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Cosa sappiamo sulla riforma della web tax per le imprese digitali: cos’è, chi riguarda, gli effetti



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La Legge di Bilancio 2025 prevede l’estensione della tassazione al 3% per tutte le aziende del digitale, e non più solo per chi fattura 750 milioni di euro. Ma, a seguito di varie critiche, il governo potrebbe correggere il tiro. Ecco cos’è la web tax e come potrebbe essere riformata

Pubblicato il 29 ott 2024



web tax
Web tax

La proposta di riforma della web tax che dovrebbe essere introdotta dalla Legge di Bilancio 2025 prevede l’estensione della tassazione al 3% per tutte le aziende che operano nel digitale, e non più soltanto per quelle che fatturano 750 milioni di euro a livello globale e che percepiscono ricavi da servizi digitali non inferiori ai 5,5 milioni in Italia. Ma, a seguito di varie critiche, il governo potrebbe ripensarci e correggere il tiro.

QUI il testo relativo alla riforma della web tax.

Vediamo intanto di capire meglio tutto quello che ruota intorno a questo tipo di tassazione.

Come nasce la web tax

La “web tax” è una tassa progettata per colpire le grandi aziende tecnologiche che generano ricavi significativi da Paesi in cui non hanno una presenza fisica. Originariamente concepita come una serie di tasse digitali unilaterali da vari Paesi, l’iniziativa è stata guidata dall’esigenza di garantire che le multinazionali pagassero una giusta quota di tasse nei mercati in cui operano. Nel 2021, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ha proposto un accordo globale che stabilisce un’imposizione fiscale minima del 15% per le multinazionali e ridefinisce dove queste devono pagare le tasse, noto come “Pillar One” e “Pillar Two”. Nel 2024, molti Stati hanno iniziato ad attuare queste nuove regole, con l’obiettivo di ridistribuire le entrate fiscali e ridurre il ricorso a tasse digitali discriminatorie.

Cos’è la web tax in Italia

La web tax, conosciuta ufficialmente come Digital Service Tax (DST), è stata introdotta in Italia nel 2020 con l’obiettivo di tassare una parte dei ricavi generati dalle grandi multinazionali tecnologiche che operano nel Paese. Inizialmente, la tassa del 3% si applicava solo alle aziende con un fatturato globale superiore a 750 milioni di euro e ricavi in Italia superiori a 5,5 milioni di euro. Questa misura mirava a garantire che le grandi piattaforme digitali, spesso con sedi legali in paesi a fiscalità agevolata, contribuissero equamente al sistema fiscale italiano.

La nuova proposta: 3% sui ricavi per tutti

Nel 2024, con la bozza della Legge di Bilancio 2025, la web tax è stata oggetto di una revisione significativa. La nuova proposta elimina le soglie di fatturato, estendendo l’applicazione della tassa a tutte le imprese che offrono servizi digitali in Italia, indipendentemente dalle loro dimensioni. Questo cambiamento implica che anche le piccole e medie imprese, le startup e le aziende in fase di crescita saranno soggette alla tassa del 3% sui ricavi derivanti da attività come la pubblicità online, la vendita di dati degli utenti e i servizi di intermediazione digitale.

Più tasse sulle criptovalute

Tra le misure previste dalla manovra ci sono inoltre l’innalzamento dal 26% al 42% della tassazione delle plusvalenze e dei proventi derivanti dalle operazioni in Bitcoin e altre cripto-attività, che porterà un maggior gettito di 16,7 milioni rispetto ai 27 milioni di euro attuali.

Dall’allargamento della platea della web tax, una volta escluse le soglie di fatturato, si prevedono maggiori entrate annue di 51,6 milioni di euro.

Le ragioni della web tax

L’obiettivo principale di questa modifica è creare un ambiente fiscale più equo e competitivo, riducendo il divario tra le aziende tradizionali e quelle digitali. Tuttavia, la proposta ha sollevato preoccupazioni tra gli esperti del settore, che temono che la tassa possa penalizzare le imprese più piccole e ostacolare l’innovazione e la crescita economica.

Perché può essere un rischio e per chi

La riforma della web tax introdotta dalla Legge di Bilancio 2025 potrebbe avere un impatto significativo su diverse categorie di aziende. Ecco chi potrebbe rischiare maggiormente:

  • Piccole e Medie Imprese (PMI): Le PMI, che rappresentano una fetta significativa dell’economia italiana, potrebbero trovarsi in difficoltà a causa dell’aumento della pressione fiscale. Poiché la tassa è calcolata sui ricavi e non sugli utili, le aziende con fatturati in crescita ma margini di profitto ridotti potrebbero affrontare un onere fiscale insostenibile.
  • Startup: Le startup, spesso in fase di avvio o crescita, potrebbero essere penalizzate dalla nuova imposta, che potrebbe ridurre i fondi disponibili per investimenti e sviluppo.

Perché il governo sta pensando di rivederla

Il governo italiano sta considerando un cambiamento nella riforma della web tax a causa delle proteste sollevate dall’estensione dell’imposta del 3% a tutte le imprese, che rischia di avere un impatto negativo sul mercato digitale nazionale. Il sottosegretario di Palazzo Chigi con delega all’Innovazione, tecnologia e transizione digitale, Alessio Butti, ha sottolineato la necessità di ulteriori riflessioni, mentre Il capogruppo di Forza Italia in Senato, Maurizio Gasparri, ha annunciato un possibile correttivo durante il processo parlamentare. L’obiettivo è evitare effetti negativi sull’industria digitale e considerare un approccio più mirato che tenga conto delle specifiche esigenze e dinamiche del mercato, potenzialmente attraverso misure correttive che saranno discusse in Parlamento.

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