“Crediamo a Matera come capitale dell’innovazione attraverso la cultura. Se gli Usa hanno la loro Silicon Valley, noi faremo di questa città la nostra Creative Valley”. Ne è convinto Giovanni Schiuma, docente di Gestione dell’Innovazione presso la Facoltà di Economia e commercio dell’Università della Basilicata e direttore dell’Innovation Insight Hub presso University of the Arts London, un centro impegnato a utilizzare arti e cultura per guidare i processi di innovazione delle imprese.
Materano doc ma residente per lavoro a Londra, è tra i più indicati a commentare la scelta della Commissione europea di nominare la “città dei sassi” Capitale della Cultura 2019, preferendola ad altre candidature eccellenti tra cui Siena e Lecce. Una scelta che non ha mancato di suscitare plausi ma anche polemiche. In particolare alcuni hanno sottolineato l’arretratezza della cittadina lucana, che per esempio è l’unico capoluogo italiano tagliato fuori dalla rete delle Ferrovie dello Stato (una stazione ferroviaria c’è, ma abbandonata tra le sterpaglie). E che è un luogo certamente non ricco, immerso in un Meridione ancora in cerca di rivalsa economica.
In questo luogo, da dieci anni, Giovanni Schiuma porta Ifkad (International Forum on Knowledge Asset Dynamics), forum internazionale che a giugno ha visto oltre 250 esperti di tutto il mondo ritrovarsi in città per dibattere di innovazione e creatività come elementi chiave di una crescita sostenibile. La prossima edizione dell’evento, organizzato dall’Università della Basilicata, University of Arts London, Ifkad e A4BI (Arts for Business Institute), sarà nella vicina Bari. Ma, Bari o Matera, “il problema di fondo – dice Schiuma – è lo stesso per tutto il Sud: costruire una nuova cultura per l’innovazione e la crescita economica”.
La scelta della Commissione europea vuole essere un impulso in questa direzione?
A mio parere i commissari hanno riconosciuto le potenzialità che ha Matera per diventare un frutto di sviluppo del Meridione basandosi principalmente su tre elementi. Innanzitutto la storia. Secondo vari storici è la seconda città più antica al mondo dopo Gerico. Ha un enorme spessore storico e una stratificazione culturale che si manifesta in una sorta di magia della città: la sua atmosfera è in grado di catturare la testa ma soprattutto il cuore. Secondo punto: Matera ha rappresentato per il Sud un simbolo di povertà. Basti pensare al modo in cui è stata immortalata in “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi. I commissari europei hanno certamente tenuto conto di questo elemento. Come hanno tenuto conto di una terza caratteristica della città: è un laboratorio creativo e culturale a cielo aperto. In particolare i sassi di Matera lo sono già e possono diventarlo ulteriormente.
Perché?
La conformazione urbana ha una particolare struttura a labirinto e ramificata. In sostanza è una rete di unità abitative, costituite da grotte e connesse tra loro da una serie di cunicoli e labirinti. Da qui l’idea del laboratorio a cielo aperto: strutture per artisti, ricercatori e industrie creative. Si potrebbero attirare a Matera talenti e artisti da tutto il mondo. Un po’ come la Silicon Valley, che attira talenti tecnologici internazionali, voi vogliamo ‘sedurre’ i creativi, diventando la Creative Valley. Attualmente così non è, le potenzialità sono inespresse.
Cultura come motore per lo sviluppo locale, dunque?
Esattamente. L’innovazione si può tradurre da un lato nella capacità di usare le risorse culturali presenti: i sassi, i beni culturali e artistici presenti a Matera e in Basilicata. Dall’altro nell’utilizzare i sassi come luoghi fisici dove poter attivare nuove imprese nel settore della cultura e della creatività. Settori che in questo momento stanno guidando le dinamiche di crescita di molti Paesi dell’Unione europea: penso al Nord Europa e al Regno Unito. E quando dico cultura intendo anche l’Ict, ‘letto’ per esempio come produzione di software per videogames o industria di produzione dei film, e l’economia dei servizi. Tutto ciò che viaggia sulla Rete, insomma: tecnologia e contenuti.
Quanto ha contato, nella scelta di Matera, il dossier di 150 pagine presentato alla Ue dai promotori della candidatura? Ha fatto più colpo lo slogan “Open Future” o il fatto di aver già costituito una Fondazione che prevede 50 milioni di euro di investimenti?
Per quanto ho potuto vedere, il documento di candidatura è articolato e ben fatto, ma non ritengo sia stato l’elemento differenziante: anche altri erano ben fatti. In realtà questo documento non è solo un portfolio di manifestazione ed eventi, ma contiene una visione di sviluppo. Una delle domande fatte dalla Commissione a Paolo Verri, direttore del Comitato Matera 2019, è stata: “Perché un londinese dovrebbe andare a Matera piuttosto che su un’isola greca?”. Lui ha risposto: “Perché ha molto di più da offrire oltre al relax”. Il Sud Italia è luogo ideale perché ci si può rilassare e allo stesso tempo godere di un’esperienza culturale arricchente. Un altro elemento importante è il concetto di futuro e soprattutto del futuro dei giovani. In Basilicata è molto forte il processo di emigrazione, soprattutto tra i materani. L’idea è creare un humus culturale e creativo che possa trattenere qui i nostri giovani ma ancor più attivare una circolazione di cervelli: persone che emigrano all’estero e poi tornano.
Qual è ora la principale sfida?
Proprio il concetto di Open Future: trasformare questa visione in azione. La città non deve essere un circo a cielo aperto. Il rischio è usare fondi per costruire eventi fini a se stessi, che non sono in grado di creare nel lungo periodo le condizioni per lo sviluppo locale. Se così fosse, avremmo soltanto un’impennata dei prezzi delle strutture locali, la moltiplicazione di attività di entertainment, ma non imprese vere. È questa la vera sfida e per superarla occorre un salto di mentalità, oltre a persone che abbiamo capacità e competenze per realizzare il processo.
Matera ce la può fare?
Matera è già stata protagonista di un miracolo economico quando è stata alla guida del distretto del mobile imbottito, in pratica i divani. Parlo di aziende come Natuzzi che negli anni passati hanno generato una grande ricchezza per il territorio in un triangolo costituito da Matera-Sant’Eremo-Altamura. A differenza di altri investimenti al Sud, è stato un esempio di sviluppo endogeno e sostenuto, scaturito da un’idea innovativa, la produzione di mobili in pelle. Questo sistema industriale ha retto in modo autonomo fino al 2003/2004, poi è arrivata la concorrenza dalla Cina e il distretto è andato incontro a un declino. Ma dobbiamo e possiamo ritentare, puntando su cultura e innovazione.