L'OSSERVATORIO

Come usare il Design Thinking per progetti più inclusivi: parla il guru Rob Hopkins

Nel design e nell’architettura il tema dell’inclusione non è nuovo, ma sta assumendo un concetto più ampio: significa tenere conto delle diversità sociali e non solo fisiche. Come? L’Osservatorio di Design Thinking for Business lo ha chiesto all’esperto Rob Hopkins. Che ha evidenziato il ruolo dell’immaginazione

Pubblicato il 13 Set 2021

Rob Hopkins e il design thinking inclusivo

Movimenti come Black Lives Matter e la rinnovata rivendicazione dei diritti della comunità LGBTQ+ sono solo alcune delle manifestazioni di una società che da tempo richiede la costruzione di un futuro più inclusivo.

Questo è ancor più importante se si pensa a come gestire le inevitabili ondate migratorie e le disparità che la pandemia ha messo ulteriormente in luce. 

In ambito di design e architettura il tema dell’inclusione, però, non è nuovo. Infatti, la comunità dei progettisti – architetti e designer – se la pone da tempo quando parla di “design for all” o “inclusion design”. Secondo il British Standards Institute (2005), la progettazione inclusiva è la progettazione di prodotti e/o servizi in modo da essere accessibili dal maggiore numero di persone, senza che ci sia la necessità di adattamenti speciali. Questa progettazione tiene conto delle diversità tra individui e ha l’obiettivo di permettere l’accesso a tutti, indipendente dai diversi livelli di capacità. Ma mentre in passato la progettazione inclusiva significava tener conto delle diversità in termini di abilità fisiche e motorie, adesso la complessità dei prodotti e servizi richiedono un concetto di inclusione più ampio: è necessario tenere conto delle diversità sociali e non solo fisiche. Quindi, promuovere l’uguaglianza dei diritti e accessibilità da parte di tutti, anche le cosiddette “minoranze” o le fasce più “deboli”.  

La comunità di Design Thinker dell’Osservatorio di Design Thinking for Business si è posta quindi la domanda: cosa significa progettare in modo inclusivo in tempi moderni e in che modo si declina in ambito di business?

Per rispondere alla domanda, l’Osservatorio DTB ha coinvolto Rob Hopkins, cofondatore di Transition Town Totnes e Transition Network, e autore di “The Transition Handbook”, “The Transition Companion”, “The Power of Just Doing Stuff, 21 Stories of Transition” e più recentemente, “From What Is to What If: unleashing the power of imagination to create the future we want”Secondo l’autore, noi abbiamo la capacità di effettuare un cambiamento per la costruzione di un futuro più inclusivo, ma stiamo fallendo perché abbiamo in gran parte permesso al nostro strumento più critico di languire: l’immaginazione umana. L’autore ha riportato quanto definito dal riformatore sociale John Dewey: l’immaginazione è la capacità di guardare le cose come se potessero essere diversamente. L’abilità, cioè, di chiedere “What If”?

L’immaginazione è fondamentale per l’empatia, per creare vite migliori, per immaginare e poi mettere in atto un futuro positivo. Eppure, l’immaginazione è anche in declino, afferma Hopkins, proprio nel momento in cui ne abbiamo più bisogno.

In questo senso, l’autore afferma essere fondamentale sviluppare il desiderio di immaginazione. Desiderio che il Design Thinking può accendere. Nello specifico, potrebbe ricoprire un ruolo nei quattro fattori presentati da Hopkins nella sua meridiana dell’immaginazione (“Imagination Sundial”):

·         Spazio: L’immaginazione è un privilegio e non tutti hanno lo spazio che gli permetta di “perdersi” nell’immaginare futuri migliori. Secondo Hopkins, l’immaginazione dovrebbe essere sostenuta da un’ambiente che permetta alla comunità di immaginare il futuro in modo collettivo. Un esempio è di creare un reddito minimo universale, che garantisca sicurezza che dia la serenità a tutti di poter sviluppare l’immaginazione. L’approccio empatico e sistematico del Design Thinking potrebbe giocare un ruolo fondamentale per creare delle infrastrutture sociali che forniscano questo spazio di tranquillità.

·         Luogo: Creare un luogo che riesca a darci una prospettiva che ci allontani dallo status quo, quindi che ci faccia assaggiare un’idea di futuro alternativo. In questo senso, il Design Thinking potrebbe rivelarsi fondamentale per sviluppare esperienze alternative, che quindi ci allontanino da quelle a cui siamo normalmente abituati e che ci ispiri a pensare a un mondo distante dal presente. Quindi cambiare la percezione del possibile.

·         Pratiche: Nel momento in cui l’immaginazione è un privilegio e bisogni più semplici devono ancora essere soddisfatti, bisogna adottare delle pratiche collettive che ci aiutino a immaginare. Il Design Thinking e i suoi tool potrebbero fornire pratiche importanti per aiutare le persone a porsi domande che avviino l’immaginazione. Basti pensare al pensiero abduttivo, sviluppato con l’approccio del Design Thinking, che aiuta nello sviluppo di buone domande “What if…” e “How might we”. 

·         Accordi: L’ultimo punto è costituito dalla creazione veri e propri accordi tra persone. L’organizzazione di iniziative a livello locale che invitino e valorizzino le persone a essere immaginative. Quindi, creare dei laboratori che invitino la comunità a immaginare un futuro insieme. Il Design Thinking, e più nello specifico la creative confidence potrebbero ricoprire un ruolo fondamentale per guidare la generazione di accordi che valorizzino e stimolino la creatività di tutti.

Quindi, per rispondere alla domanda sul “come progettare in modo inclusivo in tempi moderni?” la risposta risiede nell’esercizio del muscolo dell’immaginazione. E proprio in questo il Design Thinking può ricoprire il ruolo più importante, in quanto sviluppa la creatività e il pensiero abduttivo tramite l’utilizzo di strumenti e metodologie che forniscono le loro condizioni ideali.

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Cristina Tu Anh Pham
Cristina Tu Anh Pham

Dopo essersi laureata in Design e Management Engineering presso il Politecnico di Milano, ha lavorato come Service Designer in una società di consulenza. Attualmente è una studentessa PhD presso la School of Management del Politecnico di Milano e ricerca l’ambito di Design e Innovation Management.

Stefano Magistretti
Stefano Magistretti

Direttore Osservatorio Design Thinking for Business del Politecnico di Milano. È anche Senior Researcher presso LEADIN’Lab (LEAdership, Design e INnovazione)

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