere a quali dati e in quali circostanze, per evitare abusi e garantire che le informazioni siano utilizzate in modo appropriato.

4. C’è una procedura per mantenere la qualità e l’integrità dei dati?

Definiti chiaramente i livelli di accessibilità ai dati, e quindi costruita l’architettura, è essenziale pensare alla loro qualità e l’integrità, diciamo alla manutenzione, che sono fondamentali per ottenere risultati accurati e affidabili. I dati devono essere costantemente aggiornati e verificati per assicurarsi che siano corretti e pertinenti.

“Le aspettative degli utenti finali, i clienti, sono cambiate e definiscono le aspettative dei sistemi aziendali” osserva Puliafito, che aggiunge: “oggi disegnare architetture che non prevedano l’aggiornamento automatico dei dati non ha senso”. Anche in questo caso bisogna avere regole chiare, che poi diventano metadati.

“L’approccio è simile a quello che da tempo si fa per le directory o i gruppi: la segmentazione degli accessi. L’assistente virtuale si presenta, chiede a quali gruppi appartengo? Quali accesi ho? E si prende i suoi dati”. Suggerimento: “se lo trattiamo come un assistente, capiamo meglio come può operare e con quali limiti, se invece lo consideriamo un occhio potente che ha accesso a tutto perché capisce lui cosa deve usare e come, allora avremo certamente dei problemi”. Primo fra tutti, il rischio di falle per la sicurezza dei dati aziendali.

Serve, quindi, un monitoraggio continuo e l’implementazione di procedure per la gestione e la pulizia dei dati, in modo da mantenere un alto livello di qualità e integrità.

5. Come viene garantita la sicurezza dei dati sensibili all’interno dell’azienda?

La sicurezza dei dati è un aspetto cruciale: è ormai un’ovvietà che non sempre però genera le azioni necessarie. “Il dato è per definizione replicabile, oggi, subito e senza limiti. È essenziale quindi garantire che siano protetti da accessi non autorizzati e che le informazioni sensibili siano gestite con la massima cura”, avverte Puliafito, che ricorda: “implementare misure di sicurezza come la crittografia, l’autenticazione a più fattori e i controlli di accesso rigorosi sono passi fondamentali per proteggere i dati aziendali. È importante anche considerare le normative vigenti e le best practice del settore per mantenere un alto livello di sicurezza”.

Serve prevedere backup periodici per stare più tranquilli? “Dipende. Tendenzialmente, anche in caso di un temporaneo blackout o altro genere di interruzione del servizio, i dati restano li dove sono, in un server o nel cloud”, ricorda Puliafito. “Diverso è il discorso se parliamo di un’azienda che ha deciso di creare una propria data platform, di portare tutti i dati in casa”.

Ma questo è un altro discorso. Prima è importante sviluppare la consapevolezza del valore del dato e della sua corretta gestione. “Qui non stiamo parlando di tecnologia ma di produttività e competitività delle imprese, di tutte le dimensioni, perché il livello di accesso alle applicazioni di intelligenza artificiale si è abbassato e conoscere bene la propria base di conoscenza aiuta a utilizzarle con profitto”, conclude il CEO di Digitiamo. “Le aziende hanno sempre usato i dati, anche quando erano solo nella mente delle persone. Ma solo una piccola parte. Adesso c’è la possibilità tecnologica di far lievitare questo asset aggiungendo informazioni e contenuti prima di difficile raccolta e gestione. E farlo potenzierà anche tutte le attività svolte dalle persone”.

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