Alla Cop29 di Baku, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2024, l’intelligenza artificiale fa il suo ingresso nelle politiche per il clima. Il 18 novembre è stata lanciata la “Dichiarazione per l’azione digitale verde”, firmata da oltre mille soggetti della comunità digitale e una novantina di governi. Lo scopo è sviluppare e diffondere gli strumenti digitali, in primis l’AI, nelle politiche climatiche. Intanto dall’Unione europea arrivano buone notizie: le emissioni nette di gas serra dell’Unione europea sono diminuite dell’’8,3% nel 2023 rispetto al 2022. Vediamo meglio come e perché in questo intervento di Paolo Braguzzi.
Ed ecco finalmente una buona notizia, non solo per gli inguaribili ottimisti, ma anche per chi ha perso la speranza e diffonde l’idea che gli sforzi che tante persone, imprese e istituzioni stanno facendo per contrastare il fenomeno del sovrariscaldamento siano inutili, oltre che per gli incorreggibili manipolatori che fingono ancora che il cambiamento climatico sia un’invenzione (il “climate denial”, ahinoi, qua e là sta riprendendo piede).
Calo emissioni UE: un passo avanti importante
La notizia è che il Report 2024 sui progressi dell’azione climatica della Commissione europea afferma che le emissioni nette di gas serra dell’Unione europea sono diminuite dell’8,3% nel 2023 rispetto al 2022. Il calo più importante degli ultimi decenni, con l’eccezione del 2020 per le ragioni che bene conosciamo. Certo, mi si dirà, ma di fatto i paesi dell’Unione Europea provocano un aumento delle emissioni altrove, cioè dove vengono prodotti i beni che consumano. Beh, visto il basso tasso di crescita che l’UE sta registrando, direi che è matematico che il saldo sia positivo. Quindi, anche se questo è lungi dall’essere sufficiente, il calo che è stato registrato nel 2023 è un passo avanti importante, che dà speranza sul fatto che la lotta al cambiamento climatico non sia una battaglia persa. Nello stesso tempo però, se crediamo nella scienza, è oramai scontato che ci dovremo adattare a cambiamenti catastrofici.
Rispetto a questo mi ha aperto gli occhi qualche giorno fa l’ultimo TED talk di Johan Rockstrom, lo scienziato svedese che ha sviluppato il modello dei Planetary Boundaries, che ci aiuta a capire per quali fattori ambientali il nostro pianeta sta superando il punto di non ritorno.
Il modo in cui Rockstrom inizia il suo talk fa venire i sudori freddi. Dice infatti:” Noi scienziati del sistema Terra e del clima stiamo diventando davvero nervosi. Il pianeta sta cambiando più velocemente di quanto ci aspettassimo. Nonostante anni di allarmi, ci stiamo rendendo conto che il pianeta si trova in realtà in una situazione in cui abbiamo sottovalutato i rischi. I cambiamenti improvvisi si stanno verificando in un modo che va ben oltre le aspettative realistiche della scienza“.
Cioè: le cose andavano male, abbiamo avvertito che la situazione stava sfuggendo di mano, la realtà è persino peggiore di come avevamo ipotizzato. Questo ha a che fare prima di tutto con l’aumento della temperatura, dove si sta registrando un’accelerazione di cui non è possibile conoscere la fine ma che ci può portare fuori da quello che Rockstrom definisce come “il corridoio della vita”, cioè quel range di temperature che ha permesso negli ultimi 10.000 anni lo sviluppo della nostra civilizzazione.
Fra le fonti di preoccupazione più gravi messe in evidenza dalla scienza, quella che pesa di più è l’accelerazione dell’aumento della temperatura di superficie degli oceani, che gli stessi scienziati ritengono inspiegabile. Questo aumento porta con sé gravi conseguenze: dall’acidificazione delle acque ai danni alle barriere coralline, con ciò che ne consegue per la catena alimentare delle specie marine; dalla migrazione di specie che alterano gli ecosistemi all’influenza sul clima e quindi alla generazione dei fenomeni estremi e all’aumento della loro virulenza.
Il rischio di spingere il pianeta fuori dal corridoio della vita è altissimo. In pratica siamo vicini ad un cosiddetto “tipping point”, superato il quale la Natura, che ha creato le condizioni per la sopravvivenza della nostra razza, capovolgerà queste condizioni a nostro sfavore.
Come ridurre le emissioni per salvare il pianeta
La speranza è quindi perduta? No: possiamo ridurre i rischi (del 50% secondo la scienza) “navigando” all’interno di quello che viene chiamato il “global carbon budget”, cioè la quantità di CO2 che la nostra atmosfera può “reggere” senza surriscaldarsi al punto da renderci la vita sempre più difficile. E questo comporta una fortissima riduzione delle emissioni, secondo Rocktrom del 7% ogni anno. Questo porterebbe comunque a superare il grado e mezzo di sovra riscaldamento per una decina di anni (purtroppo iniziando molto presto, potenzialmente anche dal 2030). Sarebbe però poi possibile ritornare progressivamente alla condizione precedente verso la fine del secolo, sempre che oltre che sulle emissioni ci si concentri sul mantenere il pianeta nella sua “safe zone” su tutti gli altri fattori ecologici, agendo velocemente e su grande scala. E questo è possibile se riusciremo a fare a meno dei combustibili fossili, se ci concentreremo su modelli circolari di business circolare, se promuoveremo modelli sostenibili di produzione del cibo, favoriti da abitudini alimentari più sane. Rockstrom conclude affermando che tutto questo potrà funzionare se in parallelo incrementeremo su grande scala la rigenerazione dei sistemi marini, del suolo, delle foreste e delle zone umide, dicendosi ottimista per il fatto che è crescente il numero di persone che, credendo nella scienza, si preoccupa davvero del problema e vuole contribuire alla soluzione.
Insomma, c’è molto da fare e comunque dovremo adattarci a situazioni che l’umanità non ha mai vissuto da quando è nata la nostra civiltà. Ma il calo delle emissioni nell’UE è un segnale che dimostra anche si possono ottenere risultati straordinari, ai quali le imprese possono contribuire in modo decisivo. Il che mi porta ad un appello alle imprese: è indispensabile aumentare la produzione di energia da fonti rinnovabili, il che accadrà se ci sarà un’ulteriore forte spinta alla domanda. Quindi, chi non lo ha ancora fatto, può dare il suo contributo auto-producendo energia da fonti rinnovabili o acquistandola, in particolare da chi investe in nuovi impianti. Chiude il cerchio il coinvolgimento della propria catena di fornitura, e quindi la creazione di vere e proprie filiere “fossile free”.
La cosa bella è che questo non costa nulla, anzi sia che si investa per l’auto-produzione, sia che si acquisti da terzi l’energia, si finisce con il risparmiare!