IMPRESA FOR GOOD

Cos’è il “business for good”, il nuovo modo di gestire le aziende a vantaggio di tutti

Dalla crisi del modello d’impresa basato sulla ricerca esclusiva dell’interesse degli shareholder si impone il modello del business for good, che concilia profitto e bene comune, a vantaggio di tutti gli stakeholder

Pubblicato il 05 Dic 2023

Business for good

Cosa significa il nuovo concetto di “Business for good”?

In questo mio precedente articolo ho sostenuto la seguente tesi: il paradigma basato sul concetto che “The business of business is business”, che ha avuto come conseguenze quella di permettere lo scollamento fra ricerca del profitto e impatto sul bene comune, sta arrivando al suo capolinea, come ritengono necessario i cittadini, i legislatori e oramai persino i più autorevoli rappresentanti dello stesso. Ma se questo paradigma è sbagliato, con cosa lo possiamo sostituire? È infatti inutile negare la validità di un concetto senza proporne uno alternativo. Nel nostro caso questo nuovo paradigma è quello dell’Impresa for Good, a sua volta ispirato al concetto di Capitalismo degli Stakeholder, cioè quella forma di capitalismo che consiste nell’affermare che lo scopo di un’impresa non sia solo quello di garantire i profitti agli azionisti ma di creare, nel contempo e dando ad esso la stessa importanza, valore per i suoi stakeholder.

Ecco un bel TED talk di Dame Vivian Hunt che spiega come questo possa avvenire:

Questo concetto peraltro diventa ancora più virtuoso se si affianca a visioni non capitalistiche dell’economia, come quelle del cooperativismo e dell’impresa sociale, che hanno fra gli altri anche il compito di riempire i vuoti che un sistema capitalistico in diverse circostanze può lasciare.

Il richiamo a mettere al centro dell’attenzione delle imprese l’attenzione agli stakeholder viene peraltro da fonti piuttosto autorevoli nella comunità del business. Ad esempio Larry Fink, numero 1 di BlackRock, uno dei più grandi fondi di investimento al mondo, inserisce da tempo nelle sue lettere[1]  ai CEO delle imprese in cui investe affermazioni come questa: “…un’impresa non può ottenere profitti nel lungo periodo senza abbracciare uno scopo e considerare i bisogni d un ampio gruppo di stakeholder …”.

Ancora più scalpore, se possibile, fece alcuni anni fa il manifesto pubblicato dalla Business Round Table [2]che riunisce i CEO di imprese che rappresentano lo zoccolo duro del capitalismo nordamericano e che fra le altre cose dice: “Le aziende dovrebbero servire non solo i propri azionisti, ma anche fornire valore ai propri clienti, investire nei dipendenti, trattare in modo equo con i fornitori e supportare le comunità in cui operano”.

(QUI la lettera inviata da Fink nel 2022)

Business for good: le imprese stanno diventando più “buone”?

Ora, questo vuol dire che Larry Fink e i CEO delle più agguerrite corporation americane siano diventati “buoni” all’improvviso? Pur non volendo fare il processo alle intenzioni, lo ritengo quanto meno improbabile. È più facile pensare che anche queste “autorità” del capitalismo si siano accorti che il paradigma del “business of business is business” non è più sostenibile. Il che è certamente vero e quindi il paradigma va superato ma non come questi imprenditori e manager pensano che debba essere fatto. Non basta infatti adattare le proprie strategie al contesto sociale e di mercato così come si è evoluto. Fermandosi ad un approccio “strategico” non si fa quello che serve per rendere totalmente e definitivamente sostenibili le imprese, perché ci si limita a fare “quanto basta”, cioè quanto garantisce i migliori ritorni, misurati sempre come quote di mercato o profitti. Ritorni che peraltro sono oggi sempre più probabili, visto il favore che cittadini, consumatori, media e legislatori hanno per le imprese che si comportano in modo etico e sostenibile.

Attenzione: anche questo approccio strategico fornisce grandi benefici, oltre a permettere di buttare la stampella della CSR. La Corporate Social Responsibility, infatti, è stata nel caso migliore caratterizzata da episodi che seppur virtuosi non cambiavano la realtà dell’agire quotidiano delle imprese, mentre nella sua deriva è stata asservita ad approcci manipolativi che si sono manifestati nelle diverse forme di washing, di cui il greenwashing è solamente quella più citata. Fra questi benefici va citato l’aumento dell’offerta, a sua volta in grado di generare ulteriore domanda, che stimola un circolo virtuoso di ricerca, investimenti e innovazione, e quindi riduce anche i costi dei prodotti più sostenibili. Senza trascurare il fatto che questo modo di agire obbliga imprenditori e manager a cambiare il modo di pensare e prendere decisioni, favorendo un cambiamento culturale a cui sarà difficile resistere, perché basato su princìpi “buoni” e da cui, una volta messi sul tavolo, non sarà facile prescindere.

La responsabilità sociale d’impresa

Tutto questo aprirà sempre di più la porta al paradigma veramente nuovo, cioè quello dell’Impresa for Good, un concetto che il manifesto della The Good Business Academy così descrive:” … l’impresa for good si propone di produrre benessere per tutti i soggetti che ne fanno parte, per quelli con i quali interagisce, per la comunità che la ospita, per l’ambiente naturale in cui opera e per le generazioni future; Il processo decisionale nell’impresa for good è orientato al bene comune. Il profitto non è un fine, ma una misura della capacità dell’impresa di rispondere alle istanze dei pubblici con i quali si relaziona attraverso la diffusione di prodotti utili, funzionali, belli e sostenibili, facendo sempre del proprio meglio alla costante ricerca dell’eccellenza …”.

Questo modo di intendere l’impresa è a sua volta basato su un concetto ampio di responsabilità, che denominiamo “Responsabilità Integrale d’Impresa”, cioè quella che abbraccia le attività svolte direttamente dall’impresa tanto quanto quelle a monte e a valle della stessa, in entrambi casi tenendo conto sia del loro impatto economico che dell’impatto umano, sociale ed ambientale, quindi su tutti gli stakeholder. Il concetto della Responsabilità Integrale d’Impresa assume quindi tre dimensioni. La prima dimensione è quella della catena del valore; la seconda quella delle diverse tipologie di impatto; la terza quella degli stakeholder coinvolti. E’ questo tipo di responsabilità quello a cui fanno riferimento quelle imprese che decidono di trasformarsi in società benefit, integrando nel loro scopo statutario, benefici di interesse comune,  e in modo ancora più spinto le B Corp, che, oltre ad essere tenute a diventare società benefit, misurano il loro impatto su basi oggettive e costituiscono un movimento di imprese che vuole cambiare il paradigma che ha dominato per più di mezzo secolo. Ci riuscirà? L’Umanità deve sperare che così accada.

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Paolo Braguzzi
Paolo Braguzzi

Paolo Braguzzi è stato CEO di imprese internazionali per oltre 25 anni, in particolare nel settore della cosmetica. Oggi ricopre il ruolo di consigliere di amministrazione indipendente, è membro del Supervisory Board di B Lab Europe, del comitato esecutivo della The Good Business Academy e dell’Advisory Board di Assobenefit, oltre ad essere docente di Stakeholder Management dell’Università di Verona. Ha pubblicato con FrancoAngeli il libro “L’impresa for good. Come usare il business per creare valore umano, sociale ed ambientale”.

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