Se si guarda alla top ten delle aziende più capitalizzate a Wall Street, non ci possono essere dubbi: i capitali vanno verso tecnologie e digitale. È la manifestazione più evidente della quarta rivoluzione industriale: sta portando la disruption in tutte le industry da qualche anno ed ha ricevuto un’imprevista spinta dalla pandemia.
Le aziende che hanno meglio compreso, cavalcato e gestito il cambiamento vedono crescere il loro valore e le quote di mercato. “Ma scegliere quelle giuste su cui investire non è semplice, come potrebbe apparire a prima vista”, osserva Andrea Rangone, docente di Digital Business Innovation ed Entrepreneurship al Politecnico di Milano, che con Marco Giorgino, docente di Financial Markets & Institutions and Financial Risk Management, cura un nuovo corso della School of Management del Politecnico di Milano, che comincia in ottobre, dedicato proprio a chi vuole investire sull’innovazione con conoscenza, consapevolezza e competenza: “Digital 4 Investor, capire l’innovazione per investire nelle aziende tecnologiche”. Trenta ore in formato digital per avere in tre mesi una visione della trasformazione digitale, classificare i business model e fornire una panoramica dei metodi di valutazione. Tutti i dettagli saranno presentati direttamente dai due curatori lunedì 4 ottobre (clicca qui per partecipare alla presentazione)
Dicevamo le capitalizzazioni al New York Stock Exchange: a fine settembre 2021 sono solo due le compagnie che non nascono tech: Berkshire Hathaway, la holding del guru Warren Buffet, e Visa, il circuito di carte di credito che sta velocemente manovrando verso i pagamenti digitali. Dominano Apple, Microsoft, Alphabet (Google) Amazon, Facebook, Tesla, Taiwan Semiconductor e Nvidia. Le grandi banche, i colossi dell’energia, i leader dell’auto o del largo consumo per il momento passano in secondo piano nell’orizzonte degli investitori. Che cosa sta succedendo? Ne abbiamo parlato con Rangone.
“Siamo nel pieno della quarta rivoluzione industriale. E sono tanti i segnali della trasformazione in corso. Basta guardarsi attorno per rendersi conto dell’accelerazione della digital disruption. Sul fronte finanziario il maggiore numero delle Ipo sui mercati mondiali sono di società tecnologiche, circa la metà degli investimenti globali in startup vanno a nuove imprese tech e buona parte degli unicorni sono tech company. Le società basate sulle tecnologie sono al centro degli investimenti, in tutto il mondo”.
Dovrebbe essere quindi facile investire. Che cosa c’è da studiare e da imparare?
Non è facile come potrebbe sembrare, visto che il mercato della digital transformation è in forte crescita (quasi 1000 miliardi di dollari nel 2020, che diventeranno 2744 nel 2026, secondo un report di Mordor Intelligence, scaleup indiana di market intelligence fondata nel 2014, ndr.). Ma quello delle tecnologie e della trasformazione digitale è un mondo sempre più complicato per diverse ragioni.
Quali sono i fattori di questa complessità?
Primo: non stiamo parlando di una singola industry, per cui ti metti a studiare ad analizzare la moda piuttosto che l’auto. Questa è una rivoluzione trasversale, senza confini che, oltretutto, rimescola le carte in tavola spazzando i confini tradizionali all’interno dei quali sono stati abituati a muoversi gli imprenditori, i manager ma anche gli investitori. Come se non bastasse, ci sono altre variabili che contribuiscono ad accrescere la complessità.
Quali sono le altre variabili che rendono difficili le scelte degli investitori?
Cominciamo dalle tecnologie: blockchain, internet of Things, intelligenza artificiale, realtà aumentata. Abbiamo ormai diverse tecnologie esponenziali con un numero altissimo di ambiti applicativi. Districarsi non è facile, quindi. Perché poi bisogna calare questa dimensione tecnologica sul mercato. La rivoluzione sta portando a una trasformazione dei modelli di business. Bisogna conoscere e comprendere quelli nuovi, proposti dalle startup ma non solo, per avere una valutazione attendibile delle aziende.
In effetti, così il lavoro dell’investitore diventa molto più duro…
Con un numero ampio di domini tecnologici che portano a tantissimi ambiti applicativi e con modelli di business mai prima sperimentati fare le valutazioni necessarie per arrivare a un investimento richiede decisamente nuove conoscenze.
Che cosa bisogna studiare? Quali saranno le “materie” del corso del Mip?
Tre sono i moduli fondamentali del programma e sono dedicati alle tre dimensioni della trasformazione digitale che abbiamo già visto come fattori di complessità: le tecnologie, i business model e i criteri di valutazione che i precedenti due elementi stanno determinando.
A chi è dedicato il nuovo corso?
A chiunque abbia interesse a investire nelle aziende innovative e protagoniste della digital transformation. Penso a chi ha un interesse professionale, come gli analisti dei fondi, di un acceleratore o di un family office come anche chi nelle aziende si occupa di open innvotion e corporate venture capital. Ma penso anche a chi investe o vuole investire a titolo personale all’AIM o su una piattaforma di equity crowdfunding come anche al Nasdaq e vuole farlo con consapevolezza e successo. Qui non si parla più solo di startup ma di imprese che stanno guidando la quarta rivoluzione industriale. E quindi, in qualche modo, stiamo parlando di investire sul nostro futuro.