Le conseguenze della crisi climatica oggi sono evidenti, a partire da estati sempre più torride e da stagioni autunnali funestate da tempeste tropicali perfino in paesi come il nostro che, generalmente, non registrano fenomeni metereologici così estremi. Eppure non c’è da stupirsi. Basta leggere con attenzione le tante ricerche che dimostrano quanto un tale cambiamento sia profondo e destinato a non svanire nel tempo. Un rapporto del 2021 realizzato da Climate Action Tracker, ad esempio, mostra che entro la fine del secolo il pianeta subirà un riscaldamento pari a 2,4° C. Il che rende pressoché certa la tendenza al manifestarsi di tempeste, di ondate di calore e di siccità. Rende necessario anche un rinnovato impegno da parte dei governi ad attuare quei programmi che possono invertire questa tendenza. L’Unione europea sta cercando di fare la sua parte attraverso il piano Green Deal che ha l’obiettivo ambizioso di raggiungere entro il 2050 la cosiddetta “neutralità climatica”, ovvero zero emissioni nette di gas serra di origine antropica.
La sostenibilità globale passa da quella degli edifici
Il 2050 è un anno fatidico anche per un’altra ragione. Secondo le Nazioni unite entro questa data il 68% dell’umanità vivrà nelle aree urbane, ovvero le città accoglieranno 2,5 miliardi di abitanti in più rispetto agli attuali. Con un conseguente aumento delle soluzioni abitative che dovranno ospitare un numero così elevato di persone. Per capire quale potrebbe essere l’impatto sul clima di questo incremento, basti pensare che attualmente gli edifici contribuiscono a generare il 39% delle emissioni annuali di CO2 a livello globale. È il World Green Building Council ad aver fatto questo calcolo, suddividendo le emissioni tra quelle “operative” (28%) che derivano dall’energia necessaria a riscaldare, raffreddare e alimentare gli edifici, e quelle (11%) riconducibili invece alla produzione, al trasporto e alla costruzione dei materiali. Se questa seconda categoria, che viene definita “carbonio incorporato”, trarrà benefico da tecniche costruttive e modelli logistici sempre più sostenibili, le emissioni operative si potranno abbattere solo grazie alla diffusione degli smart building.
Smart building, un mercato destinato a crescere
Secondo l’omonimo Osservatorio del Politecnico di Milano, “con il termine smart building si fa riferimento a un edificio in cui gli impianti presenti sono gestiti in maniera intelligente e automatizzata, attraverso l’adozione di una infrastruttura di supervisione e controllo, al fine di minimizzare il consumo energetico e garantire il comfort, la sicurezza e la salute degli occupanti”. Si tratta di un mercato che nel 2020, con riferimento agli investimenti in Automation Technology e in piattaforme di gestione e controllo (ossia le componenti hardware e software dell’infrastruttura di gestione e controllo degli smart building) ha superato in Italia i 2,3 miliardi di euro. Se lo si allarga a tutto il modo, alcune proiezioni stimano che dovrebbe raggiungere un valore superiore ai 570 miliardi di dollari da qui al il 2030 (altra data fatidica, se si considera che l’Unione europea ha fissato per allora una diminuzione di almeno il 55% delle emissioni di CO2 come tappa intermedia prima di quella finale del 2050). In questo mercato, tutta la parte di sensoristica collegata ai software di raccolta, elaborazione e analisi dei dati acquisiti dai sistemi IoT installati sugli impianti necessita di un’idonea infrastruttura di rete.
ULAN, la soluzione di Leviton per non “stressare” la rete
L’“intelligenza” degli edifici è resa possibile dalla convergenza sulla rete LAN di applicazioni di utilità multiple quali HVAC (Heating, Ventilation and Air Conditioning), illuminazione, sistemi di sicurezza e sistemi di gestione energetici. La confluenza su questa dorsale può causare tuttavia un stress nella capacità di supportare così tanti dispositivi, che si aggiungono a quelli che viaggiano sulle connessioni IP collegate alla medesima LAN. Una risposta a questo problema arriva da Leviton, azienda statunitense con oltre 100 anni di storia che ha progettato un’architettura di rete, detta uLAN, proprio per ovviare all’appesantimento della LAN di base. Destinando, infatti, il traffico di “utilità” (da cui la “u” del nome) verso una connessione dedicata viene meno il rischio di rallentamento o, peggio ancora, di vanificazione del principio stesso dello smart building che necessita, appunto, di strumenti per raccogliere, analizzare e gestire dati in tempo reale.
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