LA GUIDA

Criptovalute: ecco quali sono le regole in Italia (tranne che per le ICO, quindi attenzione)

È ormai diffusa nel mondo la regolamentazione delle piattaforme di exchange e custodia wallet. Il problema – dice Nico Saraceno, Strategy, Customer & Digital Financial Services Director di EY – sono le Initial Coin Offers: in assenza di norme precise, c’è il rischio di speculazione e cyberattacchi

Pubblicato il 05 Mar 2018

CRYPTOcurrencies

Attenzione alle ICO: vanno monitorate e regolamentate, altrimenti possono diventare “una corsa all’oro pericolosa e qualcuno si può scottare”. A sostenerlo è Nico Saraceno, Strategy, Customer & Digital Financial Services Director di EY, intervistato da EconomyUp per approfondire gli aspetti legali legati al tema delle criptovalute.

Le ICO (Initial Coin Offer) sono un’offerta iniziale di una nuova moneta. Grazie alle criptocurrencies chiunque può emettere una propria moneta o, meglio, un token. Ci sono emissioni di token che servono sostanzialmente per gli scambi all’interno di una piattaforma e ci sono token che servono a fare a raccolta di capitali. Vale per le startup come per le aziende strutturate: di recente Telegram, la società fondata nel 2013 da Nikolai e Pavel Durov che ha realizzato un servizio di messaggistica istantanea simile a WhatsApp, ha lanciato una Initial Coin Offering (Ico) per raccogliere 1,2 miliardi di dollari e in poco tempo ha raccolto adesioni per oltre 850 milioni. Nel mondo le ICO si stanno moltiplicando, così come si moltiplicano gli investimenti in Bitcoin e altre valute virtuali.

“Da qualche mese c’è grandissimo fermento sul tema – conferma Saraceno – ma a livello internazionale si è ormai diffusa la parte di regolamentazione che riguarda le piattaforme di exchange, dove si scambiano le criptovalute, e quelle che custodiscono il wallet, il portafoglio delle monete virtuali. Invece le ICO, che stanno diventando un incredibile strumento di fundraising, non sono in alcun modo regolamentate”.

Nico Saraceno, Strategy, Customer & Digital Financial Services Director, EY
Partiamo dai Bitcoin: a che punto è la normativa in Italia?

L’Italia ha recepito le modifiche apportate alle direttiva Europea Antiriciclaggio con il decreto legislativo 25 maggio 2017, n 90 , entrato in vigore il 4 luglio. Ne è scaturito uno schema di decreto ministeriale, rimasto in visione per ulteriori commenti e osservazioni fino al 13 febbraio 2018, che mira a disciplinare le modalità con cui i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di cryptocurrencies –descritti dal decreto attuativo come piattaforme di scambio e di custodia wallet – sono tenuti a comunicare al Ministero dell’Economia e delle Finanze la loro operatività, iscrivendosi in uno speciale registro tenuto dall’Oam, l’Organismo degli Agenti e dei Mediatori. Ora se ne attende l’approvazione definitiva.

In definitiva è legale in Italia investire in Bitcoin?

Non c’è una legge che lo vieta, quindi non è illegale. In questo momento si sta appunto lavorando alla registrazione degli intermediari, che significa mettere le piattaforme sotto il controllo del ministero delle Finanze o della Banca d’Italia: questo permette di controllare che cosa succede al loro interno. Così saranno possibili i controlli anti-riciclaggio, ma non solo. In passato ci sono stati attacchi di hacker ad alcune piattaforme che hanno causato la scomparsa di una quota ingente di Bitcoin. Applicare il controllo di un’autorità dedicata significa garantire i requisiti minimi di sicurezza. Invece in Italia le ICO non sono regolamentate in alcun modo.

È così anche nel resto d’Europa?

La prima nazione che ha scelto di regolamentare le ICO è stata la Svizzera. Pochi giorni fa la Finma (Swiss Financial Market Supervisory Authority), l’autorità svizzera di vigilanza sui mercatiequivalente della nostra Consob, ha proposto le linee guida per stabilire regole in materia. Viene fatta una distinzione tra i token per scambiarsi servizi e beni da quelli che servono per fare raccolta fondi. Quando si investe in una società occorre fornire all’investitore un prospetto con le relative informazioni. Invece, per la maggior parte delle ICO non viene fornito un prospetto informativo. Gli Usa, per esempio, vietano le ICO legate a forme di investimento. In Italia la Consob non si è ancora espressa, perciò gli italiani interessati alle ICO le fanno in Svizzera, nella cosiddetta Blockchain Valley.

Esistono numeri sui volumi degli investimenti in ICO in Italia?

Ancora questi investimenti non sono sufficientemente monitorati. Secondo una ricerca EY pubblicata a dicembre 2017 (EY research: initial coin offerings ), il volume delle ICO a livello mondiale si aggira intorno ai 4 miliardi di dollari. Una cosa è certa: ci sarà una nascita continua di nuovi token legati a singole ICO. A breve il mercato sarà bombardato di token, i più disparati e legati a obiettivi diversi. Molte delle offerte di token sembrano non avere un vero obiettivo di business, ma al contrario, si basano sul timore degli investitori di “perdersi qualcosa” di potenzialmente redditizio, senza che questo timore sia basato su un’analisi dei fondamentali dell’impresa alla ricerca di fondi. Secondo la ricerca EY, infatti, “la tipica ICO non ha clienti, fatturato e, nella maggior parte dei casi, nessun prodotto”. Chi investe nel breve periodo può guadagnare molto o perdere molto. Il valore di queste ICO è infatti estremamente volatile, sottoponendo gli investitori a rischi significativi, tra cui il rischio di non compliance normativa e il cadere vittima di cyber-attacchi: si calcola che circa il 10% del valore delle ICO sia andato perduto in attacchi informatici.

Si è detto che le ICO sono una nuova opportunità per la raccolta fondi delle startup. È così?

Con le ICO le startup, ma anche le aziende, hanno una trovato modalità nuova per fare crowdfunding, la raccolta fondi online. Tuttavia va ricordato che l’investitore non ottiene in cambio quote azionarie. Con le ICO cambia il paradigma: non sono uno shareholder, ma possiedo una determinata quota di token sui quali la società che li ha emessi ha detto che è in grado di fare determinate operazioni. Il token diventa così un valore mobiliare da scambiarsi sul mercato. Ma ci sono anche equity token, che diventano una sorta di obbligazioni legate all’andamento della società.

Esempi delle diverse tipologie?

Immaginiamo una startup che fa e-commerce di vino e decide di finanziarsi attraverso l’emissione di 100 milioni di token del valore di un euro ciascuno. Se affermo che i i token serviranno a scambiare il vino, gli investitori potranno usarli per acquistare vino nella piattaforma. È uno scambio all’interno di un environment chiuso. Per avere il vino dovranno acquisire il token, per poi rivenderlo allo shopper. Il beneficio per il consumatore finale? Chi gestisce la piattaforma funge da intemediario gratuitamente perché guadagna dai token. Sparisce così la fee di intermediazione. Sappiamo che l’innovazione tecnologica sta spazzando via gli intermediari in molti settori, ma, per esempio, AirbNb e Uber, simboli di innovazione disruptive, ottengono comunque una fee di intermediazione attraverso la piattaforma. Nel caso dell’ICO si assiste a un azzeramento totale della fee. Questa è la modalità di emissione di una criptovaluta per lavorare in un ambiente chiuso: non è un investimento mobiliare, quindi per la Sec o altre autorità di vigilanza non ci sono problemi. Ma se una società emette token e promette una loro rivalutazione sulla base dell’andamento del fatturato dell’azienda, il token diventa una security. E le security devono essere regolamentate.

Criptovalute e tassazione: come funziona?

Sugli investimenti in criptovalute non c’è un capital gain da applicare: per l’Agenzia delle Entrate è una transazione di scambio di valuta. Gli exchange e i custody wallet vanno invece tassati perché rendono un servizio. In Italia sono operative piattaforme estere di queste tipo. Una volta istituito il registro, è auspicabile che gli operatori esteri si registrino in Italia.

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Luciana Maci
Luciana Maci

Giornalista professionista dal 1999, scrivo di innovazione, economia digitale, digital transformation e di come sta cambiando il mondo con le nuove tecnologie. Sono dal 2013 in Digital360 Group, prima in CorCom, poi in EconomyUp. In passato ho partecipato al primo esperimento di giornalismo collaborativo online in Italia (Misna).

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