La creazione di impresa è ormai da decenni uno dei temi più dibattuti da istituzioni, governi ed imprese stesse. La ragione è molto semplice, oltre che confermata da numerosi studi scientifici: stimolare e favorire la nascita e crescita di nuove imprese ha un impatto significativo e positivo su crescita e sostenibilità, principalmente nel caso di contesti economici maturi.
Studiosi, imprenditori, manager e politici hanno mostrato un notevole interesse nel comprendere le dinamiche di nascita e crescita di imprese, soprattutto ad inizi anni ’90, subito dopo quella che possiamo definire una storica prima “ondata” di nuova imprenditorialità. Mentre in USA dopo la seconda guerra mondiale si sono affermate le grandi Corporation, in Europa e in Italia in particolare si diffondeva un modello economico alternativo, dove a trainare l’economia erano tante piccole-medie realtà imprenditoriali, spesso a conduzione familiare. Queste realtà operavano tipicamente in settori low-tech del manifatturiero e tendevano ad agglomerarsi per filiere verticali, dando vista ai cosiddetti distretti industriali.
Gli “Italian industrial district” sono stati uno dei casi esemplari e di successo della nuova imprenditorialità, che portarono l’Italia a diventare in poco tempo la sesta economia al mondo; un apice che il nostro Paese non è stato più in grado di toccare.
Oggi stiamo tuttavia assistendo ad un rinnovato interesse da parte di istituzioni e governi rispetto al tema della creazione di impresa. Questo come risultato di una seconda “ondata” di imprenditorialità, che presenta una caratteristica distintiva rispetto alla prima, tutta concentrata in una parola chiave: innovazione. Le nuove tecnologie (digitali e non) hanno ampliato fortemente lo spettro di opportunità di business. La forza dirompente di questa nuova ondata di imprenditorialità innovativa è l’alto potenziale di crescita, controbilanciato da un alto rischio di fallimento.
Nel periodo storico di recessione economica probabilmente tra i più lunghi della storia, individuare e sostenere nuovi meccanismi per la crescita è essenziale. Per questo, stimolare imprenditorialità e innovazione è tema oggi prioritario nell’agenda politica di istituzioni e governi.
In questo contesto di urgenza e rilevanza nella comprensione dei fattori che possono contribuire alla creazione e alla crescita di imprenditorialità innovativa si colloca un nostro studio recentemente pubblicato su una rivista scientifica internazionale di settore (scaricabile al seguente link: https://goo.gl/SezsCh). Lo studio, dal titolo “Dinamiche di agglomerazione di startup innovative in Italia: oltre l’era dei distretti industriali”, rivela un impatto positivo sulla creazione di nuove imprese innovative in Italia, determinato dalla presenza e vicinanza geografica a un distretto industriale.
Questo risultato suggerisce alcune riflessioni e implicazioni politiche rilevanti per il sistema Italia. In primo luogo, si rileva che i distretti industriali (low-tech e specializzati nel manifatturiero) e le startup innovative, seppur generati in due epoche e da ondate di imprenditorialità distinte, sono erroneamente considerati mondi lontani. Emerge in realtà una forte connessione tra piccole e medie imprese (PMI) operanti nei distretti e le startup innovative, probabilmente generata dalla presenza di una forte cultura imprenditoriale radicata nei territori. Inoltre, in un Paese dove il mercato dei capitali (e in particolare il segmento del Venture Capital) fatica a crescere e a soddisfare la richiesta di imprese innovative che vogliono svilupparsi ed espandersi a livello globale, stimolare la collaborazione tra PMI del manifatturiero e startup innovative – la vecchia e la nuova imprenditorialità, come alcuni le intendono – potrebbe dare luogo ad una relazione potenzialmente “win-win” che contribuirebbe alla futura crescita del sistema Paese. Da una parte, infatti, le PMI avrebbero la possibilità di facilitare il proprio processo di innovazione e “svecchiamento”, nel corso del quale spesso incontrano difficoltà strutturali e culturali. Dall’altra, per le startup innovative, entrare in contatto con un primo bacino di aziende clienti vicine nei propri territori d’origine, può risultare una fonte di auto-finanziamento importante per la crescita.
Questa riflessione può apparire semplicistica, perché non tutte le startup innovative operano nel business- to-business (e potrebbero quindi considerare le PMI come loro clienti naturali), ma nasce da una constatazione: in Italia mancano i capitali per poter supportare la nascita ma soprattutto la crescita di una nuova Facebook o Amazon che operino nel largo consumo e si impongano a livello globale. È chiaro che ci si augura che la situazione cambi, grazie anche all’intervento dei policy-makers a livello europeo e nazionale, come si sta cercando di fare in Paesi a noi vicini e con economie comparabili alla nostra, quali Francia e Germania. Non si vogliono nemmeno scoraggiare iniziative che operino nel business-to-consumer, perché queste avranno sempre la possibilità di raccogliere i capitali necessari fuori dall’Italia, come già succede, o farsi acquisire da competitor internazionali, generando ugualmente casi di successo importanti che alimenterebbe un potenziale circolo virtuoso all’interno dell’ecosistema startup nostrano. Ci sembra però rilevante segnalare che basarci esclusivamente sul modello di ecosistemi imprenditoriali esteri e più maturi può essere fuorviante e limitante: anche il nostro Paese ha una storia e un retaggio importante di successo nella creazione di nuova impresa, che resiste alla globalizzazione e allo sviluppo di nuove tecnologie.
È giunto il momento di facilitare l’incontro e la collaborazione tra le PMI tradizionali e le startup innovative, così che possano crescere insieme grazie a risorse e competenze complementari e con alla base obiettivi comuni.
Il risultato del nostro studio diviene quindi un messaggio rivolto a tutti gli attori e facilitatori dell’ecosistema startup italiano, così come ai suoi osservatori esterni: come già sostenuto, non esiste un’imprenditorialità tradizionale solida, che si concretizza nelle PMI, da contrapporsi ad una nuova e sfuggente imprenditorialità che prende vita nelle startup.
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