Bisogna far piovere, perché l’innovazione accada. L’immagine della foresta pluviale accompagna da ormai quasi 20 anni gli imprenditori che vogliono fare la differenza (il libro Rainforest di Victor Hwang e Greg Horowitz fu pubblicato all’inizio del 2012). Ma che cosa è che provoca la pioggia? La coalescenza: piccole gocce d’acqua si uniscono e, aumentando di peso, precipitano verso il basso. Per fare rainmaking serve quindi la Coalescence Innovation, è la proposta di Andrea Solimene e Giovanni Tufani, founder di Seedble.
Seedble è un business accelerator, una PMI innovativa che lavora con le aziende per individuarne i bisogni e disegnare sulla base di essi i percorsi e le soluzioni di innovazione più adatti ed efficaci. Normale quindi che sia nata la domanda: ma che cosa vuol dire fare innovazione oggi, dopo mezzo secolo di Internet e con una pandemia globale in corso? Per Seedble, significa andare oltre il binomio tecnologia-innovazione per collocare l’innovazione nel mondo e nella società. Peter Diamandis, cofondatore della Singularity University, la scuola delle tecnologie esponenziali, sprona così l’imprenditore del futuro: “La tua missione è trovare un prodotto o servizio che possa impattare positivamente le vite di 1 miliardo di persone perché questo è il gioco che dobbiamo giocare oggi”.
La sfida, quindi, si fa sempre più impegnativa. D’altro canto l’innovazione non è sempre la stessa, non può essere sempre la stessa e con il tempo cambia anche i suoi paradigmi: la Coalescence Innovation è un nuovo paradigma che parte dal metodo dell’Open Innovation e integra il purpose della Social Innovation. Ma vediamo più nel dettaglio che cos’è la coalescenza e perché dovrebbe diventare un concetto sempre più familiare per imprenditori e manager.
Che cos’è la coalescenza, dalla fisica all’urbanistica
Coalescenza è un concetto che dalla fisica è stato poi adottato in urbanistica. In chimica si usa per descrivere il fenomeno di aggregazione di gocce o bollicine che così vanno a formare entità di dimensioni superiori. Un dettaglio è importante: la somma delle parti è uguale alla somma dei loro volumi ma l’area della superficie è minore. Non si tratta, quindi, di fusione, ma piuttosto di integrazione, compensazione, contaminazione. Direbbe un fisico che la coalescenza è un fenomeno spontaneo perché non richiede un apporto di energia, quindi potremmo dire noi che è un processo assolutamente sostenibile. L’esempio più frequente è quello della pioggia e non a caso nel mondo dell’innovazione si parla di rainmaking e rainmaker quando c’è una situazione o una persona che aiutano a generare idee innovative dall’incontro di soggetti diversi.
La coalescenza spinge entità diverse ad aggregarsi e contaminarsi per fare qualcosa di più grande. In urbanistica, infatti, il concetto viene usato per descrivere i fenomeni complessi in cui interi nuclei urbani si formano attorno a centri di interesse che ne attirano progressivamente degli altri nell’ambito di un meccanismo di espansione incrementale che finisce per formare un ecosistema. L’innovazione adesso è fenomeno complesso, sempre più complesso, che va ben oltre la dimensione tecnologica. L’attenzione adesso è sul futuro. “Nascono progetti per immaginare la città del futuro, si esplorano nuovi modi di lavorare che vanno oltre la classica dimensione digitale grazie alle tecnologie immersive, si moltiplicano le iniziative a impatto sociale non solo di facciata, ma con interventi lungo l’intera catena del valore di un’organizzazione, si promuovono comportamenti più green e attenzione verso stili di vita sani e sostenibili”, ricorda Andrea Solimene che con Giovanni Tufani ha sviluppato le riflessioni sulla Coalescence Innovation in un white paper e in un sito dedicato. “ Tutte cose già discusse 10 anni fa se proprio vogliamo essere sinceri. Quel che conta adesso è l’azione. La ricerca di nuove soluzioni”.
Che cos’è la Coalescence Innovation
Nella ricerca di nuove soluzioni, che devono essere risposte alle richieste che arrivano dalle organizzazioni sovranazionali (dall’Onu all’Unione Europea) e dalle emergenze che ci tocca affrontare (da quella climatica a quella sanitaria), i modelli finora utilizzati mostrano la corda. E soprattutto non appaiono risolutive per quella che è la principale equazione che oggi aziende e governi si trovano a dover risolvere: che cosa e come devo fare adesso per garantire un futuro migliore in un ambiente migliore e con una società più giusta? Come posso coniugare sostenibilità economica con sostenibilità ambientale e sociale?
La Coalescence Innovation è una risposta a questo bisogno di azione per il futuro. Ecco come la definisce Solimene all’interno del White Paper: “La Coalescence Innovation è un approccio all’innovazione che esalta la contaminazione e la collaborazione tra due o più change agent stimolando la generazione di opportunità non raggiungibili singolarmente, con la conseguente attivazione incrementale di impatti positivi sui contesti sociali al fine di creare ecosistemi virtuosi”.
L’innovazione non si fa mai da soli: la tendenza è sempre più diffusa e sta contagiando intere Industry, dalla finanza (dove open banking e open Insurance definiscono nuovi parametri di business) alla mobilità (la smart mobility è per definizione possibile solo in un ambito di coopetition tra aziende e tra aziende e pubbliche amministrazioni).
L’innovazione non può essere più solo di business, dopo la pandemia e di fronte alle sfide che le organizzazioni internazionali pongono a governi e imprese. Ci sono gli Obiettivi di sviluppo sostenibile ONU, c’è l’Agenda EU 2030 EU e adesso c’è il Recovery Plan che impone scadenze ravvicinate e mette quindi urgenza a chi deve fare i piani d’azione per i il prossimo quinquennio.
I tre fattori strategici della Coalescence Innovation
Che cosa serve per fare Coalescence Innovation? Tre sono i fattori chiave.
Innanzitutto servono gli agenti del cambiamento, i change agent, cioè persone o gruppi di persone in grado di stimolare o di far accadere i cambiamenti, ispirando e influenzando gli altri. Sono concentrati sull’innovazione ma anche sulle connessioni e contaminandosi attivano la coalescence innovation.
I change agent operano per avere un impatto positivo, cercano l’Incremental Impact: un graduale e progressivo miglioramento di prodotti, servizi, processi e modelli di business esistenti che segue schemi aperti e collaborativi con il fine di creare nuovo valore per tutti.
Il fine ultimo della Coalescence Innovation è, però, la creazione di ecosistemi virtuosi in grado di impattare positivamente sul futuro del nostro pianeta attraverso la creazione di nuove forme di organizzazione e di nuovi modelli di business. Ogni ecosistema vive più stadi, quello iniziale che rappresenta la prima forma di aggregazione, quello avanzato che scarica a terra le prime innovazioni e attrae altri innovatori, e quello evoluto che riesce a generare cambiamenti anche in più contesti sociali.
Avvertimento per le aziende: per fare Coalescence Innovation non basta “collegarsi a realtà esterne e integrarle con l’innovazione interna, ma bisogna concepire questa apertura come un’azione più ampia e finalizzata alla creazione di nuovi ecosistemi in grado di contribuire positivamente a un futuro più sostenibile”, dice Solimene. “L’innovazione non deve essere esclusivamente appannaggio delle aziende, delle università o delle startup, ma piuttosto deve essere un processo inclusivo e partecipativo che coinvolge tutti gli attori, rendendoli protagonisti del cambiamento che agiscono come entità unica, non come singoli”.
L’Open Innovation che si incontra con la Social Innovation
Per arrivare alla Coalescence Innovation bisogna andare oltre la tecnologia, acquisire una consapevolezza forte: l’innovazione non è solo un meccanismo economico o un processo tecnico, ma è soprattutto un fenomeno sociale. Per questo motivo la Social Innovation è un buon punto di partenza. Ma l’innovazione sociale, insieme a tanti vantaggi, ha anche qualche limite. Se è vero che è focalizzata sui bisogni sociali e sul futuro e che è alimentata da attori spesso visionari e molto determinati, è anche vero che di solito è frammentata, poco scalabile, basata su risorse scarse.
A questi limiti si può rimediare prendendo il meglio dell’Open Innovation: il suo metodo. Un metodo di lavoro collaborativo che genera nuove idee e opportunità grazie all’apertura dei confini organizzativi, ma che è concentrato solo sul business.
Quindi la Social Innovation ha bisogno dell’Open Innovation per consolidare la sua azione e l’Open Innovation trova nella Social Innovation uno scopo più alto: costruire il futuro, creare sì business ma con un alto valore anche per la comunità. Ecco la Coalescence Innovation, l’incontro di elementi diversi che fa precipitare al suolo il cambiamento di cui tutti sentiamo il bisogno.
“Non è la prima volta che concetti quali contaminazione e cooperazione si sostituiscono alla competizione come formula per attuare le cose”, conclude Solimene. “La coalescenza applicata all’innovazione vuole guidare tutti gli attori, a partire dal mondo accademico, verso un approccio sistemico con l’intento di far convergere le numerose iniziative di innovazione, spesso frammentate, verso un unico obiettivo: costruire insieme un futuro migliore. I risultati li vedremo nel lungo termine, ma bisogna, intanto, iniziare ad agire con questo spirito perché un piano B per immaginarsi il futuro non c’è.”