L’INTERVISTA

CVC, tutti i dettagli del nuovo fondo A2A raccontati da Patrick Oungre



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Il salto è esponenziale: da 38 a 200 milioni. Patrick Oungre, Head of Innovation di A2A, racconta la genesi, gli obiettivi e la governance di un progetto unico nel panorama italiano: 360 Life II, un fondo aperto ad altre aziende per investire su startup per la Energy Transition e la Circular Economy

Pubblicato il 6 giu 2024

Giovanni Iozzia

direttore responsabile EconomyUp



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Patrick Oungre, Head of Innovation del Gruppo A2A

Il salto è esponenziale: da 38 a 200 milioni. Patrick Oungre, Head of Innovation di A2A, insiste sulla taglia ma anche sul modello e gli obiettivi del nuovo fondo di corporate venture capital appena lanciato, 360 Life II, di cui il Gruppo è sponsor.

Nel panorama economico italiano il progetto è unico: un grande player che decide di aumentare l’impegno sulle startup e sull’innovazione, in partnership con un operatore di venture capital – 360 Capital –, in linea con il Piano Industriale 2024-2035 della Life Company (come si definisce A2A) e, importante elemento di novità, aprendo ad altre aziende la possibilità di diventare limited partner del fondo. Ce n’è abbastanza per destare attenzione, curiosità e incontrare Oungre che a EconomyUp in gennaio aveva anticipato il salto di qualità (e di quantità).

Patrick, 360 Life II è un momento di svolta importante in un percorso di open innovation cominciato nel 2020. Il corporate venture capital c’era già: vediamo che caratteristiche aveva per poi vedere e comprendere meglio le differenze con questo nuovo fondo A2A
Abbiamo cominciato a fare Corporate Venture Capital all’inizio del 2020 con una iniziativa con 360 Capital, che aveva l’obiettivo di investire su startup dalla fase seed a Series A a livello europeo ed eravamo già abbastanza in linea con gli ambiti di investimento che sarebbero poi stati definiti nel 2021con il primo piano industriale a dieci anni del Gruppo: Energy Transition e Circular Economy.

Parallelamente abbiamo sviluppato alcune iniziative più piccole dal punto di vista della magnitudo e della rilevanza dei ticket, per fare quello che ritenevamo avesse senso: essere presenti sull’intera catena dell’innovazione, a partire dal tech transfer – che abbiamo coperto con un investimento con EUREKA – ed esplorare nuovi ambiti partecipando al fondo di tech transfer di CDP Venture Capital “Tech4Planet”.

Come è andata in questa prima fase?
Bene, perché abbiamo avuto la possibilità di sperimentare e capire sul campo qual è il modello migliore per noi. È importante ricordare che il motivo per cui investiamo è di natura industriale. Il guadagno sul capitale è un side effect, ma l’obiettivo primario è investire per portare a casa know-how, testare prima di altri le tecnologie realizzando progetti sul campo e avere una forte vicinanza con le portfolio company, tenendo il doppio cappello di soggetto industriale e investitore.

Che cosa avete imparato dai primi tre anni di esperienza?
Una cosa per tutte, forse la più importante. Le diverse modalità di interazione con i gestori ci hanno convinto che l’unico modo per estrarre valore industriale è creare una sinergia molto stretta con loro. Quanto più riesci a lavorare in secondment con il team del fondo, tanto più riesci a generare valore. In questa nuova iniziativa l’investment team sarà cross tra 360 Capital e A2A.

Che cosa vi aspettate da questa maggiore integrazione?
La sinergia corporate-operatore di venture capital rafforza e aumenta la credibilità dell’operazione da un punto di vista industriale, soprattutto per i soggetti investitori che vogliono aderire all’iniziativa.

Nel primo fondo, quello lanciato nel 2020, noi eravamo l’unico limited partner: avevamo definito un commitment e quanto affidato al gestore è stato investito per conto di A2A. In questo modo avevamo garanzia di allineamento e fit industriale, perché era difficile che ci proponessero di investire su realtà non di nostro interesse. Questo ha inoltre fatto sì che il conversion rate tra investimenti e progetti fosse molto alto.

Una maggiore integrazione aumenterà la sinergia fra le diverse anime del nostro modello di open innovation: il nostro scouting alimenterà sicuramente il deal flow e quest’ultimo a sua volta le opportunità di investimento con il giusto focus. C’è un altro aspetto molto importante di questo modello…

Quale sarebbe?
Far lavorare insieme tutte le parti coinvolte – ecosystem development, CVC, l’innovation manager di Business Unit – chiarisce il motivo per cui ha senso che la gestione del venture capital stia all’interno dell’area innovazione di un’azienda.

A proposito dell’obiettivo industriale. Dicevi di un conversion rate molto alto. Quanto è importante? Quante sono le startup in portafoglio?
In generale abbiamo fatto 62 investimenti di cui 22 totalmente in linea con il nostro piano industriale, già diventati nel 70% dei casi progetti concreti. E tra questi ci sono gli otto fatti dal precedente fondo con 360 Capital. Parliamo di long duration energy storage, tecnologie di AI applicate alla gestione dei rifiuti, ma anche dell’energy trading e delle ispezioni nelle reti. Tutti domini coerenti con le sfide del Gruppo. Capire quante startup sostenute diventano progetti è la metrica per noi più importante.

Come vanno le startup in portafoglio?
Il bilancio è molto positivo e speriamo che continuino a crescere. Energy Dome è il caso più noto ma ci sono altre imprese molto interessanti e promettenti, in Italia e all’estero.

Dall’investimento al POC e poi al business. Il processo ha funzionato?
Direi di sì e ci sono molti casi che lo confermano. Ad esempio, Greyparrot è già installata nei nostri impianti di separazione della plastica. Beem è integrata nel portafoglio della nostra Business Unit Mercato. Stiamo ragionando su Siteflow, una piattaforma digitale che stiamo portando anche in ambito Business Unit Generazione. Con Enspired, una startup austriaca, stiamo progettando una sperimentazione per il mercato del trading. Sinergy Flow ha sviluppato una batteria a flusso che utilizza lo zolfo, con un TRL -6 su cui stiamo avviando un PoC.

Adesso fate il salto. Perché questa decisione e quali sono gli obiettivi del fondo A2A?
Sì, è un vero salto. Nel 2020 avevamo investito 38 milioni, di cui 25 allocati sul nostro fondo dedicato con 360 Capital e il resto su altre iniziative. Quell’esperienza è stata utile per capire che per operare nel settore del cleantech è necessaria una dotazione più significativa se vogliamo competere a livello europeo.

Per questo, il primo step è stato pensare di aumentare la size del fondo a 200 milioni, per diventare il primo corporate venture capital in Italia in ambito Energy Transition e Circular Economy. È uno step up decisamente importante, soprattutto in una fase in cui gli investimenti sull’open innovation stanno vivendo una contrazione. A2A ha deciso di operare in contrapposizione, confermando il percorso positivo fatto fino adesso.

Da dove arriva la spinta per fare questo salto?
La visione e la strategia sono quelle del Piano Industriale del Gruppo; noi saremo l’anchor investor e sponsor industriale del progetto e abbiamo cambiato completamente l’approccio: adesso proponiamo ad altre aziende e soggetti istituzionali un’operazione di investimento in startup capitanata da A2A e da 360 Capital.

Abbiamo già un soft commitment per fare in tempi rapidi un primo closing a 100 milioni di euro, con l’obiettivo di arrivare a 200 nel 2025. Il dato importante è che questo fondo è aperto a soggetti terzi, italiani ma anche internazionali.

Perché un’azienda dovrebbe investire in un fondo di cui voi siete anchor investor?
Su alcuni temi collegati alla transizione ecologica non è detto che si vada in competizione: alla base c’è un cambiamento culturale molto importante. Ci sono aree nelle quali il sostegno e le competenze possono essere di A2A come anche di altri soggetti della filiera.

Avere un anchor partner industriale, che può esprimere valore soprattutto nelle fasi di due diligence e di avviamento del progetto, può essere una forma di rassicurazione per le realtà che non hanno team che fanno investimenti sulle startup ma vogliono cominciare ad operare nel corporate venture capital. Diciamo che siamo sponsor del fondo 360 Life II e che questa sponsorship è una forma di garanzia per gli altri investitori.

Dall’open innovation, quindi, all’open corporate venture capital: può essere un modo per diffondere gli investimenti sulle startup?
Io credo di sì. Come dicevo, serve un nuovo approccio culturale di apertura verso tutti i soggetti della filiera. E questo cambiamento può partire da un Gruppo come A2A. Non escludiamo niente.

Potrebbero, quindi, partecipare anche altre utility al fondo A2A?
Perché no? Il fondo è aperto a chiunque sia disposto a riconoscere il nostro ruolo di attore rilevante in questa operazione, che ci vede molto coinvolti anche a livello di persone: come dicevo prima, nell’investment team ci sono tre nostri colleghi full time e io stesso avrò un ruolo attivo nel fondo.

Se una terza parte decide di investire e accoglie positivamente il fatto che ci sia un competitor che promuove questa iniziativa, valuteremo insieme le condizioni di partecipazione. La prima scelta da fare, comunque, è la condivisione della strategia: il focus sarà su Energy Transition, Circular Economy e Urban Sustainability. Chi decide di partecipare deve sposare queste traiettorie.

Quindi governance chiara a due mani, A2A e 360 Capital…
Sì, ma con una precisazione da fare: il comitato di investimenti, quindi la scelta di go/no-go, sarà di 360 Capital. Questo per una scelta operativa e per evitare conflitti di ruolo. Noi metteremo a disposizione tutte le nostre competenze nella fase di due diligence, coinvolgendo tecnici e specialisti del Gruppo: un ulteriore elemento di rassicurazione e garanzia per chi vuole investire, come può essere un operatore di financial service, un’assicurazione per esempio, che voglia mettere capitale su transizione ecologica o smart city.

Quando prevedete di fare il primo closing a 100 milioni?
Per la fine del 2024. Siamo abbastanza ottimisti che avverrà in autunno, visto che siamo in una fase di due diligence molto avanzata. Intanto stiamo già guardando dei dossier, vogliamo rafforzare il progetto e la sua presenza sul mercato con una cifra significativa.

A2A non farà tutto da sola, questo è chiaro. L’impegno finanziario resta lo stesso del 2020 o cresce?
L’impegno cresce, ma la cosa importante per noi è il cambio di paradigma: prima il modello era chiuso, adesso diventa un’azione di sistema. Abbiamo pensato fosse più efficiente aprire ad altri soggetti per poter competere a livello europeo. Portiamo in dote un binomio industria-VC che ha funzionato e performato bene in questi primi tre anni e lo condividiamo con chi vuole avvicinarsi al mondo del venture capital, riuscendo magari a ridurre la timidezza con cui viene ancora visto dalle corporate.

Il fondo A2A è parte di una strategia più ampia che ha tra le sue priorità accompagnare le imprese italiane verso l’economia circolare e la transizione energetica. Non a caso il fondo è classificato “Articolo 9” secondo la regolamentazione SFDR (Sustainable Finance Disclosure Regulation). Stiamo, quindi, lavorando per l’innovazione e per la sostenibilità. Anche questo è un bel salto!

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