Un mediatore culturale, è la bella definizione proposta da Carlotta Dainese, Innovation Manager di Siram (gruppo veolia). Evoca forse altri scenari e altri problemi reali per il nostro Paese, ma aiuta a comprendere meglio il lavoro e il valore dei mentor, per le startup e per le aziende. Per questo è molto interessante l’idea del Polihub di lanciare in partnership con il MIP un corso per diventare “esperti” di nuove imprese innovative per poi intraprendere il percorso di mentor, appunto.
CHE COS’È UN MENTORE
Ma andiamo in ordine, intendendoci prima sulle parole. Il mentore è una figura mitica, che nasce di fatto con la letteratura, visto che Mentore era un personaggio dell’Odissea, l’amico a cui Ulisse affida il figlio Telemaco prima di intraprendere il suo avventuroso viaggio. Il mentore è di solito, in ogni narrazione, la figura più importante dopo l’Eroe. Skywalker e il Cavaliere Jedi (Starwars), Frodo e Gandalf (Il signore degli anelli) e si potrebbe andare avanti a lungo. Il ruolo è ben definito: da consigli, spinge all’azione, porta doni utili per affrontare l’avventura dell’Eroe. Proprio come si fa con le startup che sono organismi inesperti ma con tanta forza, spesso incerti ma capaci di fare cose impensabili. Con un angelo custode al fianco è più probabile che riescano a farle o a farsi meno male.
CHE COS’È UN MEDIATORE CULTURALE
“Il mediatore culturale è un agente bilingue che media tra partecipanti monolingue ad una conversazione appartenenti a due comunità linguistiche differenti”, ci ricorda Wikipedia. “È informato su entrambe le culture, sia quella dei nativi sia quella del ricercatore anche se è più vicino ad una delle due”. In effetti aziende e startup hanno codici linguistici e comportamentali profondamente diversi e per questo spesso non ci capiscono e i tentativi di relazioni risultano spesso deludenti e frustranti per entrambi le parti.
Nella versione contemporanea e imprenditoriale il mentor diventa quindi una figura chiave, per lo sviluppo di una startup ma, anche, per l’innovazione delle aziende, che fanno uno sforzo enorme per aprirsi all’innovazione e quando l’hanno fatto si trovano di fronte a una fatica ancora più improba: accoglierla e metabolizzarla. Come ammette il manager illuminato di una corporate europea: “Le grandi aziende funzionano su processi standardizzati, gestire le eccezioni è molto difficile”. E cos’altro è l’innovazione se non una sequenza di eccezioni spesso sostenute e portate dalle startup? Eccezioni che bisogna sapere gestire.
IL PERCORSO PER DIVENTARE MENTOR DI STARTUP
«Abbiamo ritenuto utile attivare un percorso che porti dalla conoscenza dell’ecosistema delle startup alla capacità di seguirle e assisterle nello sviluppo del loro business», spiega Stefano Mainetti, CEO del Polihub, che ricorda come il “percorso” preveda tre tappe: un corso di Entrepreneurship Innovation & Startup, tre giorni per entrare nell’ecosistema e definire le linee guida; un Entrepreneurship Lab, 8 settimana per mettere in pratica con una startup quel che si è appreso in aula; e poi l’Internal Mentor Journey, 4 mesi al fianco di una startup incubata al Polihub. Dopo si deciderà se continuerà o meno nella missione, con la forma e le regole definite con l’impresa. Si comincia il 10 maggio e Stefano Mizio, Head of Startup Acceleration Programs & China Projects, è pronto a rispondere ad ogni domanda.
«Non ci si può improvvisare mentor di startup, anche quando si arriva da una brillante esperienza manageriale o professionale», conclude Mainetti. «Serve un metodo, per sviluppare competenze utili sia alle startup sia alle aziende che cercano figure capaci di gestire relazioni durature con le startup». Non è quindi quello del mentor un lavoro solo per manager che si ritrovano con molto tempo libero. C’è una crescete offerta di innovazione e una emergente domanda di innovazione. Cercasi mediatori culturali urgentemente.