Oggi non solo nuovi prodotti, ma intere linee di prodotto vengono create o distrutte nel giro di pochi mesi. In un contesto in rapido cambiamento, caratterizzato da un aumento dei costi interni di ricerca e sviluppo e da una contemporanea riduzione rispetto al passato del ciclo di vita dei prodotti, è necessario ripensare il tradizionale processo di innovazione adottato dalle aziende.
È chiaro che aziende tradizionali e consolidate, indipendentemente dalle loro dimensioni, non possono fare leva sugli asset che caratterizzano invece le startup – velocità, focus, flessibilità – diventati oggi condizione necessaria sul mercato per rispondere all’innovazione disruptive. Esse devono, quindi, considerare metodi e strategie alternativi che le mettano nelle condizioni di giocare la propria partita in modo diverso.
Infatti, organizzazione e cultura aziendale devono supportare il processo di trasformazione digitale attraverso strutture e strumenti che promuovano velocità, rischio e sperimentazione in coerenza con la vision e la strategia dell’azienda. D’altro canto, molte aziende tradizionali fanno fatica a identificare le opportunità generate dall’innovazione disruptive e fanno ancora più fatica a catturare il valore generato da queste innovazioni, poiché tale fenomeno modifica anche la stessa definizione di cosa ha veramente valore.
Una prima risposta e opzione è rappresentata dall’approccio open innovation: il termine coniato da Henry Chesbrough, padre dell’open innovation, fa riferimento al paradigma che presuppone che le imprese possono e devono usare tutte le possibili fonti di idee innovative – siano esse interne o esterne – e sfruttare tutti i possibili percorsi per portarle sul mercato. Si tratta, in primo luogo, di “aprire i confini” del dipartimento ricerca e sviluppo, non solo agli spunti delle altre funzioni aziendali, ma anche e soprattutto agli stimoli provenienti al di fuori della propria realtà aziendale.
Questa è una sfida che richiede di abbandonare gli approcci tradizionali basati sull’osservazione del mercato, lo sviluppo di business case, la generazione di nuove soluzioni con il contributo dei fornitori tradizionali, per valorizzare invece le competenze e capacità nascoste delle proprie persone e per aprirsi al confronto con attori esterni quali startup, clienti, competitor, fornitori, università e centri di ricerca, consulenti in grado di fornire nuove visioni non solo tecnologiche ma anche di business. Si tratta, inoltre, di far giungere sul mercato le innovazioni sviluppate internamente attraverso forme organizzative e/o modelli di business non convenzionali, slegandole di fatto dai vincoli di un’impresa tradizionale.
Affinché le iniziative di open innovation possano gemmare e trarre ossigeno dall’ecosistema di business dell’impresa, è indispensabile che le radici culturali dell’impresa stessa siano pronte a «incubare» e far crescere l’innovazione con spirito imprenditoriale e approccio sperimentale in tutte le fasi del processo di innovazione, dalla generazione di idee, alla definizione e sviluppo di un modello di business sostenibile, alla prototipizzazione e test fino alla raccolta di feedback dai clienti a seguito del lancio sul mercato.
Diverse possono essere le strategie di adozione del paradigma open innovation e le azioni che le aziende consolidate possono implementare per potersi avvicinare a tale modello, tuttavia non è semplice per le aziende individuare le iniziative da mettere in atto, che dipendono dallo stato di maturità dell’azienda, dall’obiettivo che si vuole perseguire e dalle fasi del processo di innovazione su cui si vuole intervenire.
Per esempio, se si vuole diffondere la cultura e la conoscenza dell’innovazione e dell’imprenditorialità, e al tempo stesso individuare le persone con maggiore sensibilità alla trasformazione digitale e maggiore creatività, che possano agire come pivot di innovazione all’interno dell’organizzazione, è necessario eseguire un assessment sulle capacità digitali, creative ed imprenditoriali dei propri dipendenti, mentre se si è alla ricerca estensiva di idee e progetti innovativi provenienti da “soggetti esterni” (startup, sviluppatori, studenti, fornitori, ecc.), è possibile farlo attraverso l’organizzazione di call4ideas, call4startup, hackathon, student contest.
Per una ricerca più mirata, non solo di idee e progettualità, ma anche di potenziali partner da coinvolgere in attività di co-progettazione e co-sperimentazione di prodotti o servizi innovativi, si devono avviare attività di scouting e di costruzione di un vero e proprio ecosistema di partner. Se un’azienda vuole aprire e aumentare le sue opzioni strategiche, senza “stressare” ulteriormente il proprio dipartimento ricerca e sviluppo, e al tempo stesso osservare da vicino trend di innovazione tecnologica e segnali di cambiamento nella propria industry, può mettere in atto iniziative di corporate venturing, sia tramite investimenti diretti in startup sia creando un fondo di corporate venture capital, oppure lanciando un proprio acceleratore o incubatore.
*Andrea Cavallaro è Senior Advisor degli Osservatori Digital Innovation della School of Business del Politecnico di Milano.
**Andrea Gaschi è Associate Partner di P4I – Partners4Innovation.
Entrambi sono consulenti specializzati in Strategy & Open Innovation.