La sostenibilità è sempre più al centro dell’economia e delle strategie aziendali e le imprese hanno sempre più bisogno di esperti e specialisti in materia: i Sustainability manager.
Finora a svolgere questo tipo di mansioni era spesso chi era impegnato sull’innovazione di prodotto o di processo, oppure chi lavorava agli aspetti qualitativi o al racconto della sostenibilità. L’idea che si sta affermando è che, adesso, chi si occupa di sostenibilità debba saper trasformare l’azienda stessa in quella direzione.
C’è un bisogno che si fa urgente, sia da parte delle grandi e medie imprese, sia dal mondo della finanza e della consulenza, di Sustainability manager per affrontare i cambiamenti portati dall’innovazione tecnologica ma anche dalle nuove sfide planetarie, per un mondo più Green. Secondo il rapporto GreenItaly, nel quinquennio 2016-2020 sono state oltre 440mila le aziende che hanno investito in tecnologie e prodotti Green, anche spinte dai vari Piani nazionali partiti con quello di Industria 4.0, appunto nel 2016.
Sustainability Makers e Sustainability manager
Si tratta di investimenti e progetti che devono però essere pianificati e governati da professionalità specifiche, tra cui proprio quella del responsabile della sostenibilità, in inglese Sustainability manager.
In Italia un riferimento importante è quello di Sustainability Makers, associazione che da oltre 15 anni rappresenta le professioni della sostenibilità nel nostro Paese. In questo arco di tempo il ruolo del Sustainability manager è cresciuto in termini di importanza: è stata superata la dimensione della pura rendicontazione, quando il responsabile della sostenibilità si occupava prima di tutto del bilancio di sostenibilità, delle attività liberali e dei rapporti dell’azienda con il territorio. Negli anni questi aspetti sono diventati solo alcune delle componenti delle sue attività che ora si intrecciano maggiormente con la pianificazione strategica.
Chi è e cosa fa il Sustainability manager
È uno specialista con il compito di trasformare un’azienda in una realtà sostenibile, sviluppando e facendo funzionare sistemi e soluzioni con un minor impatto sull’ambiente, più virtuosi dal punto di vista sociale e di Governance aziendale.
Gestisce l’impatto che un’azienda o un’organizzazione hanno dal punto di vista ambientale, economico e sociale (ESG, Environmental, Social, Governance). Deve in pratica garantire che tutte le attività siano sostenibili sotto ogni punto di vista. In questo quadro, ha funzioni sia preventive, di messa a punto di strategie che possano giovare al business in un medio o lungo termine, sia di promozione degli investimenti sostenibili e necessari da parte dell’azienda.
Si occupa della conformità alle normative ambientali, energetiche e di sicurezza, ma è impegnato anche nella ricerca di nuove politiche e iniziative Green e nel raggiungimento di obiettivi misurabili in performance virtuose.
Quattro funzioni per cambiare le cose
Il Sustainability manager è in pratica chiamato a svolgere innanzitutto quattro funzioni: generatore di conoscenze e consapevolezza, facilitatore, project manager, auditor.
Ma la sua funzione più importante è quella di challenger, un soggetto titolato a cambiare le carte in tavola, in maniera intelligente, usando il pensiero laterale e portando prospettive e punti di vista diversi. È chiamato a sfidare i comportamenti e le convinzioni consolidate, cambiare lo status quo e l’immobilismo, agendo da innovatore e outsider. Ormai circa il 40% dei grandi gruppi assume personale addetto a pratiche di sostenibilità. Mentre il 53% dei professionisti, assunti in grandi e medie imprese per questo ruolo, rivestono ruoli dirigenziali e molti di essi sono donne, secondo i dati della Luiss Business School.
La sostenibilità come professione
La domanda di Sustainability manager in molti casi inizia a essere superiore all’offerta di profili qualificati, tanti specialisti vengono reclutati e trovano lavoro ancora prima di laurearsi o di concludere il percorso formativo.
“Il Sustainability manager è in una posizione analoga a quella di chi elabora il piano strategico”, rileva Matteo Caroli, Associate dean per l’Internazionalizzazione, direttore BU Applied research e Osservatori, alla Luiss Business School. Che osserva: “C’è un grande stress sulla misurazione dell’impatto del suo operato. C’è una diretta correlazione tra il livello di maturità professionale e le intensità delle interazioni, soprattutto con l’area di comunicazione, anche con l’obiettivo di scongiurare l’effetto Green washing. Inoltre, questa figura estende la sostenibilità anche alle politiche del personale”.
Colossi planetari come Microsoft, Deloitte, Unilever, Danone, ad esempio, prevedono già all’interno del proprio board manageriale un responsabile della sostenibilità, e alle nostre latitudini anche il gruppo Digital360, a cui fa capo anche EconomyUp, ha di recente integrato questa figura specializzata.
Digital360, primo bilancio di sostenibilità: l’innovazione digitale per lo sviluppo sostenibile
Chi coordina questo settore si trova alle dirette dipendenze dei vertici aziendali, riportando in un caso su quattro al direttore generale e nel 22% dei casi direttamente al Ceo, come riporta il volume ‘La sostenibilità come professione’, pubblicato da Egea, la casa editrice dell’Università Bocconi.
Le tre missioni del Sustainability manager
Secondo i risultati della ricerca ‘L’evoluzione organizzativa della sostenibilità nelle aziende italiane’, realizzata dalla Luiss Business School, la missione del Sustainability manager comprende tre grandi temi. Il primo parte dal comprendere l’evoluzione delle questioni ESG e il loro impatto sulle dinamiche dei mercati dove il sistema opera, oltre che sui rischi e sulle prospettive di redditività dei suoi business.
In secondo luogo, deve guidare l’evoluzione del sistema aziendale verso la piena sostenibilità, cioè una gestione che crea in modo integrato ed equilibrato valore economico, sociale e ambientale.
Terzo, deve far evolvere la cultura aziendale in modo che i principi della gestione sostenibile e dell’economia circolare siano diffusi e concretamente condivisi con tutta l’impresa, e tutto il personale dell’impresa. Deve quindi ‘diffondere’ e fare sostenibilità, in ogni ambito e a ogni livello.
Secondo l’analisi della Luiss Business School, tra i risultati più importanti riscontrati nelle 59 aziende censite, l’80% dei Sustainability manager ha prodotto un aumento della cultura interna sulla sostenibilità.
Le competenze del Sustainability manager
Il Sustainability manager deve essere un analista della sostenibilità, cioè un esperto in grado di aiutare le imprese a valutare – e poi implementare sul campo – le innovazioni orientate alla sostenibilità o le pratiche da utilizzare più adatte, vantaggiose, compatibili e strategiche.
Questo specialista riunisce un mix di competenze multi-disciplinari, necessarie per gestire una transizione industriale e anche epocale, che vanno dalle scienze sociali, del management, della finanza e del diritto, a conoscenze nelle tecnologie più evolute, in particolare nelle aree dell’energia, dell’ambiente, della chimica e della mobilità.
“Per avere un approccio olistico alla trasformazione sostenibile e Green non sono sufficienti le sole competenze tecnologiche, né quelle di management, economia o finanza sostenibile. Serve un manager multi-disciplinare e che sappia parlare i vari linguaggi”, fanno notare gli addetti ai lavori.
Nuove capacità e obiettivi richiedono nuove conoscenze
Nuove capacità per nuove competenze, in cui spesso non mancano conoscenze di data analytics, etica aziendale, inclusione sociale e organizzativa. È una figura specializzata che può trovare impiego nel settore privato, pubblico, amministrativo e governativo: anche la sua retribuzione risulta quindi in proporzione all’importanza che riveste il suo ruolo.
In ogni caso, secondo le stime più diffuse, il suo stipendio medio può ammontare a circa 80mila euro annui lordi, ma quando il livello di esperienza è più elevato può portare la retribuzione, in alcune aziende, anche a circa 120mila euro annui lordi.
Il master per Sustainability manager della Bocconi e Politecnico di Milano
La domanda di questi specialisti sta diventando così forte da parte delle imprese che da questo anno accademico 2022-2023 l’Università Bocconi e il Politecnico di Milano hanno avviato in partnership il Master of Science in Trasformative sustainability, un nuovo corso di laurea congiunto. “È al momento un unicum nel panorama della formazione universitaria in Europa”, spiegano gli organizzatori, “perché punta a formare figure professionali con una doppia caratteristica: manager-tecnologi con una prospettiva innovativa sulla sostenibilità.
Si tratta del secondo corso di laurea magistrale realizzato in collaborazione tra Bocconi e PoliMi, dopo il Master of science in Cyber risk strategy and governance avviato nel 2019, per una sinergia tra le due Università che si realizza anche nella partnership tra l’acceleratore B4i (Bocconi for Innovation) e l’acceleratore PoliHub del Politecnico milanese per lo sviluppo dell’ecosistema delle startup.