Guardando fuori dalla finestra probabilmente vedrete un tipico panorama urbano fatto di cemento, acciaio e vetro. Questi tre materiali, ormai onnipresenti nelle città di tutto il mondo, sono prodotti da industrie che fanno un elevato uso di energia e sono responsabili di una corposa fetta delle emissioni di gas serra nell’atmosfera. In particolare le centrali elettriche a combustibile fossile e l’industria pesante, come quella siderurgica, petrolchimica e cementiera, sono tra i principali responsabili delle emissioni di CO2 e insieme raggiungono il 52% delle emissioni a livello mondiale.
Queste attività infatti hanno grandi difficoltà ad attuare processi di decarbonizzazione ed è facile capire come mai quindi siano le più interessate alle nuove tecnologie di cattura dell’anidride carbonica. Questo concetto esiste da diverso tempo, ma solo negli ultimi anni ha iniziato a conoscere un’importante crescita. Per raggiungere l’obiettivo della neutralità carbonica prevista per il 2050 (secondo gli accordi di Parigi) secondo molti infatti ridurre le emissioni prodotte puntando sulle fonti rinnovabili, non sarà sufficiente aumentare l’efficienza energetica, allungare la vita dei prodotti e potenziare recupero, riciclo e riuso dei materiali.
Cos’è la C02 Capture, perché serve e quali tipologie esistono
Per poter evitare di superare la soglia-limite di 1,5° di riscaldamento globale entro il 2030 bisognerà puntare anche su soluzioni che sottraggano diossido di carbonio dall’atmosfera. In questo senso si parla di tecnologie di cattura della CO2, anche dette CCUS (Carbon Capture Utilization and Storage/Sequestration) o Co2 Capture. Si tratta di una variegata serie di processi che mirano a trattenere/recuperare l’anidride carbonica per poi immagazzinarla in qualche luogo (solitamente sotto terra) o riutilizzarla.
Le strategie possibili sono diverse e possono entrare in gioco al momento della produzione della CO2, quindi a livello industriale, oppure lavorare su quanto già presente nell’atmosfera, ossia a livello naturale. Nel primo caso le varie tecnologie si dividono tra pre-combustione (gassificazione), post-combustione (cattura al termine del ciclo) e ossi-combustione (aumento della concentrazione di anidride carbonica per facilitarne la cattura).
A livello naturale invece si possono attuare processi di rimboschimento – ancora uno dei sistemi più efficienti ed economici – oppure operare direttamente sull’aria. Questa viene filtrata con appositi processi di scrubbing o con filtri ad assorbimento fisico o chimico (chiamati nel loro insieme DAC, Direct Air Capture).
C02 Capture: potenzialità e limiti
La Co2 Capture può quindi essere un’arma importante nella lotta al cambiamento climatico, ma le tecnologie per ridurre la quantità di CO2 nell’atmosfera sono ancora troppo costose e poco efficienti perciò la CCUS rappresenta un terreno fertile per startup che cercano soluzioni innovative. L’obiettivo comune di tutti i progetti è trasformare uno scarto dannoso in una risorsa, creando magari occasioni di crescita economica e sostenibilità ambientale, anche in ottica di economia circolare.
Che si tratti di strappare l’anidride carbonica dall’aria, dagli oceani o dalle ciminiere di qualche industria, sono in molti a riporre speranze e investimenti sostanziosi in progetti innovativi. Per fare qualche esempio, Elon Musk ha appena messo in palio 100 milioni di dollari dalle proprie tasche come premio per chi dovesse trovare un’idea rivoluzionaria per la cattura della CO2, mentre Bill Gates ha sostenuto, insieme a Shopify, la startup Carbon Engineering. Ovviamente sono della partita anche grandi aziende come BP, Shell ed ENI, che si affiancano ad alcune iniziative portate avanti a livello governativo da Paesi come Norvegia e Australia.
Tuttavia nonostante i fondi raccolti da questi progetti siano più che triplicati negli ultimi 4 anni, il totale è ancora lontano da cifre rilevanti a livello globale. Secondo un report di PitchBook, infatti, nel 2020 l’intero settore avrebbe racimolato “solo” 336,5 milioni di dollari. Il settore infatti si presenta come poco appetibile per gli investitori dal momento che richiede grosse cifre per lavorare su un obiettivo di medio-lungo periodo reso ancora più problematico dal clima di incertezza politica attorno al tema del riscaldamento globale.
Ulteriore scetticismo deriva poi da alcuni progetti che si sono rivelati poco o per nulla profittevoli, oppure semplicemente poco pratici. Basti pensare alla grande centrale di Petra Nova in Texas il cui scopo era pompare l’anidride carbonica nel sottosuolo per stoccare il gas sottoterra e allo stesso tempo estrarre petrolio. Dopo essere stata lanciata da Trump come la soluzione per avere “energia pulita”, la centrale verrà chiusa a giugno di quest’anno poiché, complice il calo del prezzo del greggio, catturare la CO2 costa più del petrolio che si riesce a estrarre.
Co2 Capture: esempi di startup nel mondo
La CO2 capture infatti non è un’attività molto semplice, basti pensare che di anidride carbonica, in natura, ce n’è pochissima: solo lo 0,04% dell’aria. Questa percentuale è sufficientemente alta da destare preoccupazione a livello climatico – basti pensare che se raggiungesse il 2% avremmo difficoltà a respirare – ma rimane molto diluita per essere estratta in quantità: per ottenere un litro di diossido di carbonio infatti è necessario setacciare ben 2.500 litri di aria. Nonostante ciò Carbon Engineering e Climeworks sono due tra le realtà più importanti che stanno cercando di realizzare un sistema per catturare l’anidride carbonica convogliando l’aria attraverso enormi ventilatori per filtrarla e poi stoccare il gas sottoterra.
Una prospettiva diversa è rappresentata dalla cattura direttamente nei punti di maggiore emissione, ossia nelle industrie pesanti. Questo è l’obiettivo di altre due startup, Carbon Clean e Liquid Wind, che recentemente hanno unito le forze per raccogliere la CO2 dalle ciminiere e miscelarla con l’idrogeno per ottenere metanolo, un carburante liquido alternativo. Grazie all’elevata concentrazione del gas, questa strategia punta a costare circa 30$ per tonnellata di diossido di carbonio, una cifra molto inferiore alle svariate centinaia di dollari necessari per la stessa quantità estratta dall’atmosfera.
Tuttavia secondo Claes Fredriksson, CEO di Liquid Wind, per poter competere con i carburanti tradizionali il metanolo dovrebbe costare 20-30$ a tonnellata di CO2. A sostenere il progetto, particolarmente attraente per tutte quelle realtà per cui non è disponibile un sostegno statale per la decarbonizzazione, ci sono Chevron, Equinor Technology Ventures, Siemens Energy e Uniper. Una delle difficoltà maggiori per chi si lancia in questo campo infatti, una volta determinata la tecnica da sperimentare, è trovare un partner industriale interessato a sostenere dei test sul campo.
Un’altra realtà rilevante, che ha ricevuto anche il sostegno di Leonardo DiCaprio, è Blue Planet, una startup che realizza rocce “dal nulla”. Per meglio dire, sfruttando alcuni processi fisico-chimici riesce a trasformare il diossido di carbonio in un materiale roccioso sintetico. In questo caso, per contenere i costi, l’azienda con sede in California, punta a rendere disponibili all’industria edile locale i suoi prodotti, effettivamente utilizzati anche per l’aeroporto internazionale di San Francisco.
Una proposta meno recente, ma dagli sviluppi potenzialmente interessanti, è stata pubblicata a inizio 2020 dalla Chalmers University of Technology e dall’Università di Stoccolma. I loro ricercatori hanno pubblicato un documento con la scoperta di un nuovo materiale in grado di assorbire la CO2 nell’aria. Si tratterebbe di un minerale poroso chiamato Zeolite, ibridato con una schiuma di cellulosa di origine biologica che lo rende leggero e ne aumenta manipolabilità e capacità di fissaggio dell’anidride carbonica.
La Co2 Capture e l’Italia
In Italia invece ENI sta puntando molto sul progetto di Ravenna: realizzare il più grande hub al mondo per la cattura e lo stoccaggio di CO2 negli ex-giacimenti di gas al largo del capoluogo romagnolo. L’obiettivo dichiarato pubblicamente dall’AD Claudio Descalzi, è decarbonizzare il gas per produrre elettricità pulita e idrogeno. Tuttavia sembra che il piano, inizialmente annunciato come parte del PNRR, sia stato rimosso dall’ultima versione in discussione alle camere.
Nell’ambito del contesto della Green Deal Strategy finanziata dall’UE, ENI ha firmato poi un memorandum con Saipem per l’individuazione di opportunità di collaborazione per la cattura, trasporto, riutilizzo e stoccaggio della CO2 prodotta da distretti industriali nel territorio italiano. La multinazionale guidata da Stefano Cao infatti ha progettato e realizzato parecchi impianti in tutto il mondo per la rimozione, trasporto e re-iniezione di diossido di carbonio nel sottosuolo. Particolarmente interessante però risulta la tecnologia brevettata per la produzione di fertilizzanti (urea) attraverso un processo di conversione dell’anidride carbonica caratterizzato da alta efficienza e sostenibilità.
Rendere economicamente fattibile la cattura e lo stoccaggio del carbonio rimane il punto fondamentale della questione. Emettere CO2 deve diventare più costoso che catturarla. Attualmente tutti i progetti si scontrano con la dura realtà della scarsità di impieghi industriali remunerativi per il diossido di carbonio. La speranza è che con il miglioramento della tecnologia e l’aumento dei prezzi del carbonio, la CCUS acquisterà sempre più senso a livello economico per un numero sempre maggiore di progetti.